La coppia che scoppia è un'Odissea senza tempo
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
“Ecco chi sei, tutte le cose che amai sono in te. Ecco chi sei, quello che sempre cercai ora c’è. Solo per me. Tutto per me”. Se ai tempi di Omero ci fosse stata Orietta Berti – che con l’età non è poi così lontana - il poeta greco avrebbe fatto cinguettare a Penelope con mitica, (anche le canzoni qui sono in tema), “Tu sei quello” . E l’Odissea sarebbe stata l’archeologia di Armony o di Sentieri: i libri rosa che più rosa non si può, la telenovela di cui più non si può.
Il greco – un po’ per fortuna e un po’ per iella di intere generazioni liceali – è scrittore un attimo più complesso. Omero tesse la trama, ovvio, così come Penelope tesse la tela per fregare i Proci nell’attesa di un Ulisse redivivo. Ma se la trama del poema epico non richiede chissà quale sforzo per essere seguita, i personaggi non sono poi così nitidi. Forti sì. Eroici sì. Qualche volta sfigati pure. Ma spesso – belli e brutti – confusi in una controluce caratteriale che invita i lettori a non trarre conclusioni facili.
Ma se tra i lettori – estimatori – dell’epico c’è chi si permette di “riscrivere” Omero? Beh, Luigi Malerba lo ha fatto ormai parecchi anni fa. E nella sua operazione capita che Freud o peggio un qualsiasi strizzacervelli archivino la semplicità inarrivabile di Orietta Berti per trasformare i protagonisti principali dell’Odissea in un sunto psico-didattico delle contraddizioni di coppia.
La coppia di un ieri e di un’era lontanissima. Una coppia che potrebbe essere vicina di casa o d’ufficio. Omero resta Omero. La macchina del tempo resta in garage perché l’Odissea di malerba non trasloca nel presente: nessuna modernizzazione di un’opera antica ma, quello sì, carte ampiamente rimescolate. L’eroe torna a casa – Itaca – e fa il macho che per vuole tastare la fedeltà della moglie.
Mendica Ulisse: mendica prove d’amore dopo aver vagato una vita per altri mari e per altri amori. Armony o Sentieri, (e milioni di altre fiction pomeridian - serali) avrebbero scritto il lieto fine ancora prima dell’inizio. Penelope che stramazza ai piedi del marito ritornato, in men che non si dica. Malerba no.
Se dietro uno scrittore c’è una compagnia con un po’ di senno il femminismo segna inesorabilmente la letteratura. E così dentro “Itaca per sempre” – il titolo del libro di Malerba – Penelope detta le regole, governa il gioco, conduce Ulisse in un territorio in cui la finzione mette l’eroe sotto esame, ne impoverisce l’orgoglio e ne umanizza ogni sentimento.
“Itaca per sempre”, il punto di vista di Malerba sull’Odissea, l’altra sera a di Pergine si è materializzato. Dalle pagine al gesto, alla parola, alla scena, al silenzio, all’acqua che spruzza ovunque a simboleggiare il sangue di guerra e di vendetta, al vento che muove i fondali.
“Itaca per sempre” ha debuttato, meritando infine lunghi minuti di applausi da una platea “da fascia protetta” per i due attori che a Trento e in provincia hanno seguito d’affezione. “Itaca per sempre” è la fatica che Andrea Baracco, il regista, ha affidato all’intensità di Woody Neri e alla tecnica pignola e ben rodata di Maura Pettorruso per la produzione di Trento Spettacoli che ha promosso il lavoro come “prima nazionale”.
Il Woody Ulisse è un concentrato impressionante di muscoli e tatuaggi. Ma proprio tartaruga addominale, (invidiabile e invidiata da signore e signori), e carta geografica di pelle sono sembrati azzeccatissimi trabocchetti: l’Ulisse che sembra Fabrizio Corona (con il cervello in più) dentro “Itaca per sempre” è tutt’altro che uomo forte.
E’ debole, debolissimo, anche se fa fuori un piccolo esercito di usurpatori. E’ spiazzato, l’Ulisse da palco, quando Penelope lo conosce e insieme lo disconosce: cercava il marito che si ricordava prima dei viaggi interminabili per mari, conflitti, illusioni e suggestioni. Si ritrova un milite – Ulisse è pur sempre un guerriero – quasi ignoto. Una confusione reciproca: Ulisse sballa quando la moglie - fingendo ad arte - lo tratta da estraneo. L’eroe è insicuro, pronto alla fuga ma infine incapace anche di quella. “Itaca per sempre” finisce in un talamo dopo un’ora secca di monologhi incrociati.
Eccola una bella trovata dello spettacolo: i due si raccontano ognuno per proprio conto, narrando il loro interiore intricato, e pur senza duettare dialogano. E dialogano - da separati - con efficacia emozionale. Rivendicano Ulisse Woody e Penelope Maura. Sperano. Sono entrambi diventati diversi, entrambi “altro” e per questo stentano ad accettarsi.
Se Woody Neri caricasse meno solennità sul personaggio e se Maura Pettorruso si controllasse un po’ meno “Itaca per sempre” guadagnerebbe pathos. Ma una prima è una prima: in teatro il sinonimo di replica è migliorare. Non c’è invece nulla da migliorare nella cupa scenografia di Luca Brinchi e Daniele Spanò. Contenitori d’acqua trasparenti che contengono oggetti. L'Odissea per simboli. L'Odissea - quella dei ruoli scontati, maschio prima e femmina dopo, che affonda. Più buio che luce, le quinte che ondeggiano. E' un'essenzialità centrata perché nei tormenti dell’anima, nei tormenti di Ulisse e di Penelope, non c’è nulla più di epico. E nulla di estetico.
Nell’Itaca vista a Pergine - due bravi attori hanno invitato a riflettere sul cambiamento. Non c’è scampo: è arduo accettare che chi ci sta a cuore, (amore, amicizia) non sia sempre come lo vorremmo o come ci immaginiamo che debba essere.
Ma porca di quella miseria, è proprio questo che fa la differenza tra vita e fiction. Quindi riposino in pace Ulisse e Penelope. Del loro perdersi e ritrovarsi ci siamo da tempo fatti una ragione. E se cambiamo non è un problema. Purché si cambi in meglio.