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''Provate a chiedere ai moralisti e ai teologi di ogni paese che cosa intendano per piacere autentico'', La favola delle api di Bernard de Mandeville

Breviario di politica mite/ Il medico Bernard de Mandeville (Rotterdam 1670 - Londra 1730), simbolo bersagliato del libero pensatore, venne accusato - “per ignoranza o in malafede” - di aver scritto La favola delle api per incoraggiare il vizio ma narra anche il lusso, la decadenza e infine la disperata virtù, rappresenta in miniatura il mondo degli umani
DAL BLOG
Di Nicola Zoller - 14 febbraio 2022

Socialista dal 17° anno d'età, continua a dedicarsi allo studio del pensiero progressista e democratico

"Provate a chiedere ai moralisti e ai teologi di ogni paese che cosa intendano per piacere autentico: vi risponderanno che la felicità non può risiedere in ciò che è mondano e corruttibile. Se poi però osserverete da vicino la loro vita, vedrete che essi traggono il loro diletto esclusivamente da ciò che è mondano e corruttibile”. E come se la passano i bacchettoni “comuni”...?*"

 

Il medico Bernard de Mandeville (Rotterdam 1670 - Londra 1730), simbolo bersagliato del libero pensatore, venne accusato - “per ignoranza o in malafede” - di aver scritto La favola delle api per incoraggiare il vizio. Soavemente controbatté: “Se mi si chiedesse a che scopo ho fatto tutto questo (cui bono?) e quali benefici possa portare la lettura di quanto ho scritto, risponderei che non ho avuto altro scopo che cercare di divertire i lettori. Ma se mi si chiedesse cosa ci si può attendere dalla lettura di questi versi, risponderei prima di tutto: la gente che trova sempre difetti negli altri, trovandoli descritti qui, potrebbe imparare a guardare in casa propria e a esaminare il proprio comportamento, e così forse si vergognerebbe di rimproverare agli altri i vizi di cui anch’essa è più o meno colpevole”.

 

Il moralismo ipocrita, che resiste in ogni tempo e luogo e che dilaga nelle fasi di transizione, trova nella favola mandevilliana brillantissime esemplificazioni. Naturalmente il “grande alvea-re” di cui Mandeville narra lusso, vizio, decadenza e infine disperata virtù, rappresenta in miniatura il mondo degli umani: “Non c’era impiego privo di imbrogli, né professione priva di trucchi. Chi comprava concime per ingrassare la terra spesso vi trovava pietre, ciottoli e sassi, e brontolava. Ma chi brontolava vendeva usualmente burro pieno di sale. Ognuna sapeva che imbrogli faceva, ma non c’era un’ape che sopportasse gli imbrogli che commettevan le altre”.

 

E, in nota, Mandeville aggiunge: “Provate a chiedere ai moralisti e ai teologi di ogni Paese che cosa intendano per piacere autentico: vi risponderanno, come gli Stoici, che la felicità non può risiedere in ciò che è mondano e corruttibile. Se voi però osserverete da vicino la loro vita, vedrete che essi traggono il loro diletto esclusivamente da ciò che è mondano e corruttibile”.

 

Magnifico e mite sovversivo, bestia nera dei bacchettoni e dei sepolcri imbiancati d’ogni epoca, non chiedeva - come pretende invece qualsia-si demagogo - l’approvazione delle folle. Spiegava con smagato distacco: “Io non scrivo per molti e non ambisco ad incontrare gente che si congratuli con me; nulla dimostrerebbe la falsità delle mie opinioni più dell’approvazione generale”.

 

Per paradosso - espediente retorico di cui Mandeville si avvaleva con la “cura di suscitare a bella posta l’indignazione dei benpensanti”- noi suggeriremmo l’adozione della “Favola” come lettura edificante per l’ora settimanale di educazione civica che i programmi ministeriali vorranno finalmente fissare stabilmente nel calendario scolastico.

