Geoffrey Rush e Arnie Hammer per un film godibile che racconta l'artista Giacometti
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
L’arte è libertà. Viva la libertà, senza freni e senza inibizioni. Sembra dirci Alberto Giacometti, il grande artista svizzero che cambiò l’idea di scultura del Novecento. Dal Surrealismo all’Esistenzialismo per interpretare la realtà. Un breve periodo quello trattato nel film “Final Portrait - L’arte di essere amici”, regia di Stanley Tucci conosciuto principalmente come attore televisivo. La storia è tratta dal libro “Un ritratto di Giacometti” scritto dall’americano James Lord, amico dell’artista. Lord documenterà anche fotograficamente, i diciotto complicatissimi giorni di posa (doveva essere un giorno solo) in cui Giacometti dipingerà il suo ritratto, rigorosamente dal vero.
Un tormento di emozioni per l’artista, che mai si sente soddisfatto e cancella – ripetutamente - il volto (per altro molto bello) del soggetto, coprendo il tratto con pennellate di grigio che si sovrappongono a nero e bianco. Una prova di forza e di amicizia da cui Lord riesce ad uscire grazie all’astuzia suggerita da Diego, fratello del pittore. Lo spazio in cui l’artista vive è minimo, l’atelier parigino è anche camera da letto, studio, laboratorio. La moglie Annette lo asseconda e lo lascia libero di mantenere rapporti con la sua musa modella Caroline.
Molto convincente l’interpretazione di Geoffrey Rush che assomiglia fortemente all’artista. Altrettanto valido Arnie Hammer, attore protagonista di una pellicola in odore di Oscar, “Call me by your name - Chiamami con il tuo nome” del regista Luca Guadagnino. Nel docufilm su Giacometti, Hammer interpreta ancora il ruolo del modello/americano, che raggiunge il suo obiettivo con il distacco dovuto. Non si lascia coinvolgere dagli eventi sempre diversi e con fredda determinazione si muove in un ambiente decisamente lontano da lui.
Coinvolgenti i dialoghi, ambientati sui viali del celebre cimitero Père Lachaise, i due protagonisti a discutere amichevolmente sugli artisti dell’epoca – siamo nel 1964 - criticando sia Picasso che Cezanne, evidenziando l’ironia e una certa ‘cattiveria’ di Giacometti, doti che certo non emergono dalle sue sculture così esili, scavate, grigie e bianche. Cosa vuol dire creare un’opera d’arte? Quanto è importante essere condiviso? Quando ci si accorge di aver concluso un’opera? Sono quesiti che si pone il regista nel raccontare un piccolo periodo della vita di Giacometti , la sua personalità controversa.
Difficile impacchettare e convincere della follia creativa che muove la mano e la mente dell’artista. Il montaggio aiuta a mantenere l’attenzione sulla storia. Non ci si annoia. Una vita vissuta intensamente, dove l’artista, famoso ed apprezzato, continua a ricercare forme che lo soddisfino, senza smettere mai. Il film è stato presentato in anteprima al Mart Auditorium Melotti di Rovereto, proiezione inserita all’interno del Mart Open Day. Sul palco a proporlo Gianfranco Maraniello il direttore del Mart e Sergio Fant, il curatore cinematografico del Trentofilmfestival.