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Sulla Weisszint dopo la festa di fine anno scolastico tra vette, neve e ''omini di pietra'' scomparsi per il maltempo

Sono più di 1500 metri di dislivello per 15 chilometri e oltre 9 ore e mezzo di cammino e mi sono trovato ad affrontarli la mattina dopo la grigliata con i miei studenti della 5D. Tra un po' di stanchezza e qualche calo di pressione alla fine non posso che dar ragione alla mucca che ci guarda con le zampe immerse nell'acqua
DAL BLOG
Di Lou Arranca (Alias Ivo Cestari) - 29 luglio 2019

Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia. 

Max Meru me lo aveva detto: ”Sono più di 1500 metri di dislivello per 15 chilometri e dovrebbero essere 9 ore e mezzo di cammino e quindi se non vogliamo avere rogne di temporali è meglio partire prestino. Ci troviamo alle 4.30 a Bolzano sud”.  La metà questa volta è la Weisszint, o Punta Bianca, e fa parte delle Alpi Aurine. Vi si accede da Brunico dopo aver percorso dapprima la Val di Tures e poi l’intera Valle dei Molini e raggiunge i 3.371 metri d’altitudine. Il suo nome, Punta Bianca, che evoca originariamente un dente bianco (dal tedesco “weisser zahn”), proviene dalla luminosa neve, che un tempo ricopriva l’intera cima. Punta Bianca è contornata da ghiacciai. Le cime adiacenti sono il Dosso Largo a est, la Punta Bianca Bassa e il Gran Pilastro a ovest.

 

La prima ascesa venne compiuta nel 1871, da Erich Graf Künigl, assieme ad un contadino di Lappago. Un secolo più tardi, il monte ottenne la sua croce. Come via normale, si considera la scalata che passa sulla cresta a sudovest, e per il Rifugio Passo Ponte di Ghiaccio (Edelrauthütte) a 2.545 metri di altitudine. Da qui, la cima è raggiungibile con un’arrampicata di 3, massimo 4 ore oppure, molto più comodamente dalla vedretta del Gran Pilastro che separa le due montagne.

 


 

 

E quindi cosa c’è di meglio da fare la sera prima invece che andare a nanna prestino? Ad esempio una bella festa di fine esami di maturità con i miei amati studenti della 5D del Liceo Artistico Depero di Rovereto, con ricco buffet casalingo di grigliate incerte (con carni mezze crude o troppo bruciacchiate), birra, vino, e chi più ne ha più ne metta. Una festa a cui ovviamente non potevo dire di no, pena l’oblio perpetuo dalle giovani menti dei miei studenti e la condanna “sociale” derivante. Poiché la festa era a Marco di Rovereto, dovevo pur tener conto dei tempi di rientro a Civezzano e perciò sono riuscito a rientrare almeno per mezzanotte e mezza, garantendomi così almeno 3 ore di sonno. Posso affermare con certezza che non sono affatto sufficienti per un trekking impegnativo come questo, soprattutto poi se la dieta seguita non è stata esattamente come da manuale del ”perfetto escursionista”.

 


 

Ed eccomi quindi alle 4.30 dopo un mezzo “balon” addirittura in anticipo all’appuntamento a Bolzano Sud: siamo Max Meru, la “ironwoman” Elisa da Merano e l’entusiasta Manuel, agricoltore e allevatore di Recoaro, spacciatore di formaggi da lui prodotti, che aprono la mente ed il cuore, ed io. A Lappago, dove si paga 7 euro il biglietto per accedere al lago artificiale di Neves, punto di partenza del trekking, ci aspetta l’insaziabile Nick Ravannah, reduce da tre giorni a spasso per il Catinaccio senza ritorno a casa. Cerco di recuperare sonno dormendo un po' in macchina, ma alle 7.10 siamo già in cammino aggirando il lago costruito tra il 1960 e il 1964, a oltre 1800 metri.

 

 


 

Poco a monte della riva del lago ci beviamo un caffè alla bellissima malga Neves e seguendo sempre verso ovest il sentiero 26 che percorre una valletta erbosa e poi rocciosa, puntiamo al rifugio Edelrauthütte-Ponte di Ghiaccio (2545 metri; ore 2 almeno). La neve è presente su gran parte del tracciato ma non servono né ramponi né ramponcini. La pendenza è costante e mi sembra quasi di stare bene, tenendo un passo agile e leggero che mi fa godere del panorama circostante.

 


 

Al rifugio, criticato in quanto recentemente ristrutturato in modo autenticamente contemporaneo e non imitando presunti linguaggi architettonici del passato, ci fermiamo per un breve ristoro, pronti per affrontare la parte più impegnativa del percorso: 3 o 4 ore di ghiaioni, creste, nevai, passaggi di primo e secondo grado su blocchi granitici instabili. Seguendo le tracce di passaggio, saliamo faticosamente a zigzag verso nord in direzione della piccola vedretta (Weisszintferner) ma poi pieghiamo decisamente a est passando sotto la Punta Bianca Bassa e da lì alla forcella (Obere Weisszintscharte, 3198 metri).

