''Ciascuno per un attimo o per più attimi, è stato o è un Chlestakov, ma è naturale che non voglia ammetterlo'', ''Il revisore'' di Nikolaj Gogol'
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"Per interesse siamo onesti, per interesse siamo disonesti, e la virtù la pratichiamo finché c’è la speranza di guadagno, pronti a un voltafaccia se la scelleratezza promette di più". (Seneca)
Ivan Aleksandrovic Chlestakov, giovane funzionario di Pietroburgo che girovaga dispendiosamente per il regno di Nicola I, giunge in una cittadina di provincia.
Qui si era sparsa la voce dell’arrivo di un “revisore” incaricato di indagare sulla corruzione che scorreva tra gli affari - pubblici e privati - del luogo, e il sunnominato Chlestakov viene scambiato per il paventato inquirente. Tutti i maggiorenti gareggiano per ingraziarsi il giovanotto: questi ne approfitta per “sbancare” i creduloni e per ottenere addirittura i favori delle donne (moglie e figlia) del podestà. Ma alla fine venne il vero “revisore”.
Benché scritto da Nikolaj Gogol’ nel 1836, 'Il revisore' ci riserva qualche scena senza tempo. Noi Italiani, ad esempio, ripassando l’ultimo decennio dello scorso secolo potremmo individuare molti della nostra schiatta - compreso qualche presunto eroe - nel Chlestakov che annuncia: “...io non prendo bustarelle di nessun genere. Ecco, se voi, ad esempio, mi offriste in prestito un trecento rubli, beh, allora è tutta un’altra cosa: in prestito posso prenderli”.
Gogol’ descrive in questa commedia la vacuità di un giovane scapestrato, ma manda un sottile messaggio universale al genere umano: “Ciascuno per un attimo o per più attimi, è stato o è un Chlestakov, ma è naturale che non voglia ammetterlo... In breve - conclude Gogol’ - è raro chi non si trovi nella sua veste almeno una volta nella vita”.
Taluno, tuttavia, pur essendo anch’egli della nostra stessa genìa, oltre a “non volerlo ammettere”, si atteggia - in sovrappiù - a superuomo incorruttibile. E’ suo il motto vanaglorioso, che un altro grande scrittore russo, Fëdor Dostoevskij, avrebbe coniato in 'Memorie dal sottosuolo': “Per un uomo comune cadere nell’abiezione è vergognoso, ma un eroe sta troppo in alto per insozzarsi del tutto”.
Questi - in realtà - si insozza peggio degli altri, peggio di tutti i piccoli e grandi peccatori, proprio in quanto vorrebbe proporsi (o è proposto dai suoi infatuati seguaci) come supremo vindice della Moralità ed invece anch’egli spartisce con noi le miserie della condizione umana: “Per interesse siamo onesti, per interesse siamo disonesti, e la virtù la pratichiamo finché c’è una speranza di guadagno, pronti a un voltafaccia se la scelleratezza promette di più” (Seneca, 'Lettere a Lucilio', XIX, 115, 9-10).