"Realismo magico", gli anni venti tra sogno e realtà e il Mart torna grande protagonista
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
“Il Novecento è nelle mie corde”. Gabriella Belli ha esordito così alla presentazione di “Realismo magico”, ultima mostra proposta dal Mart nel 2017. Una curatrice – assieme a Valerio Terraroli – che subito si riprende un ruolo da primadonna, protagonista assoluta in questo museo, dove ritorna dopo anni, dopo averlo ideato (2002) partorito come un figlio. Mart da lei diretto – con grandi riscontri - fino al 2011 per passare poi a Venezia a dirigere (fino a qualche mese fa) la Fondazione dei Musei Civici.
Comunque parliamo di “Realismo magico – L’incanto nella pittura italiana degli anni Venti e Trenta". E’ un ossimoro condiviso da più studiosi, come Massimo Bontempelli, dice lo storico Valerio Terraroli. E’ un modo di sentire, è una scelta alternativa di percepire, leggere, interpretare il contingente, la quotidianità. Una sorta di nuovo Rinascimento in cui Piero della Francesca ci conduce verso un’arte nuova, che abbia un metodo, una prospettiva in tutti i sensi. Gabriella Belli considera il Mart uno dei più importanti musei d'arte moderna e contemporanea grazie al dettagliato archivio, alla folta biblioteca, alle opere in deposito, ai ricercatori con la loro professionalità. Questa mostra ne è una testimonianza.
La Belli ci parla dell’arte di Rousseau (una mostra molto apprezzata da lei proposta nel 2015 a Palazzo Ducale Venezia) e di come abbia influenzato l’arte del Novecento. Rousseau viene visto nelle sue smaglianti intuizioni. Carrà infatti, viene coinvolto dal primitivismo rousseauiano. Egli dice “con Rousseau costruisco la nuova pittura europea”. Il mistero dell’incanto che anima il primo Novecento è il leitmotiv della mostra. Tanti gli artisti: da Luigi Bonazza, a Giorgio de Chirico, da Antonio Donghi, a Ubaldo Oppi per citarne alcuni. Artisti senza programma o manifesto, quelli proposti. Il Realismo magico è uno stato d’animo, una tendenza che vuole costruire un nuovo immaginario fantastico, dopo la morte delle Avanguardie, la fine delle loro promesse cancellate dai cannoni della Prima guerra mondiale, parole della Belli.
Andiamo nelle sale: Carlo Carrà con Le figlie di Loth apre la mostra, si ferma l’essenza delle cose. I personaggi sono pietrificati, come statue greche, sospesi. Felice Casorati viene esaltato nel suo personale modo di comporre, figure immerse nella luce, in tonalità monocromatiche come nello splendido Cynthia. Una mostra che pone dei quesiti sui personaggi e sugli sguardi spesso verso l’osservatore. Ci si interroga. Come Carlo Levi in Arcadia. Un adolescente nudo ci guarda, ci scruta, ci giudica? Cagnaccio di San Pietro poi, con Zoologia, ci mostra un uomo senza vestiti che immobilizza una donna anch’essa nuda irrigidita e terrorizzata. Sulla destra c’è un testo di zoologia. Insolita inquadratura che vuole mettere in rilievo il periodo storico in cui l’Italia era sprofondata.
Un’opera che ha la visione morale del presente. Come Dopo l’orgia, rifiutata dalla giuria della Biennale 1928, per un polsino con il fascio littorio lasciato fra corpi di donne addormentate. Tagli di luci sovrane nei quadri scelti. Oggetti sovrapposti, assemblati disordinatamente. Bambini che ci guardano, sospesi in un mondo fantastico, alla ricerca di nuove identità, salti generazionali, per esprimere le tensioni e le contraddizioni dell’arte contemporanea. Scontri ed incontri di volti, ritratti ed autoritratti ci parlano di un passato, un decennio, gli anni venti, che ha influenzato l’idea di arte, per realizzare magie dove la realtà è solo un pretesto per mostrare un vissuto d’artista che inquadra la sua visione del mondo in uno scatto pittorico.
Una mostra che conta di coinvolgere schiere di visitatori, appuntamento più ‘popolare’, davvero alla portata dei più.