 


 

Mano a mano che si sale, sento che le batterie si stanno esaurendo velocemente: sbrano barrette proteiche e mi “drogo” con strani concentrati iperenergizzanti, che finiscono per creare una poltiglia malevola con la carne cruda/bruciacchiata e l’alcol della cena passata tra musica e chiacchiere. Tengo duro, respiro quel poco di ossigeno che passati i 3000 metri passa il convento; la testa comincia a girare e mi devo fermare a riprendermi sempre più spesso.

Poichè abbiamo deciso di non fare la più comoda via attraverso il ghiacciaio a ovest (Vedretta del Gran Pilastro) ma di seguire l’ardito percorso a est seguendo la cresta illuminata dal sole, dopo qualche centinaia di metri notiamo, ahimè, che tra neve e piccole frane sono scomparsi pallini colorati, tracce, omini di pietra e ogni forma di segnalazione.

 

A questo punto ognuno di noi va dove gli pare: Nick resta saggiamente un po' in basso e risale verso la fine all’ultima selletta di neve, arrivando almeno 3/4 d’ora prima di noi; Manuel si sposta sul filo di cresta in alto e procede più spedito; Max, Elisa ed io vaghiamo tra la mezzacosta ed il filo in alto cercando di individuare qualche segno di passaggio, aggirando blocchi, seguendo fangose cengette, ora calandoci ora risalendo con un’attenzione spasmodica.

 

 


 

Ogni passo e ogni appiglio devo essere valutati perché tutto si muove sotto il nostro peso e sia a destra che a sinistra ci sono dei salti notevoli. Ogni tanto penso di fermarmi e lasciar perdere: tre ore solo di sonno e bagordi sono un ottimo deterrente, ma in realtà sarebbe peggio se tornassi da solo su quel terreno infido. Posso solo procedere e respirare per riprendermi e riportare i battiti cardiaci a livelli umani. Qualche foto e qualche pausa per riprendermi dai giramenti di testa che mi fanno vedere ”lucine nere” ad ogni variazione di pendenza in verticale, ci fanno perdere un po' di tempo. Più che altro è la tensione che ci snerva: non ci si può permettere nessuna distrazione perché siamo evidentemente fuori traccia e puntiamo in direzione della croce a vista.

 


 

Finalmente si scende dai blocchi e, superando un breve tratto innevato da vertigine, sul susseguente crinale roccioso si conquista infine la croce di vetta a 3371 metri. Sono passate più di 4 ore dal rifugio (e più di 6 dalla partenza) e quindi i tempi si sono allungati: di sicuro sarà meglio tornare dal comodo ghiacciaio.

 


 

Una volta in cima sbrano a fatica un panino; non riesco a inghiottire e per 10 minuti rimango un po' rintronato per un’abbassamento di pressione. Ma poi il panorama a 360° mi rigenera, il sole splende, l’arietta è tagliente e tutti e 5 siamo felici. Nessun altro escursionista per questa bella e magnifica vetta, un po' dimenticata a causa della vicina presenza del Gran Pilastro. Torniamo quindi per quella che era indicata come via più comoda, dalla vedretta, che infatti, con ramponi e picozza, non presenta alcuna difficoltà e ci permette di godere di una distesa bianca abbacinante, con il sole di fronte e cime lunari attorno.

 


 

Dopo 2 ore circa siamo di nuovo all’Edelrauthütte: sembra fatta, ma non lo è. Prendiamo un paio di birre gonfiastomaco e riprendiamo il ritorno, che ora mi sembra lungo eterno, quasi sempre su neve marcia, scivolando nelle scie tracciate nel corso della giornata, e poi per prati e bosco.

 


 

Nick corre come una lepre in fuga, seguiamo Elisa e io, mentre Manuel “assiste” Max che in discesa soffre sempre un po' alle ginocchia. Anzi Nick Rvannah corre talmente avanti che non si ferma nemmeno alla Malga Neves, dove noi invece ci sediamo per un meritatissimo piatto di affettati, pane e soprattutto ottimi formaggi lì prodotti che mi riportano, pressione, cuore e stomaco alla normalità meglio di qualsiasi pillola.

 


 

Aggirato il lago ritroviamo Ravannah dormiente sul praticello. Poco sotto, una mucca filosofa sta con le 4 zampe in ammollo nella acqua bassa del lago guardando in avanti, meditabonda. Mi sembra di interpretarne il pensiero:”Comprendere gli esseri umani è intelligenza; comprendere sé stessi è saggezza” (Lao Tzu).

 


 

Ph.: Max Burchiellaro, Elisa Scandola, Ivo Cestari, Nicola Pagano, Manuel Povolo.

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