Una proposta show truck per rilanciare Trento Estate perché l'arte fa comunità, anche su ruote
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
C’era una volta l’estate. Stagione che c’è ancora. Ma che è labile, così come le altre tre.
C’era una volta Trento Estate. Manifestazione che c’è ancora. Ma che oggi ha – come minimo - il nome sbagliato. E non solo quello. Dovrebbe chiamarsi: 'Trento, meno di mezza estate'.
Trento non è, infatti, il solo tragitto che unisce il Santa Chiara – inteso come polo cultural spettacolare – e il piazzale delle scuole Crispi in piazza Fiera. Trento è pure – e più di tutto – periferia: quartieri, sobborghi. Qualche anno fa – sono pochi anni ma sembrano un’eternità – Trento Estate era una proposta di cultura e di aggregazione che puntualmente si articolava, coinvolgendolo, tutto il territorio cittadino. Erano tanti piccoli eventi: musica, teatro ragazzi, prosa mignon, letture, e altro. Tanto altro.
Ad ogni circoscrizione toccava un certo numero di appuntamenti. Chi più, chi meno anche in rapporto a sensibilità e capacità di collaborazione. Ma per tutti i territori cittadini Trento Estate rappresentava un’occasione di socialità prima che di cultura. Un’occasione di indubitabile valenza.
Portare spettacolo sul territorio significava, infatti, offrire una possibilità, rara, d’incontro tra le persone. E poi anche di 'avvicinamento' all’arte per chi raramente frequenta i 'luoghi deputati' alla cultura o all’intrattenimento, (auditorium, teatri, etc).
Trento Estate era una proposta importante. I concerti facevano sì che per una volta i giovani di un sobborgo non migrassero altrove al motto – veritiero- di 'qui per noi non c’è mai nulla'. Gli spettacoli per bambini richiamavano genitori e figli, famiglie insomma. Le famiglie a Trento – oggi più che qualche anno fa – parlano e vestono in modi diversi. Ma davanti ad un burattino, ad un attore, ad un musico parlano spesso miracolosamente una lingua sola.
Quando il Centro Santa Chiara archiviò la Trento Estate dei territori per concentrare tutta l’offerta nel cuore della città addusse motivazioni economiche. I fondi che il Comune metteva a disposizione del Santa Chiara – si disse – non bastavano a coprire le spese di allestimento e di organizzazione delle decine e decine di eventi. Il Comune – committente del Santa Chiara – oppose la stessa resistenza che un fuscello oppone ad un uragano. Si sarebbe potuto trattare. Si sarebbero potute impostare modifiche risparmiose con sforzo reciproco. Tanto il Comune quanto il Santa Chiara evitarono perfino di aprire un minimo di dibattito serio. Chi in Comune governava allora la cultura – Lucia Maestri, oggi consigliera provinciale Pd – si arrese subito ad un ineluttabile che ineluttabile poteva anche non essere. Chi era appena arrivato a governare il Centro Santa Chiara – il direttore Francesco Nardelli – si immolava al solo verbo ragionieristico. Il territorio? La socialità? L’incontro? Non erano e non sono contemplati dal pallottoliere. E quanto al sindaco, che al tempo era l’amato Pacher, sulla questione non è mai pervenuto.
La conseguenza di questa attitudine perniciosa all’irrazionale è il fatto che Trento Estate è oggi tutt’altra cosa rispetto ad un passato che non è nemmeno tanto remoto.
Occhio, non è che la manifestazione manchi di appeal. Al piazzale delle Crispi il cinema e i benemeriti, longevi, Itinerari Folk fanno sempre il pieno. Al Giardino del Centro Santa Chiara rock e dintorni non sono ignorati. Così come altre offerte di prosa estiva, eccetera.
Ma se qualcuno si prendesse la briga di analizzare il pubblico – in qualche occasione si potrebbe fare perfino l’appello dei soliti noti - si accorgerebbe di quanto la concentrazione di Trento Estate in centro città abbia fatto assumere alla manifestazione un significato diverso. Volendo esagerare si potrebbe dire 'meno democratico' laddove per democrazia culturale si intende offrire occasioni artistiche alla maggioranza che generalmente non le pratica
E allora: se fosse il caso di ripensarci? Se fosse il caso di ragionare anche sul fatto indiscutibile che l’arte, la cultura e l’aggregazione che ne deriva è anche uno strumento di sicurezza oltre che di crescita e di serenità. L’animazione di un parco, di un qualche spazio decentrato di sobborgo o di quartiere, è un’opzione anti devianza. Se a giovani, anziani, bambini, mezze età e famiglie viene dato modo di ritrovarsi a curiosare e magari applaudire insieme, i guai cambiano location.
Sì, ma come ripensarci? Il problema finanziario – sia al Santa Chiara che in Comune (circoscrizioni comprese), rimane. Anzi, a dirla tutta, in questi anni si è aggravato.
Dunque? Dunque fantasia. Dunque capacità di guardarsi attorno piuttosto che rimirare il proprio ombelico da amministratore. Il sottoscritto un’idea la butta lì. Il Comune, il Santa Chiara, qualche raro privato illuminato o chi vi pare potrebbero per esempio pensare ad attrezzare un palco mobile itinerante per portare lo spettacolo della bella stagione in giro per i territori della città. Si tratterebbe di investire in un camion o consimili, di dotare il rimorchio di luci, amplificazioni, mixer e quant’altro indispensabile allo spettacolo.
Lo show-truck non è certo una novità. In Italia e all’estero ne girano ormai tanti: si comprano, si affittano. Ce ne sono di meravigliosi. Ce ne sono di meno ambiziosi. L’importante è che rispondano alle esigenze. Se il limite di Trento Estate versione decentrata era il costo di ogni singolo allestimento moltiplicato per tot eventi (palchi, service, personale, eccetera), il palco mobile è una spesa una tantum per una probabile tantum resa. Sì perché nel variegato, strambo e contraddittorio universo artistico cittadino sono sicuramente in tanti quelli che si farebbero intrigare dall’esperienza del camion da spettacolo.
Insomma, il sottoscritto è pronto a scommettere che di fronte alla proposta di esibirsi in un contesto così irrituale non sarebbero pochi i musicisti o i teatranti disponibili a non porre questioni di cachet. Per altro il palco mobile, lo show – truck, potrebbe essere un formidabile strumento per portare vitalità (non solo artistica) proprio nei luoghi considerati più problematici e rischiosi della periferia.
Orbene, questa è la sfida. A chi lanciarla? Forse all’attuale assessore alla cultura, per competenza. In camera caritatis il buon Robol ha mostrato interesse. Ma l’interesse (parole, parole) in politica è un fatto scontato. I fatti, invece, non lo sono per nulla. Altri? Stanchina, l’assessore al commercio, che non sembra essere mai 'stanchino' quando c’è da perorare la causa di una città animata di un po’ di coraggio e di inedito anche in funzione anti rischi. E poi il sindaco, se mai Andreatta frenasse un attimo il suo correre frenetico verso non si sa che. Ad un sindaco meno congestionato da eccesso di pensieri e assenza di un pensiero di governo collettivo chiederei se davvero pensa che i 'bisogni dei territori' siano solo materiali. Se non lo pensa – come non penso che pensi – gli ripeterei che il più importante servizio alla comunità è – scusate il bisticcio – 'fare comunità'. E l’arte fa comunità. Anche su ruote.