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Alla ricerca dell'oro tra le sabbie dei laghetti Goldseen e scoprire un salvifico angelo biondo

Abbiamo attraversato ferrate che non sacrificano ben 15 vie storiche alpinistiche come in Paganella e che si sviluppano sostanzialmente in discesa (orribile aberrazione) e dove la parola “fatica” viene eliminata per non spaventare neofiti e “fenomeni” in vena di acrobazie da acropark. A buon intenditor poche parole
DAL BLOG
Di Lou Arranca (Alias Ivo Cestari) - 18 agosto 2018

Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia. 

Tempo fa avevo letto dell’unico comune una volta facente parte della Val Venosta (anche se non geograficamente), che però è rimasto sotto sovranità austriaca dopo l’annessione dell’Alto Adige all’Italia nel 1919. Si tratta del comune di Nauders (ora in Austria) che si trova a pochi chilometri dal confine dopo il Lago di Resia in Alta Val Venosta. Chiamato anticamente “Inutrium”, era un’importante stazione doganale lungo la Via Claudia Augusta (la stessa che passa dalla mia Civezzano), compreso nella provincia romana della Rezia e quindi della Diocesi di Coira fino al 1919. Fece parte della Contea del Tirolo e, pertanto, compreso nella marca di Trento fin dal 776 d.C. e nel Principato di Trento dal 1028, per seguire poi le sorti della signoria tirolese. Oggi praticamente si trova nel punto di unione di 3 Stati: Austria, Svizzera e Italia.

 


 

Ma perché tutto questo interesse per una (quasi) sperduta località delle Alpi? Una ragione è perché mi incuriosiva l’idea di ripercorrere quasi fedelmente un tratto della antica via Claudia Augusta da casa mia fino ai provvisori limiti dell’impero romano, dove però, questi lontani cugini, sono rimasti al di là del “nuovo” confine disegnato dopo la Grande Guerra. La seconda ragione è che ho scoperto che nel Medioevo da quelle parti molti cercatori d’oro (i Venediger) avevano fatto fortuna trovando sabbia d’oro nei due laghetti Goldseen formati dalla morena ai piedi del Bergkastelspitze.

 


 

Tra storia ed economia eccomi quindi in viaggio con una persona al di sopra delle cose materiali e terrene: il meditabondo (meditante+errabondo) Max Meru (colui che cambia nome ogni due mesi per sfuggire alle ire di Shakti), che mi accompagnerà sulla Goldweg (la via dell’oro), una splendida via ferrata che porta in cima ad una vetta che segna il confine tra Italia e Austria a quasi 3000 metri. Incontreremo la temibile “Goldwandl” (la paretina d’oro), un tratto molto verticale ed esposto che ci impegnerà a livello fisico e mentale (narrano le leggende) e una volta raggiunta la croce di vetta, scenderemo in direzione dei “Goldseen” (i laghi d’oro) a cercare fortune metalliche insperate.

 


 

 

Ma non è oro tutto ciò che luccica!

 

Tanto per cominciare arriviamo alla partenza della telecabina BergKastell un’ora prima dell’apertura: attesa che inganniamo con una visita accurata ai bagni della stazione di partenza visto che il bar è chiuso. Pagato il dazio (17 euro per a/r....), poiché ci risulta impraticabile arrivare all’attacco della ferrata a piedi, arriviamo “meccanizzati” ad una quota ragionevole (2200m) e ancora fiduciosi nelle condizioni meteo. Il sole brilla, ma dalla Svizzera stanno arrivando impressionanti nubi nere, cariche d’acqua e di fulmini come se dovessimo venir puniti per aver osato varcare gli italici confini.

 

Dubbiosi, iniziamo a salire seguendo labili segnacoli e tracce: ben presto ci troviamo a vagare nella morena senza aver la minima idea di dove inizi la ferrata. Nessun segnale, nessuna traccia colorata, qualche incerto ometto in pietra, nessun umano e il tempo volge decisamente al brutto. Comincia a piovicchiare e si prevedono temporali massicci. Trovarsi attaccati ad un cavo di acciaio tra fulmini e saette non è una bella cosa, anche se c’è di mezzo la ricerca dell’oro. 

 


 

Decidiamo di scendere e di rinunciare, anche perché non sappiamo affatto dove siamo rispetto all’attacco della via. La pioggia aumenta e ci ripariamo sotto una sporgenza rocciosa a mangiare becchime e frutta secca, quando all’improvviso avviene il miracolo: il cielo si squarcia, le nubi malefiche si fermano sopra la vallata che separa l’Austria dalla Svizzera e noi riguardiamo fiduciosi la vetta (senza peraltro individuare la partenza dei cavi). Ravaniamo per massi ancora un po', avanti e indietro, ma alla fine ecco la tanto desiderata fune. Ci bardiamo con tutto il necessario e partiamo: o la va, o finiremo arrostiti allo spiedo cucinati da un fulmine biricchino.

