Overtourism: è meglio sacrificare alcune valli al sovraffollamento oppure distribuire i turisti in un areale più vasto?
Quesiti a cui bisogna iniziare rispondere, magari favorendo il confronto tra scienze umane e scienza ambientali, affinché si incomincino a immaginare formule turistiche più aderenti alle odierne e future caratteristiche dei territori montani (che, in ogni caso, non sono un luna park)
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Non è raro che Alpi e Appennini, in questo periodo di grande afflusso turistico, si presentino come una mela spaccata in due.
Ai “troppo pieni”, spesso si alternano i “troppo vuoti”. A valli ricche di servizi e infrastrutture, ma non di rado ammorbate da modalità turistiche di massa che erodono ecosistemi e società, seguono territori dimenticati da tutto e da tutti insieme ai loro ormai rari abitanti. Turismo di massa da un lato, abbandono dall’altro.
Tutto ciò perché i rilievi esterni rispetto ai principali flussi turistici spesso risultano invisibili agli occhi dell’escursionista e di chi promuove il territorio.
Ma questa cecità è un bene o un male? È un bene concentrare tanti turisti in poche valli, ovviamente sacrificandole da un punto di vista socio-ambientate? Oppure sarebbe più saggio spalmarli, insieme ai proventi, in un areale più vasto per provare a distribuire i guadagni in modo più equilibrato?
Sono domande a cui si fa fatica a rispondere.
Da un punto di vista naturalistico forse conviene promuovere "isole" iper-turistiche per limitare la presenza umana sulle altre valli.
Dal punto di vista sociale, però, un turismo capillare, minuto, dolce e integrato con la struttura sociale dei paesi, può garantire la sopravvivenza dei servizi commerciali a cui si appoggiano i residenti.
Può quindi essere una misura per frenare lo spopolamento; per trattenere chi in montagna favorisce quei servizi ecosistemici (mantenimento dei versanti, tutela della risorsa idrica,...) di cui possiamo godere tutti, anche chi abita in pianura.
Sono quesiti a cui bisogna iniziare rispondere, magari favorendo il confronto tra scienze umane e scienza ambientali, affinché si incomincino a immaginare formule turistiche più aderenti alle odierne e future caratteristiche dei territori montani (che, in ogni caso, non sono un luna park).