"Io danzerò", è una ventata di luce. La storia (bellissima) di come la danza diventa performance
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
Non ce lo perdiamo, nonostante il caldo torrido che immobilizza e condiziona. Una vera ‘perla’, ancora una volta all’Astra di Trento. E’ l’opera prima della regista Stephanie Di Giusto, fotografa, pubblicitaria, presentato a Cannes 2016 nella sezione Un Certain Regard, è una biografia ed ha vinto il Cesar per i costumi. La regista vuole emozionare, con un montaggio veloce, imprevedibile, per mettere in luce una vita incredibile quella della protagonista Marie-Louise Fuller, antesignana della moderna danza, americana nata nel profondo rurale di fine ‘800, in rotta con la famiglia, decisa a stravolgere certe convinzioni adottando anche il soprannome Loie.
Cosa poteva combinare una venticinquenne ribelle, abbandonata dalla madre, con un padre alcolizzato, nelle praterie del Far West? Poteva solo fuggire lontano per affermare i propri ideali. Scappare a Brooklyn, rifugiarsi poi a Parigi. Portare i propri sogni, disegni di costumi e movimenti, studiati ed eseguiti nei dettagli, davanti ad un importante teatro parigino: Le Folies Bergeres. E’ mossa dal coraggio dell’incoscienza, non ha nulla da perdere, e trova proprio chi crede in lei. Fondamentale: siamo nel pieno della Belle Epoque, i manifesti teatrali di Alphonse Mucha spopolano, proponendo una femminilità in trasformazione.
La Fuller ha progettato e realizzato un modo nuovo di danzare: un movimento rotatorio, per certi versi serpentino, in cui si danza con bastoni di bambù sulle spalle avvolti da lunghissimi tessuti bianchi illuminati con spettacolarità. Un’impresa faticosissima molto apprezzata dal pubblico. La tappa più ambita sarà l’Operà. Ma l’arrivo di una ballerina spregiudicata, Isadora Duncan (anch’essa condizionerà la danza moderna), stravolgerà la vita della Fuller. Un rapporto fatto di passioni, attrazioni sessuali, tradimenti e ricatti. In un contesto spietato: quello dello spettacolo, in cui per emergere si complotta e si sfruttano le debolezze dell’altro. Amore, odio, morte, riscatto. Tra primi piani che mostrano le imperfezioni del viso e una messa in scena in cui il corpo della protagonista si muove sinuosamente avvolta in 140 metri di tessuto, si va indietro con la mente, nel tempo dell’Art Nouveau.
La “serpentine dance”, fa vibrare gli animi, gli occhi si abbagliano di fronte a riflettori potenti. Vince la forza prorompente di una donna fragile, ma ostinata che sa di essere unica, sa di rappresentare un nuovo stile, un’americana a Parigi che non smette di credere nelle proprie idee rivoluzionarie. La Fuller immortalata da Rodin, rinasce con la forza prorompente dell’innovazione che va oltre la danza per divenire performance.