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Il Maor, archetipo del vitigno dolomitico più misterioso: poche centinaia di bottiglie per un vino antico che guarda al futuro

La prima vendemmia è stata fatta l’autunno scorso, opera del figlio del Zeremia, Lorenzo Zadra, nella caratteristica cantina di famiglia per onorare sia l’intuizione del padre, ma soprattutto riuscire a far assaggiare …adesso … questo archetipo enologico
DAL BLOG
Di Ades, by Nereo Pederzolli - 13 dicembre 2020

Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia

E’ l’archetipo dei vitigno dolomitico più misterioso. Vite decisamente resiliente – per usare una definizione di moda – che eroicamente torna a germogliare in un habitat dove il melo e la frutticoltura ha relegato l’uva nel dimenticatoio. Il suo nome è Maor una stranissima variante bianca del cupo, profondo e rubizzo Groppello di Revò. Intreccio genetico, misterioso come solo la stirpe del vino riesce ad evocare. Due viti diverse, unite dal legame territoriale: la val di Non e le prime colline verso quella di Sole.

 

Con Revò nell’indole. Perché è partita da Revò la scommessa del compianto Augusto Zadra, per tutti i vignaioli dolomitici ‘el Zeremia’. E’ stato lui - nei primi anni Duemila - a difendere il ‘suo Groppello’, vinificandolo nella caneva di casa, quasi clandestinamente, per poi coinvolgere alcuni altrettanto caparbi e validi viticoltori nonesi. E sempre ‘el Zeremia’ ha scovato tra i filari che guardano il lago di Santa Giustina, alcune viti a bacca bianca. Sorpresa e sperimentazione. Ha coinvolto la Fondazione Mach – la genetista Stella Grando – per tracciarne il Dna, per definire parentele e decretare legami proprio con il Groppello noneso.

 

Così i vivaisti hanno ‘riprodotto’ alcune centinaia di viti di questa ancestrale varietà, per poter vinificare in purezza il Maor. La prima vendemmia è stata fatta l’autunno scorso, opera del figlio del Zeremia, Lorenzo Zadra, nella caratteristica cantina di famiglia – ampliata e trasformata in una fucina d’idee enoiche – per onorare sia l’intuizione del padre, ma soprattutto riuscire a far assaggiare …adesso … questo archetipo enologico. Un vino bianco che recupera il passato e stimola schiette evoluzioni. Qualche centinaio di bottiglie appena, in attesa che le viti crescano, per vendemmie più significative.

 

Riesce ad esaltare sensazioni sedimentate nella memoria, per esaltare personalissime questioni di gusto. Giusta sapidità, per un’intrinseca rusticità. Come s’addice al vino nostrano che in Val di Non ha sancito l’evoluzione sociale – qui sono nate le prime cantine sociali d’impostazione asburgica e si barattava vino con Salisburgo, portando nelle case lungo il Noce il prezioso, indispensabile sale delle rinomate lontane miniere. Corpo croccante per un vino bianco che pare in grado di evolvere ulteriormente.

 

Senza alcuna pretesa, solo il piacere di assaporare un vino per certi versi unico e speciale nella sua semplicità. Non a caso Maor è l’anagramma di Amor. Degno emblema e apripista di Ades.

 


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