 

Peraltro, i nostri filistei - qualora nutrissero ancora qualche dubbio sulla serietà di questa sortita - potrebbero scoprire, scavando solo un poco negli scritti di Mandeville, che egli finiva realisticamente per ammettere come “la società non sarebbe mai sopravvissuta se un lento processo di adattamento non avesse immesso in questo aggregato di interessi e di passioni l’elemento della razionalità, l’artificiosa creazione di idoli che, predicando la Virtù, il Bene o l’Onore, promettevano prestigio e considerazione a chi avesse seguito i dettati di quei valori e disprezzo a chi avesse preferito la brutale soddisfazione dei propri istinti” (in Ricerca sulla natura della società). Quello che per l’uno resta comunque e dovunque la fiera dell’ipocrisia, per gli altri  può diventare il regno dell’ideale. Contenti?

 

Macché. Continuano, con la bava alla bocca, a predicare “legge e ordine” (specialmente a carico del prossimo, secondo l’impostura di voler “applicare” rigidamente le leggi agli altri e di desiderarle “interpretate” comodamente per sé medesimi). Non capiscono - come invece prova a farci intendere il nostro medico anglo-olandese con il suo umanissimo disincanto - che la virtù meritoria ed il bene autentico non possono essere imposti per decreto delle autorità o dei costumi: sono mete di una ricerca interiore, una ricerca dall’esito incerto. Immanuel Kant dirà che “da un legno storto, come è quello di cui l’uomo è fatto, non può uscire nulla di interamente dritto”. Chi è credente potrà anche riparare sotto la protezione della Madonna: “Santa Maria, madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”.

 

Nota *) Quest’infida, estesa tipologia, descritta con schiettezza dal Mandeville, è sopravvissuta prosperosamente al nostro autore e continua viepiù a lanciare acrimoniose invettive contro la disonestà altrui ed a giustificare generosamente se stessa. Alla fine del XX secolo, così viene illustrata, in terra italiana, dal Corriere della Sera del 15 maggio 1995 sotto il titolo Non paga tasse, tv, tram: è l’italiano onesto: “Chissà come se la ride a leggere le cronache di Tangentopoli. O forse no. L’esercito dei microtruffatori - evasori fiscali, titolari di pensioni di invalidità che scoppiano di salute, inventori di incidenti stradali, portoghesi tranviari - ha di sé un alto concetto. Vanta un fatturato di migliaia di miliardi ma, se dovesse scegliere per sé un nome si chiamerebbe banda degli onesti, tanto si sente distante dal malaffare della politica”. Sembra di risentire, in versione prosaica, le parole in versi di Mandeville: “...inveivan contro i loro politici, contro la marina e l’esercito, e ogni ape gridava: Maledetti, maledetti gli imbrogli”. Eppure ognuna conosceva gli imbrogli che commetteva per proprio conto, come gli “onesti banditi” contemporanei.

 

Quest’ultimi - sempre in modo prosaico -  si giustificano (cfr. C. S. Fioretti, Ma in quale legge credi?, rivista Sette, settembre 1998) in variegati modi. Eccone alcuni. Quelli che non pagano i contributi della colf: Io la metterei in regola, ma è lei che non vuole. Quelli che danno lezioni private e non le denunciano: Con la miseria che lo stato ci paga... Quelli che inventano falsi incidenti per farsi pagare dall’assicurazione: Sono anni che pago e non ho mai fatto un incidente. Quelli che duplicano illegalmente le videocassette: Perché? Non si può? Quelli che non pagano il canone Rai: Con tutta la pubblicità che mettono nei programmi ! E poi io guardo solo Canale 5. Quelli che non registrano il contratto d’affitto: Se ci pago le tasse, non mi conviene affittare. Quelli che dichiarano la metà nella compravendita di una casa: E’ normale. Si è sempre fatto così. Quelli che commettono abusi edilizi: Se chiedo il permesso devo aspettare un anno. Quelli che si mettono in malattia. E sono sanissimi: Mi sono fatto un mazzo per 20 anni. Che cosa sarà mai un giorno...

 

Emilio Lussu, spirito libero della sinistra italiana, avrebbe commentato: “Il vero peccato non è commettere una infrazione alle leggi di nostro Signore, ché tutti siamo dei deboli mortali, ma fingere di essere virtuosi e agire da imbroglioni”.

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