Il Colibrì, un affascinante ed intrigante gioco di flash back sulle ali del tempo con uno straordinario Favino diretto da Francesca Archibugi
Ribelle quanto basta amo gli animali e in particolare i gatti. Inseguo sempre i miei sogni come quello di scrivere e da sempre racconto storie spesso e volentieri di mici e micie.
La sala è buia. I titoli di coda scorrono e nell'etere si fa strada la voce calda e sensuale di Marco Mengoni. Sta cantando "Caro amore lontanissimo" , che la figlia di Sergio Endrigo ha consegnato nelle sue mani sapienti perché ne facesse un capolavoro. Le note si alzano e si abbassano lievi, parimenti alla vicenda appena conclusa, delle quali sono una parte importante, che ne chiude le emozioni. "Colibrì "di Francesca Archibugi è un affascinante ed intrigante gioco di flash back sulle ali del tempo che racconta la vita e le vicissitudini di Marco Carrera, tratto dal romanzo di Sandro Veronesi, tradotto in 25 lingue, che nel 2020 ha vinto il premio Strega.
La vita apparentemente normale del protagonista, un Pierfrancesco Favino in stato di grazia, nasconde un intricato intreccio di sentimenti inevasi che l'uomo cela a se stesso nell'allegorico convincimento di mantenersi in bilico nel fiume della sua esistenza, come appunto il Colibrì, che sbatte con tutte le sue forza le ali per rimanere immobile nello stesso luogo. Questo da adolescente era il suo soprannome poiché era basso di statura, anche se fino da allora la sua figura emanava un fascino sottile e pregnante. Lo scorrere della vicenda mostra linee parallele, occasioni mancate, strade non intraprese per la paura di osare, nella profonda ostinazione di mantenere lo status quo.
La sua vita "normale "di padre e di marito, con la moglie Marina che lo tradisce in ogni dove, una Katia Smutniak, tanto bella quanto intensa, che lo ferisce nei suoi sentimenti più profondi negando con efferata crudezza di averlo mai amato, scorre parallela al grande amore della sua vita, amore mai consumato e mai finito per Luisa, una donna italofrancese conosciuta da ragazzo, una passione tanto intensa quanto casta, alimentata nel lungo fiume dei ricordi. Marco ha dialogo con lo psicanalista Carradori, un Nanni Moretti tanto acuto quanto didascalico, che lo informa che la moglie, che poi finirà in una casa di cura per patologie mentali, aveva troncato le sedute e che li capisce che Marco è innamorato di un'altra, e di come il suo matrimonio sia sempre stato fondato su un compromesso e sulla menzogna a sé raccontata.
Nei flash back vediamo la morte dolorosa della sorella Irene, suicida a 24 anni, le liti dei genitori, che realizzano in pieno la frase "Nec sine te, nec tecum vivere possum", la figlia Adele, che lascia la madre per andare a vivere con il padre Marco, e muore a ventuno anni, dopo essere precipitata nel vuoto mentre stava per arrampicarsi su di una roccia. In tutti questi dolori, in tutte queste rinunce e introspezioni mai risolte spicca la dolcezza della nipote Miraijian un nome giapponese che vuol dire l’uomo del futuro, una bimba avuta dalla figlia al di fuori di una relazione stabile, nei confronti della quale assume il ruolo di genitore surrogato.
È dolce e struggente l'amore per questa piccola dagli occhi di ebano. Diventata adulta, una bravissima Rausy Giangaré. La nipote Miraijin è un po’ una ancora di salvezza per lui, un amore puro e incondizionato. Diciamo l’unica cosa certa fatta bene nella sua vita senza decisioni. La vicenda ha un epilogo drammatico e sconvolgente, che si concretizza forse nell'unica decisione vera da lui presa nella sua vita in bilico. Una mascolinità particolare, che mette sempre gli altri prima di sé, che fa delle tante donne che lo circondano il fulcro della sua esistenza. Un protagonista fragile, dalle mille complessità, che comunque abbraccia e cavalca l'onda della complessità della sua vita.
"Tu sei un Colibrì, perché come il Colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo."