Il Groppello noneso di Revò rivive con LasteRosse tra viti ancestrali e innovazioni con tanto di ''bolle''
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
Un gioco tra varie concezioni di ossimoro, Lastre acuminate, il rosso che si contrappone al bianco, poi la gentile ruvidità del vitigno in questione con – altra contrapposizione sensoriale – la carezzevole vitalità, pure una spinta acidula altrettanto rilassante. Questione di stimoli giocati sull’indole – mai doma – di un vitigno che nel Dna ha la val di Non. Quel ‘non’ che lo rende unico, diverso, sicuramente interessante.
Perché il Groppello di Revò è contemporaneamente un relitto vegetale e una scommessa sul futuro. Vite ancestrale, anima rurale, le vicende contadine che hanno scandito nei secoli aspirazioni, battaglie, sconfitte e la ricerca di condividere sani piaceri alcolici. Anche di quanti riescono (ancora…adesso) a inserire la vite in un panorama drasticamente dominato dal melo.
Val di Non, per non lasciare intentato alcun stimolo enologico. E’ la scommessa di un minuscolo drappello di viticoltori nonesi, Revò il borgo, per dimostrare come il vino possa ritornare a segnare l’evoluzione della vallata che sovrasta il lago di santa Giustina, davanti Castel Cles.
Tra i pionieri ecco la dinamica cantina della famiglia Pancheri, in prima fila nel coniugare Groppello noneso con promozione ambientale. Hanno promosso la coinvolgente iniziativa ‘Addotta un filare’, per legare la vite alle aspettative di quanti curano il vigneto e ottenere un vino altrettanto singolare: il vino delle ‘mie’ vigne!
Ma l’innovazione di Lastre Rosse non si limita solo a questo. Recuperano la vigoria del vitigno – solitamente garantisce un rosso rubino profondo, porpureo, quasi denso, con cenni floreali al naso, per un sorso con una certa speziatura avvolgente – e lo interpretano come spumante classico, la lenta rifermentazione in bottiglia di un Groppello di Revò appositamente elaborato. Ecco il perché dell’ossimoro suggerito al primo approccio con questa sperimentale e ardita forma di spumantizzazione. Con riscontri decisamente piacevoli, anzi, intriganti.
Uno spumante degno della singolarità del ‘vitigno madre’ che in questo caso diventa una vite patriarcale. Al pari di altre versioni griffate Laste Rosse – un Pinot nero assolutamente montanaro e un fragrante Traminer – anche la ‘bolla’ ha l’impronta accorta della spensieratezza; il contegno è un mix tra l’euforia e la golosità, con una bramosia subitanea, appagata nel sorso finale. E ancora: l’ulteriore affinamento in bottiglia esalterà la sua giusta maturazione, perdendo magari quell’imberbe ringhio vitale, diventando un vino che trasforma la spontaneità in classe sopraffina. Senza mai perdere l’aggancio con la singolarità del territorio dove nasce. Quel ‘non’ che rafforza identità. Senza alcuna banalità.