Mueller Thurgau, per la prima volta una gran medaglia d'oro. Ma deve rafforzare il suo legame con Cembra
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
La sigla, per gli appassionati del buon vino, è MT. In realtà si dovrebbe pronunciare con una parola altrettanto sintetica: Cembra. Perché il Mueller Thurgau è il vero interprete della viticoltura della valle porfirica lungo l’Avisio. La conferma giunge dalla 21esima edizione della mostra/concorso dedicata a questo vino dall’omonimo vitigno. Ben 12 delle 18 medaglie totali sulla sessantina di vini in lizza hanno la griffe indiscutibilmente cembrana.
Con l’assoluto trionfatore, un MT d’antan - difficilmente si sfida il tempo con un vino con 10 anni d’affinamento in bottiglia - proposto da una cantina da sempre protagonista della caparbietà vitivinicola porfirica. E’ quello della cantina Pelz, un 2014 decisamente dolomitico: s’aggiudica la Gran Medaglia d’Oro, la menzione speciale di Miglior vino italiano del concorso e ovviamente anche l’encomio come Vino Longevo.
Medagliati pure un paio di Trentino Doc - quello della La Vis e il sapido quanto accattivante presentato dalla famiglia Simoni, la dinastia enoica titolare di Casata Monfort. Alti punteggi poi per il vino del duo Pojer&Sandri, con una versione Monogramma di MT, vino che questa cantina di Faedo (con diramazioni cembrane) propone da mezzo secolo, senza mai ufficialmente chiamarlo con il suo vero nome, scegliendo Palai come riferimento.
Sono stati proprio loro, Mario Pojer e Fiorentino Sandri, a recuperare coraggiosamente l’operato di un pioniere del MT, Remo Calovi, guarda caso di Faedo, il primo vignaiolo trentino a proporre un vino bianco da questa varietà d’uva.
Anni di sperimentazione, il MT dolomitico che si distingue nettamente da omonimi quanto dozzinali vini vendemmiati nelle comode piantagioni germaniche. Sempre sfidando l’altitudine. Con Cembra che diventa assoluto punto di riferimento.
Lo avevano capito i primi promotori della rassegna. Che per tante stagioni hanno però subìto la precisa quanto competitiva qualità dei ‘cugini altoatesini’. Un duello enoico talvolta sconfortante quanto assurdo. In quanto il livello dei MT bolzanini non erano - e non lo sono mai stati - nettamente superiori. Avevano - e in parte continuano a dimostralo - un legame stretto con specifiche zone viticole, la Val d’Isarco, su tutte, pure con le pendici sopra Cortaccia, l’enclave di Favogna, pure nei vigneti della Venosta.
E il Trentino? Scelte strategiche supportate dai vertici del tanto autoreferenziale ‘sistema vino’ hanno presentato il MT come vino di facile beva, pure d’immediato acquisto. Proponendo MT addirittura con le bollicine, vino brioso in stile prosecco, per un bere che ben poco evoca peculiarità territoriali. Qualcosa però è cambiato.
La conferma giunge dalla recente mostra cembrana. Con il MT che punta decisamente sulla forza dei luoghi, dei vigneti che scandiscono il ritmo del territorio dolomitico. Legami specifici e indiscutibili. Che dovrebbero spingere il comparto vitivinicolo trentino ad una precisa scelta: usare la parola Cembra come assoluto rafforzativo della produzione più rappresentativa.
Cembra, il vino che non scordi. Evoca paesaggi, stimola ricordi, rilancia la voglia di superare proposte commerciali dove il prezzo condiziona ogni scelta.
Cembra, per dar forza a questa tipologia, magari legando il rafforzativo a qualche specifica varietà della zona, Schiava compresa.
E farlo nell’ottica in voga tra le più quotate zone vitivinicole italiane, dove la Doc è rafforzata da storici toponimi: le cosiddette Uga - unità geografiche aggiunte - o altrimenti definite Mega - menzione geografica.
Lo hanno applicato tra i bricchi del Barolo, del Chianti, pure del Verdicchio e in altre importantissime realtà enoiche. L’Alto Adige ha presentato in sede ministeriale una nutrita selezione di toponimi. E il Trentino? Calma piatta, per ora.
Così per la Trentino Doc tutto è omologo. Stessa definizione di un vino, indipendentemente che sia prodotto ad Ala, a Trento, in valle dell’Adige, pure ovviamente in val di Cembra. Tutto e tutti sotto il ‘cappello’ della Doc. Introdurre la menzione Cembra - e poche altre, a partire da chiamare il teroldego solo col nome Rotaliano. Senza tralasciare Isera per il marzemino, magari Sarca per la conca verso il Garda - potrebbe essere il primo passo per fare chiarezza sui criteri della produzione vinicola.
Valorizzare - e supporto al prestigio, al prezzo del vino - con le "menzioni" le produzioni destinate al mercato più esigente, lasciando consuete denominazioni ai vini di facile beva e prezzi giustamente popolari. Altrimenti il fascino del vino trentino - spumante classico a parte - rischia di essere ulteriormente banalizzato, senza troppo appeal. Nonostante il livello qualitativo sia paritario, addirittura superiore a qualche Doc osannata dalla critica.
Insomma, la mostra di Cembra potrebbe dare uno scossone a tutto il "sistema". Difendere la specificità del MT proprio col rafforzativo Cembra.
Altrimenti tutti gli sforzi per onorare un vino coltivato lungo 708 chilometri di muri a secco, pendii a prova di equilibrio, alcune centinaia di ore di fatica tra i filari, vendemmie parche, genialità e pazienza dei vignaioli (come i Pelz) rischiano di perdersi, confondersi, nel marasma quantitativo di certi MT basati solo sulla facilità d’acquisto. E ancora: stando ad una recente indagine tra la "carte vino" dell’alta ristorazione, rarissime le presenze di etichette con l’MT in evidenza. "Non pervenuta" la Trentino Doc, penalizzata da mirabili quanto porfirici MT Vigneti delle Dolomiti e subissata specialmente dalla Doc Alto Adige, quella che valorizza da tanti anni le sue indimenticabili vallate viticole.