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Ciaspole v.s. Pelli 2-1. Sulla Cima Undici a quota 2926 metri

Stavamo avanzando con somma fatica dietro la traccia della Guida quand’ecco che Nadia sprofonda in un orribile baratro fino alle ascelle. Sono alle sue spalle e mi fermo, con la neve fino ai fianchi, sul bordo di un buco senza fine. Accidenti, la neve vicino alla roccia nascondeva un crepaccio...
DAL BLOG

Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia. 

Sicuramente è giusto preparare una bella escursione scialpinistica, ma come riusciamo a farlo noi, con i forti contrasti che animano il gruppetto “Alpine Club Arranca”, è cosa da pochi. Teatro della nuova avventura è la splendida zona  della bella e solitaria Valle di Roia (Rojen), estremo nord ovest dell’Alto Adige nell’Alta Valle Venosta al confine con la Svizzera e l’Austria e sopra il Lago di Resia. L’obbiettivo è la Elferspitze (CimaUndici) a 2926m, ma vanno bene anche le leggermente più modeste Cima Dodici o Cima Dieci.

 

Parto da casa mia molto presto, con le tenebre che ancora incombono: raccolgo l’amico antropologo Nick Ravannah a Cognola e a Bolzano si unisce a noi la splendida Wonderwoman aus Sterzing, Nadia. Manca all’appello il terzo socio, l’augusto medidante buddista Max Meru che invece raccogliamo per strada a Merano. Nessuno vuole mollare il calduccio della mia vecchia Rifattona e quindi proseguiamo alla volta del Lago di Resia con il baule che scoppia di attrezzature per ogni evenienza.

 

E infatti lungo il percorso, le due anime si dividono: io e Nadia optiamo per una scialpinistica da manuale, mentre Nick e Max cammineranno con le ciaspole. Non solo: Nadia è un po' in apprensione (da brava teutonica) per le “approssimative informazioni” che abbiamo sull’itinerario da seguire, condizioni della neve, orario di apertura dell’impianto che ci porterà in quota, possibilità di parcheggio, possibilità di mangiare, etc.,etc. Tutte cose che noi latini fino al midollo tendiamo un pò a tralasciare, facendoci guidare invece da un sano fatalismo e da un quasi inconscio desiderio di sfidare l’Ignoto.

 

Nadia insiste: controlla mappe, siti, condizioni meteo, (dal finestrino si vede un sole che brilla nel cielo azzurro...), condizioni neve. Nulla deve essere affidato al Caso. Cerco nello specchietto retrovisore Nick Ravannah, che da buon misogino, comincia ad innervosirsi rollandosi una sigaretta dopo l’altra. Manco a dirlo, grazie alle indicazioni di Max (“conosco la zona, ci sono venuto 200 volte per lavoro da queste parti!”), sbagliamo strada e perdiamo un po' di tempo; sarà quindi d’obbligo prendere una seggiovia e risparmiarci 250 m di dislivello e una buona mezzora di ravanata.

 


 

 

Ci troviamo così in alla stazione di arrivo dove cado rovinosamente a terra perché mi ero dimenticato di aver già incollato le pelli agli sci. Nell’imbarazzo degli astanti mi rialzo e con nonchalance dichiaro che” la strada da seguire è quella che risalirà il costone di sinistra raggiungendo prima Cima Undici e poi la Dodici”. Nein!” tuona Nadia. “Seguiamo quella Guida Alpina (Alpenführer!) con il suo gruppetto di turisti saprà sicuramente la via migliore.....”.  Dopo un’ora, con Nick e Max ormai lontani su un altro versante che procedono con le ciaspole al sole, io e Nadia ci stiamo guadagnando un posto all’inferno su una pendenza di 50° lungo un canale impervio tra le rocce con gli sci in mano piantati come picozze e la neve fino alle ginocchia!

 



 

Come abbiamo potuto arrivare fino a questo punto? Con Wonderwoman avevamo seguito la Guida Alpina (non del posto...) fino ai piedi di un’erta terrificante. Tutto bello fino a quel momento, lontani da ogni pericolo..... ma ora? Avevamo cominciato a salire a zeta sempre più strette, fino a quando era umanamente impossibile fare la manovra di inversione a causa della pendenza.

 

Vista l’impossibilità di proseguire con gli sci ai piedi, avevo aspettato la Guida che mi seguiva poco distante. Mi aveva detto che non c’erano sono rischi (mah!) e mi aveva consigliato di togliermi gli sci.....e di fare in fretta ,”ché il posto non è mica tanto bello!” (ah ecco! Me pareva...). Nadia mi stava precedendo di qualche metro e le avevo consigliato di stare in linea con uno spuntone di roccia, che se si fosse staccato qualcosa da sopra, quell’isola rocciosa avrebbe potuto potrebbe fare da riparo.

 

Stavamo avanzando con somma fatica dietro la traccia della Guida quand’ecco che Nadia sprofonda in un orribile baratro fino alle ascelle. Sono alle sue spalle e mi fermo, con la neve fino ai fianchi, sul bordo di un buco senza fine. Accidenti, la neve vicino alla roccia nascondeva un crepaccio (cosa abbastanza frequente) e Nadia ci era finita dentro! La Guida, per fortuna vicino a noi, le consiglia di rotolarsi fuori senza forzare e aiutandosi con gli sci in mano. Apparentemente non sembra preoccupata e si mantiene fredda e decisa. Mi dice di non avanzare verso di lei perché con i piedi non sta toccando nulla.

