"Non pensiamo mai 'perché era lì' o 'ha sbagliato'. Salvare vite per noi è una missione". Dal Natale sul Gran Sasso a Rigopiano: intervista al presidente del Soccorso Alpino abruzzese
A Natale i soccorritori abruzzesi sono rimasti bloccati in quota mentre attendevano di poter partire dalla ricerca dei due alpinisti dispersi sotto il Corno Grande: "Questo è un aspetto che per noi non fa mai la differenza. Lo dico sinceramente. Siamo disponibili 24 ore su 24, 365 giorni l'anno. Che poi sia capitato in un momento così particolare, in occasione di una festività, è un caso. Per quanto ci riguarda siamo pronti in ogni momento"
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Esattamente otto anni fa, era il 18 gennaio 2017, l'Abruzzo visse una tragedia immane, senza precedenti, che in pochissime ore fece il giro del mondo. Una valanga, staccatasi da una cresta montuosa sovrastante, travolse e seppellì l'Albergo Rigopiano - Gran Sasso Resort, provocando la morte di 29 persone che in quel momento si trovavano all'interno della struttura.
Daniele Perilli, da sei anni presidente del Soccorso Alpino e Speleologico dell'Abruzzo, era lì, in veste di soccorritore. Appena una settimana prima aveva trascorso qualche giorno di vacanza nella medesima struttura assieme alla sua famiglia e, a distanza di tanti anni, il suo racconto fa letteralmente venire la pelle d'oca.
Qualche settimana fa, a cavallo di Natale, i fari di tutta Italia si sono puntati per diversi giorni sull'Abruzzo, sul Gran Sasso e sui tecnici del Soccorso abruzzese: la vicenda riguardante la scomparsa (e il successivo ritrovamento dei corpi) dei due alpinisti dispersi sotto il Corno Grande, la vetta più alta degli Appennini, è diventata immediatamente di respiro nazionale.
E, ancora una volta, ha messo in luce la straordinaria professionalità e l'incredibile spirito di servizio degli uomini e delle donne che prestano volontariamente la propria opera all'interno del Soccorso Alpino, in ogni angolo d'Italia, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia, dalla Sardegna alla Puglia, pronti ad intervenire a qualsiasi ora, in qualsiasi giorno e in qualsiasi condizione.
Presidente Perilli, la domanda è: ma chi ve lo fa fare?
"Essere soccorritore è una missione. E' la parola giusta. Se non ci credi sino in fondo non lo fai, è molto semplice. Diventi soccorritore e continui a farlo perché lo "senti", perché sai che è la cosa giusta da fare, perché ami la montagna e sei disposto a correre in soccorso di chi condivide la tua stessa passione e in quel momento si trova in difficoltà. E' un automatismo che scatta, dal cuore: se uno si fermasse a pensare, probabilmente, non lo farebbe. E' un qualcosa che è difficile da spiegare agli altri".
Significa mettere a repentaglio anche la propria vita e sottrarre tempo al tempo libero.
"Alla famiglia, agli affetti, al lavoro. Quando arriva la chiamata non pensi: prendi e parti. Non ti poni la domanda "ma perché è andato lì", "ma lo sapeva che non era sicuro": il cuore, ripeto, ti dice di andare e la nostra è una vocazione. Non siamo incoscienti, sia ben chiaro, non deve passare questo messaggio, ma lo spirito che ci accompagna è quello di andare a cercare di salvare delle vite umane. Quando torniamo a casa riportando una salma, per noi è una sconfitta, anche se siamo consapevoli di non avere responsabilità".
Da sei anni è al vertice del Soccorso Alpino e Speleologico dell'Abruzzo e nel 2017 era a Rigopiano come soccorritore.
"Io mi trovavo lì anche una settimana prima della tragedia, assieme alla mia famiglia per trascorre qualche giorno di vacanza. Il titolare della struttura era un mio amico. Sono tornato su a Rigopiano dopo che era caduta la valanga per partecipare ai soccorsi: l'albergo non c'era più. Si è trattato, purtroppo, di un evento terribile, una tragedia incredibile non solamente per l'Abruzzo".
Anche in quell'occasione l'operato del Soccorso Alpino fu incredibile: vennero salvate 11 persone.
