Il film di Albanese 'Contromano' va anche controcorrente
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
Il 4 aprile scorso è stato il cinquantesimo dell’assassinio di Martin Luther King. Cosa c’entra con un film, comico, commedia con risvolti drammatici? Si parla di razzismo e integrazione.
Un piccolo modello di cinema in cui il nostro Albanese, in modo semplice, cerca di spiegare e risolvere come lui vorrebbe comunicare e creare quindi un ponte tra noi e gli extracomunitari.
Antonio Albanese ce la mette tutta. Coinvolto a 360 gradi, è regista, sceneggiatore e anche attore.
Una storia surreale per riflettere sulle nostre realtà. Siamo a Milano, nel centro, la torre Velasca sullo sfondo, ma potrebbe essere ogni città.
Cavallaro Mario è un commerciante, ha un negozio di filati e calze di fibre raffinatissime, in una strada elegante. Ma “Filo di Svezia” Oba (attore cantante Alex Fondja), un “ciao amico vuoi comprare?”, è lì, sulla porta, con i suoi calzini a basso costo.
E’ esasperante davanti al suo negozio e vende alla grande. Nessuno vuole spendere. Neanche i ricchi clienti. Mario esasperato, depresso, senza amici, solo la vicina Gisella (Daniela Piperno), ha come valvola di sfogo il giardino-orto, sulla terrazza di casa. Non basta.
Un’assurda idea gli balena la mente. Addormentare Filo di Svezia (è il nome che Mario gli assegna), rapirlo e riportarlo a casa, in Senegal.
Un viaggio in cui viene coinvolta la finta sorella di Filo di Svezia, Dalida (l’attrice cantante beninese, Aude Legastelois), che lascerà il suo lavoro, assistente di un ricco spastico, molto ironico e visionario. Tra una battuta e l’altra si arriva al sud, Napoli e poi l’imbarco.
Tra un albergo e l’altro Oba è un po’ nervoso, non accetta il feeling creatosi tra lui e la dolce, bella sorella che in realtà sorella non è. Tensioni e incidenti si susseguono, ma lui è determinato. Mario vuole giungere in Senegal, costi quel che costi. Con un finale buonista si conclude una storia che avrebbe potuto essere più incisiva, visto il soggetto.
Il film è un tentativo di ricostruire un rapporto tra bianchi e neri. Vedere un villaggio africano con le sue tradizioni, ci mostra le potenzialità che la terra offre. E’ un incontro di idee che sono state già affrontate dalle associazioni umanitarie.
Da Frengo a Cetto la Qualunque, Albanese si cala in Mario Cavallaro, un borghese piccolo piccolo.
Il protagonista si accorge di aver finalmente trovato la felicità ed una ragione di vita nel viaggio e nel contributo che lui darà per la crescita dell’agricoltura in Senegal.
“I have a dream”, diceva Martin Luther King, un sogno che anche Albanese ha, per dare una vita dignitosa a tutti, senza limiti di razza, di religione. Le immagini partono dall’Italia, da Milano, per finire al globo terrestre, che noi osserviamo allontanarsi.
Il film trasmette, nonostante un inizio lento, senza effetti speciali, senza attori prorompenti o colonne sonore coinvolgenti, un’ assurda e ostinata richiesta di proposte concrete. Non solo due risate.
Sarà il momento adatto? Poche le persone in sala. Solo una proiezione giornaliera al Modena di Trento. “Parlo di razzismo in modo leggero” dice Albanese. Una sensazione: dopo questo film ti sembra che tutto sia migliore.