''Un'altra piazza per l'Europa'', il mondo è cambiato quale il nostro futuro? Vogliamo una difesa comune o più spese militari nazionali? Dazi alle auto elettriche o il nucleare? Let's talk about Europe


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
Stefano Schiavo – Direttore della Scuola di Studi Internazionali e docente
presso il Dipartimento di Economia e Management, Università di Trento
L’iniziativa “Un’Altra Piazza per l’Europa” lanciata da “il Dolomiti” per sabato 15 marzo riporta al centro del dibattito pubblico il tema dell’integrazione europea e interpella l’opinione pubblica su quale sia il senso, la portata e l’attualità del progetto nato dal Manifesto di Ventotene, nel momento storico che stiamo vivendo.
In questi giorni la Scuola di Studi Internazionali si è chiesta quale fosse il modo migliore di contribuire al dibattito e ottemperare al meglio alla “terza missione” affidata all’Università, che richiede agli Atenei di farsi attori di progresso sociale e culturale, e non solo luoghi di formazione e ricerca. Nel rispetto del nostro ruolo, che è quello di stimolare la discussione critica, in questi giorni alcuni docenti della Scuola presenteranno una serie di spunti e contributi al dibattito.
Sul piano internazionale, le recenti tensioni geopolitiche stanno mettendo in discussione i capisaldi attorno cui si sono sviluppati i Paesi democratici a partire dal secondo dopoguerra: integrazione economica e commerciale, rispetto dei trattati internazionali, stato di diritto, tutela delle libertà individuali. Il cambio di rotta segnato dalla nuova amministrazione americana, la cui portata era stata probabilmente sottovalutata da molti, costringe a interrogarsi su quale sia il ruolo che l’Europa deve giocare nello scenario globale.
Sul piano interno, la progressiva affermazione di forze politiche sovraniste rende più difficile un salto di qualità nell’integrazione politica europea, senza la quale è difficile parlare con una voce sola e che può avvenire solo se gli Stati membri rinunciano, almeno in parte, ad alcune loro prerogative. La discussione di questi giorni sulla difesa europea è un esempio chiaro di questa difficoltà (al netto del giudizio sulle specifiche proposte avanzate dalla Commissione europea).
L’Europa e i suoi cittadini non si trovano semplicemente di fronte a un portafoglio di politiche economiche e sociali discutibili, sulle quali è legittimo avere opinioni diverse e discutere con spirito “accademico”. Siamo di fronte a un tentativo di ridefinire l’essenza stessa dei rapporti internazionali, trasformati in un gioco a somma zero in cui il vantaggio degli uni deve necessariamente avvenire a discapito degli altri, vale la legge del più forte e le alleanze cambiano a seconda delle convenienze di giornata. Questo cambio di paradigma mette in discussione i princìpi di base attorno ai quali il progetto europeo è stato costruito.
Per di più, negli Stati Uniti è in atto un attacco diretto ed esplicito alla libertà della ricerca scientifica e al ruolo delle università come luogo del dibattito e della discussione, con tagli indiscriminati ai finanziamenti che sostengono la ricerca (sulla base dell’agenda politica della nuova amministrazione) e la chiusura del ministero per l’istruzione (accusato di indottrinare studenti e studentesse).
Finora tutto questo ci coinvolge solo indirettamente, ma un clima intellettuale di questo tipo nel Paese che fino a ieri ha rappresentato un punto di riferimento per le democrazie liberali del mondo, che più di ogni altro ha beneficiato (anche economicamente) del progresso scientifico, che ha fondato la propria leadership economica e militare anche sulla capacità di attrarre talenti da tutto il mondo garantendo loro le migliori condizioni per lavorare, è preoccupante. Le minacce più o meno esplicite all’Europa poi, accusata di essere nata con il solo obiettivo di “fregare” gli Stati Uniti (il termine usato è più colorito) o di aver voluto risparmiare sul supporto all’Ucraina contando sui finanziamenti americani, ci toccano da vicino.
Qual è modo migliore per affrontare le sfide che l’Europa ha di fronte? Un progetto di difesa comune o un piano di finanziamento delle spese militari in deroga al patto di stabilità? Dobbiamo imporre dazi sulle auto elettriche cinesi o promuovere l’energia nucleare? Serve stipulare nuovi accordi di partenariato con Cina e India o avviare negoziati con gli Stati Uniti per risolvere le dispute commerciali?
Discutiamone, e discutiamone ancora, senza censure, tutelando il dissenso e le idee diverse, consci che il dibattito è la base per scelte consapevoli e condivise (che non vuol dire unanimi). Soprattutto, troviamo il modo per preservare l’Europa come uno spazio di libertà, fondato sulla tutela dei diritti e delle libertà individuali, dello stato di diritto, del dibattito democratico. Rivendichiamo con forza il valore di una società in cui non si viene licenziati per le proprie opinioni, dove l’Università e gli enti di ricerca non si vedono tagliati i fondi perché si occupano di temi che non piacciono al governo, dove la stampa è libera e i risultati delle elezioni vengono rispettati.
Le istituzioni europee possono essere spesso inefficaci e i governi europei litigiosi, ma la condivisione di questi principi è un patrimonio da tutelare e di cui essere fieri.