 

E’ in questo momento che mi sale una “leggera angoscia” che mi fa maledire il momento in cui abbiamo seguito non i miei fidati compari ma quel gruppetto di germanici sconosciuti accompagnati dalla Guida. Rotolo anch’io per solidarietà e riusciamo in qualche modo a rimetterci in piedi. “Per fortuna questa era la via più sicura per arrivare alla cima!” dico sarcastico, ma vengo subito fulminato dal severo sguardo di quel “metroeottanta” di donna, e torno a cuccia.

Riprendiamo quell’autentico calvario con gli sci piantati come picozze e dopo una ventina di metri siamo finalmente sul piano.

 


 

Finalmente facciamo una breve sosta, beviamo del tè caldo, qualche cioccolatino e frutta secca, e risaliamo ancora un po' scossi per lo scampato rischio verso la cima a quasi 3000 metri. A mente fredda, le condizioni della neve erano effettivamente sicure (a detta della Guida...) ma trovarsi dentro un crepaccio nascosto da neve ventata non è proprio una cosa “carina” in una giornata così bella!

 

Dopo qualche minuto, Nick e Max, che nel frattempo avevano percorso la via normale tutta al sole e senza rischi, sbucano dalla Cima Undici sopra le nostre teste e ci salutano con gelide manine. Noi invece dobbiamo arrancare ancora una buona mezz’ora prima di giungere in vetta, ma alla fine il gruppo si riunisce in un unico e affettuoso abbraccio liberatorio.

 

Godiamo insieme della vista sull’Ortles (che ci aspetta fra qualche mese quale prossima meta) a Sud, sulle vette svizzere e austriache a Ovest e a Nord; a Est invece possiamo ammirare tutta la Val Venosta con i suoi numerosi 3000 metri. Panorama e giornata irripetibili. L’aria gelida però non ci permette di resistere molto e consumiano velocemente un pò di barrette sottovento, dove si ripara pure il gruppetto della Guida.

 

 

 


 

Ma al momento di ripartire, il Club Alpine Arranca, ahimé, si divide di nuovo: Max e Nick toccheranno Cima Dodici un pò più in basso e scenderanno poi dal morbido versante Ovest. Io e Nadia, invece, non abbiamo nessuna voglia di “ripellare” dopo la breve discesa per affrontare i pochi metri in salita della Cima Dodici e preferiamo (masochisti!) seguire ancora la perfida Guida ripercorrendo la via della salita, rampona compresa.

 

Prima, però, dobbiamo eseguire quella malefica operazione dello stacco delle pelli e del fissaggio degli scarponi con un vento freddissimo che ti spacca le mani: l’aria entra dal cappuccio, le pelli svolazzano indomabili, i ganci sono congelati in blocchi vetrosi. Operazioni del genere a meno 15 gradi sono in grado di farti guadagnare l’Inferno con colorite imprecazioni che gli Dei spero evitino di ascoltare.

 

Fortunatamente dopo pochissimi minuti ripartiamo e con ampie diagonali alternate a strette curve, ci avviciniamo con una leggera ansia alla ripida chinaglia che ci aveva “molestato” nella salita.

 


 

E infatti, quando arriva il fatidico momento dei 50° in discesa su quella neve un po' “sventatella”, rimpiango le mie due amicizie maschili..... Ma ormai siamo in ballo e, buttando il cuore oltre l’ostacolo, con alcune lunghe derapate ci portiamo in “confort zone”, dove riprendiamo a fare immacolate serpentine.

 

“Ecco! Ora siamo in paradiso!” Cielo blu, sinuose curve ammantate di bianco alternate a severe rocce scure davanti a noi a perdita d’occhio, il sole che brilla e nessun vento che ti sferza la faccia! Scegliamo le linee migliori e ad ogni stop riguardiamo con incredulità l’erta minacciosa che ormai abbiamo lasciato alle nostre spalle.

 


 

n breve raggiungiamo la stazione di arrivo della seggiovia e cerchiamo di recuperare contatto con i due compagni, i quali, più a valle di noi, stanno raggiungendo il bar ristorante che si trova verso la fine della pista da sci.

 

Mettiamo quindi le punte a valle e con Nadia scendiamo veloci sulla pista di neve battuta dove ritroviamo i due amici che scendono ciaspolando ai bordi. Altri abbracci, e nuovo appuntamento al bar dove il gruppo si ricompone davanti alle meritate weizen da ettolitro e con i rispettivi racconti delle diverse strade seguite: i ciaspolatori hanno raggiunto due cime, gli sciatori una sola. 2 a 1 ! La giornata è stata da incorniciare, ma come scialpinisti chiediamo immediatamente la rivincita!......” Magari senza la variante!”

 

L’unica pecca è stata quella che non siamo rimasti uniti, solo per assecondare, da parte mia e con sottile piacere, i dubbi della divina Wonderwoman sulle nostre capacità di lettura del percorso migliore.

 

La quale alla fine riconosce l’eccesso di malfidenza e, pentita, dichiara futura sottomissione e infinito affetto per l’indomito trio, proponendoci, per scusarsi, un’ulteriore sosta alla celebre Birreria alle porte di Merano.

 


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