"In Italia non siamo secondi a nessuno per quanto riguarda la gestione delle emergenze. Lo dico a livello generale, non solamente per quanto riguarda il Soccorso Alpino. Siamo un modello di efficenza, competenza e tempestività, riconosciuto in tutto il mondo".
Non possiamo non chiederle di quanto accaduto prima di Natale, la scomparsa dei due alpinisti sul Gran Sasso, ritrovati poi senza vita alcuni giorni dopo. E' stata una vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso tutta l'Italia, anche per il fatto che i soccorritori hanno trascorso due giorni in altura, bloccati in mezzo alla neve.
"Siamo partiti già la domenica sera, quando è arrivata la chiamata. In quota, a 2.200 metri, le condizioni erano pessime: meno 15 gradi, bufera di neve e venti che soffiavano ad oltre 140 chilometri all'ora. Non si poteva proseguire con le ricerche: avrebbe significato mettere a repentaglio la vita dei nostri. Siamo rimasti su, il lunedì mattina abbiamo effettuato un altro tentativo, ma la situazione era rimasta la medesima. In undici sono rimasti su sino alla mattina del 25 dicembre. Due giorni dopo, quando le condizioni sono migliorate, abbiamo organizzato un altro tentativo e in un'ora abbiamo rinvenuto i corpi. Sapevamo che le speranze di ritrovarli in vita erano ridotte al lumicino dopo alcuni giorni trascorsi a quell'altezza e con quelle temperature".
In tanti si sono immedesimati nei soccorritori, costretti a trascorrere in altura la vigilia e la mattina di Natale.
"Questo è un aspetto che per noi non fa differenza. Lo dico sinceramente. Siamo disponibili 24 ore su 24, 365 giorni l'anno. Che poi sia capitato in un momento così particolare, in occasione di una festività, è un caso. Per quanto ci riguarda siamo pronti in ogni momento".
Tutto a livello volontaristico.
"Certo. E il Soccorso Alpino rappresenta un unicum nel panorama nazionale, perché i nostri tecnici sono persone che amano la montagna, la "vivono" tutto l'anno, conoscono i territori. Per noi la montagna è "pane quotidiano", indipendentemente dalle attività di soccorso. Lì ci sentiamo a casa, e come ho detto prima, se vedi qualcuno che è in difficoltà "a casa tua" non lo aiuti? Certo che lo fai. Da questo punto di vista siamo avvantaggiati, anche se poi è necessaria tantissima attività di formazione. Che è continua".
Forse sarà banale chiederglielo. Anzi non lo è per nulla: a chi ama e "vive" la montagna cosa si sente di dire?
"Che andare in montagna è pericoloso: è un'attività che non è e non sarà mai sicura al cento per cento. Questo bisogna metterselo in testa. E' bellissimo, ma il margine di rischio non può essere mai azzerato. Può essere "abbassato", questo sì. Come farlo? Io dico sempre che bisogna essere informati e formati. Informati sulle condizioni meteo, sul percorso che si affronta, sull'ambiente che si frequenta, sull'attrezzatura da utilizzare, formati su come usarla, dal punto di vista fisico e mentale. Sono aspetti fondamentali. E una cosa la voglio aggiungere".
Prego.
"Anche noi del Soccorso Alpino dobbiamo essere sempre informati e formati. Non lo diciamo solamente agli altri, ma siamo i primi a mettere in pratica tali principi: ci addestriamo tutto l'anno, in qualsiasi condizione atmosferica per garantire un servizio che deve essere sempre veloce e di qualità. Le due caratteristiche devono andare di pari passo, obbligatoriamente".
La situazione del Soccorso Alpino e Speleologico in Abruzzo?
"Siamo circa 170 operatori e, insomma, dovremmo essere di più, almeno 200 - 210, visto che nella nostra regione, guardando a tutta la realtà Appenninica, è quella nella quale si realizza il maggior numero d'interventi. Nel 2024 abbiamo avuto 12 morti, 3 dispersi e circa 300 interventi effettuati, quasi uno al giorno. E' anche abbastanza ovvio: abbiamo il Gran Sasso, la Majella, i Monti della Lega e, dunque, l'attività alpinistica è più intensa rispetto ad altre parti d'Italia. Mi rendo conto la nostra sia un'attività particolare, ma avremmo bisogno di qualche forza in più anche se, ad oggi, è difficile trovare persone animate da questo spirito".