 


 

La ferrata è in stile classico: cavo poco teso, nessun (o quasi) appiglio artificiale quali grappe, scalette, etc. Solo fessure, appigli naturali e ferro su cui tirare di tanto in tanto quando non se ne può fare a meno. Scattiamo le foto, ma ”osta! ‘ndo elo finì el biglietto per el ritorno en funivia?”. Maledetto me. L’avevo messo nel taschino assieme al cellulare per le foto e sicuramente l’ho perso in un’orribile crepa che porta al centro della Terra. Accidentaccio, altro che trovare oro. Qua mi tocca pagare un’altra volta il salato passaggio.

 


 

Ma ad un tratto eccoci alla seconda botta di fortuna: sento dietro di noi uno sferragliare famigliare qualcuno sta salendo dietro di noi, capelli biondi, lunghi, una ragazza giovane, un angelo.

 

Rallentiamo e aspettiamo e parla italiano (mista altoatesina/austriaca) evitandomi di attaccare col mio inglese diplomatico. Convenevoli di cortesia: ci dice che ci stava tenendo d’occhio perché si era persa pure lei e non sapeva se tornare indietro o seguirci a debita distanza, incerta sul meteo. Quando poi ha visto che abbiamo deciso di partire, si è fatta coraggio e ci ha seguiti. La guardo come se fosse un’apparizione celeste e subito mi affiora sulle labbra una domanda: ”Non è che per caso hai trovato sul percorso un biglietto della funivia?”.

 

L’angelo dagli occhi azzurri mi risponde sicura: ”Ma certo. Vi stavo raggiungendo proprio per questo motivo” e mi porge sorridente il ticket salvifico che ormai davo per perso. Le prometto amore eterno e tanti lumini ogni sera sull’altarino che costruirò in suo onore, ripongo con estrema cura il “tanto caro” tagliandino e baldanzosi riprendiamo la salita.

 


 

Arriviamo in 3 alla famosa “paretina d’oro”: Max l’affronta per primo evitando con cura ogni contatto col vil metallo (il suo 6c/7a si fa sentire) mentre io sfrutto le lunghe staffe come scalini di una improbabile scala. La ragazza aspetta il turno con le gambe a penzoloni nel vuoto.

 


 

Le braccia “tirano”, lo strapiombo si sente ma per fortuna non è così lungo e passiamo uno alla volta senza troppi patemi. In realtà incontreremo poi altri punti classificati E (estremamente difficile) ma sono brevi e li superiamo di slancio in quasi apnea.

 


 

La via si sviluppa in cresta aerea, su e giù, facendoci vedere la croce e ingannandoci con salti di roccia e fessure, selle e massi verticali. La ragazza ci sorpassa, (con i suoi 30 anni di meno) e ci aspetta in cima. Noi perdiamo tempo con le foto e alla fine ci siamo anche noi.

 


 

Ottimo lavoro, ottima vista, ottimo paninone ma le nubi svizzere sono sempre lì pronte a ghermirci.

 


 

E quindi sempre per via attrezzata scendiamo verso i Goldseen a cercare pagliuzze d’oro. In discesa, così come è comparsa, l’angelo azzurro scompare alla nostra vista mentre noi ripiombiamo nell’incerta solitudine della morena: niente tracce né segnali, ma solo scarsi ometti. Ovviamente saltiamo un bivio e seguendo una parvenza di sentiero che ben presto sparisce, ci ritroviamo ad attraversare di largo tutta la morena tenendo a vista il punto di arrivo costituito dalla telecabina.

Dopo il consueto ravanare, arriviamo abbastanza provati alla stazione di arrivo dove esibisco raggiante il mio biglietto come se avessi trovato una pepita d’oro.

 

Il lento dondolio della telecabina ci fa quasi assopire mentre ammiriamo estatici le lontane vette del Bernina e del Piz Palù in lontananza: siamo talmente intontiti che quasi ci mettiamo a forzare la portiera di una macchina gemella della nostra e posteggiata nelle vicinanze. Vergognosi per essere scambiati per volgari ladruncoli ritroviamo la nostra legittima vettura e rientriamo verso i patrii lidi.

 

 


 

Considerazioni finali: non abbiamo trovato l’oro ma un angioletto che mi ha ritrovato il biglietto del ritorno; non abbiamo trovato i giusti sentieri e non abbiamo trovato i fulmini ma un po' di sole soprattutto quando ci siamo immersi in due enormi birre dorate. Ma soprattutto abbiamo visto come sia possibile costruire ferrate in modo corretto, senza ricorrere ad artifici del genere “scalette per criceti”, corrimano inutili, staffe e gradini, come ne stanno facendo fin troppe da noi (ferrata dell’Aquila in Paganella, ferrata “vertical Cermis” ai Laghetti di Bombasel, tanto per citare le due ultime nate), realizzate e finanziate da società di impianti per aggredire sempre di più la montagna con percorsi di avvicinamento facilitati e brevi che portano inevitabilmente orde di turisti troppo spesso impreparati e solo smaniosi di adrenalina fina a se stessa.

 

Ferrate che non sacrificano ben 15 vie storiche alpinistiche come in Paganella e che si sviluppano sostanzialmente in discesa (orribile aberrazione) e dove la parola “fatica” viene eliminata per non spaventare neofiti e “fenomeni” in vena di acrobazie da acropark. A buon intenditor poche parole.

 

Per trovare una descrizione succinta della Goldweg si veda questo link:

http://www.seilschaft.it/zz%20aa3%20ferrata%20bergkastel.htm

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