Piccoli vignaioli crescono e trovano spazio, Emiliano Manica con marchio Feudo Castel Bazòm punta su orgoglio, coraggio e preparazione
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
Piccoli vignaioli crescono. E trovano spazio. Nel padiglione B4 allestito per Hospitality - aperto fino il prossimo 8 febbraio - tante le occasioni per scoprire le novità. Con piacevoli sorprese. Tra tutti Emiliano Manica, ‘Generazione Z’ di viti e vini, presente nello stand con i suoi prodotti a marchio Feudo Castel Bazòm.
E’ una storia di sincera dedizione al ciclo della vite. Che Emiliano recupera con orgoglio, coraggio e preparazione. Ha appena terminato gli studi alla centenaria scuola agraria di San Michele e già può vantare due personali autonome interpretazioni vendemmiali. Per un vignaiolo ventenne può essere un record. I primi riscontri degustativi sono più che promettenti.
La famiglia di Emiliano Manica è decisamente radicata in quel di Castellano, borgata collinare di Villa Lagarina. Frazione dinamica, molto legata alla storia del suo maniero, baluardo di traversie medioevali, il ruolo dei nobili Lodron, con il Paride ( 1435-1486 ) - conte del feudo di Castellano - che divise tra i suoi 13 figli ogni podere lagarino, per diversificare sia il potere che migliorare le colture agricole. Viticoltura compresa. Dunque un territorio con una storia tutta da scoprire anche dopo secoli dalla dominazione feudale lodronica.
Il giovane Emiliano rispetta il passato recuperando il ruolo dei suoi antenati, contadini, vignaioli, pure osti, sempre operosi nel paese attiguo il castello. Fortificazione chiamata ‘Bazòm’ dai residenti. Nome singolare dettato dalla strana forma originaria del maniero, torre fortificata con mura che lo rendono simile a un recipiente usato proprio in vendemmia: el bazòm, un secchio con doghe in legno, forma ovale, con una doga molto lunga da impugnare come manico. Simile a un moderno secchiello per il ghiaccio, ma con una valenza enologica molto più significativa.
Col ‘bazòm’ si travasava il mosto, si assaggiavano le prime vinificazioni. Sicuramente lo impugnavano gli avi di Emiliano, cantinieri e osti rinomati, operativi fino alla metà del secolo scorso. Adesso il ciclo della vite lo ha recuperato Emiliano.
Ha ascoltato preziosi consigli del nonno Ermanno e di papà Eros, applicando nell’azienda di famiglia nozioni viticole ed enologiche apprese con lo studio. Il 2022 è l’annata della sua prima autonoma vinificazione. Pigia uve dei suoi vigneti, poche varietà, molto rappresentative, coltivate sul versante che porta allo Stivo, quote comprese tra i 540 e 850 metri, uve a bacca bianca come il Mueller Thurgau e l’interspecifica Johanniter (varietà che non ha bisogno di trattamenti chimici) ma anche Rebo, Merlot e Pinot nero, quest’ultimo destinato ad una ‘presa di spuma’ secondo il canone dello spumante classico.
La cantina è assolutamente artigianale, curata e con attrezzature che guardano all’innovazione - uso di capienti anfore Made in Trentino - per una produzione complessiva che non raggiunge le 5 mila bottiglie. Ma i riscontri sono decisamente promettenti. Confermati pure dai giudizi riscossi a Spazio Vignaiolo, la kermesse che in questi giorni vede Riva del Garda Fierecongressi trasformata in una speciale Anteprima di Vinitaly.
Quasi 500 etichette di vini trentini, veneti, sudtirolesi e lombardi in degustazione. Tutti di vignaioli aderenti alla Fivi. Quelli che forse ora non impugnano l’obsoleto ‘ Bazòm’, ma sono decisi a recuperare valori, fatiche di storici vitivinicoltori per proporre vini originali e schiettamente ‘di territorio’. Vini con l’anima vignaiola.