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Gesù disse: «Nessun profeta è bene accetto nella sua patria»

Le reazioni dei compaesani di Gesù sono state, però, discordi. Se alcuni risultarono meravigliati, altri si chiesero con che autorevolezza il figlio di un falegname – che tutti hanno potuto conoscere dalla sua nascita – potesse compiere una tale affermazione
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Di Alessandro Anderle - 02 febbraio 2019

Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,

Lc 4,21-30 [In quel tempo], Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: «Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!»».

 

Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

 

All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

 

Il brano letto questa domenica dalla Chiesa cattolica segue, direttamente, quello della scorsa settimana. La scena è questa: Gesù è a casa, a Nazareth, e come era solito fare si reca il sabato in sinagoga per la preghiera.

 

Là viene invitato a leggere e commentare un brano tratto dal profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore”. Il commento di Gesù è chiaro ed autorevole: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». Proclama l'avverarsi, qui ed ora, della profezia.

 

Le reazioni dei compaesani di Gesù sono state, però, discordi. Se alcuni risultarono meravigliati, altri si chiesero con che autorevolezza il figlio di un falegname – che tutti hanno potuto conoscere dalla sua nascita – potesse compiere una tale affermazione. Qui Gesù, citando ancora i profeti, afferma che nessun profeta fu ben accetto nella propria patria, immagina che gli venga chiesto di compiere anche là dei segni, dei miracoli per confermare la propria autorevolezza.

 

I connazionali di Gesù stavano attendendo un Messiah, un nuovo re che fosse in grado di liberarli dall'occupazione dei romani. La situazione sociale, a causa dei continui soprusi dei soldati, era sempre molto tesa. In questo clima, però, Gesù porta un messaggio diverso, una liberazione che è liberazione totale. La vera libertà è quella che si può sperimentare solamente nell'amore.

 

Per far capire questo Gesù porta due esempi provocatoriamente “scandalosi”, che causeranno una reazione spropositata nella folla: un tentativo di linciaggio. Gesù parla di Elia ed Eliseo, due fra i più grandi profeti dell'antico Israele, ed afferma che anche loro, nel momento del bisogno (la carestia e la guarigione), operarono miracoli per delle persone non appartenenti al popolo giudaico, per degli stranieri. Afferma che la rivelazione che sta portando sarà per tutti, non sarà tesoro esclusivo di Israele, e che, anzi, in Israele non verrà accolta. Nessuno è profeta in patria: il discredito preventivo di chi crede di conoscere è l'unico, terribile, ostacolo all'instaurarsi della più semplice delle leggi, la legge di amare Dio e il prossimo.

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