"La reazione al cambiamento climatico è innevare a tutto spiano laddove non nevica più". Paolo Cognetti ed Enrico Camanni riflettono sul presente e sul futuro dei territori montani
Oggi, al programma Quante storie (Rai 3), condotto da Giorgio Zanchini, si è parlato del presente e del futuro delle montagne italiane attraverso la voce e le riflessioni dello scrittore Paolo Cognetti e dello storico dell’alpinismo e scrittore Enrico Camanni. Entrambi hanno provato a riflettere sul rapporto tra montagna e cambiamenti climatici, con un’attenzione particolare alla parola ‘limite’
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Oggi, al programma Quante storie (Rai 3), condotto da Giorgio Zanchini, si è parlato del presente e del futuro delle montagne italiane attraverso la voce e le riflessioni dello scrittore Paolo Cognetti e dello storico dell’alpinismo e scrittore Enrico Camanni. Entrambi hanno provato a riflettere sul rapporto tra montagna e cambiamenti climatici, con un’attenzione particolare alla parola ‘limite’ che, riflette Camanni, è oggi un termine chiave:
“Tutto quello che potremmo fare o che vorremmo fare non ha senso, secondo me, se non si parte dal limite – spiega Camanni – cioè se non si accetta che una specie come quella umana, che sicuramente ha delle ambizioni illimitate, perché miriamo a essere eterni, in realtà dei limiti li ha. E ci dibattiamo in questa contraddizione. Per me il limite può essere superato in tante cose: nell’intelligenza, nella ricerca, nella bellezza, ma non possiamo pretendere di continuare a ignorare il limite per altre cose, legate essenzialmente allo sviluppo industriale, che ci sta presentando il conto in tutti modi. Questo in montagna si vede un po’ di più e un po’ prima perché, ad esempio, in montagna scompaiono i ghiacciai”.
Cognetti parla invece di spopolamento: “Il grande spopolamento della montagna italiana avviene tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento, è in vent’anni che avviene tutto. Se pensiamo che il grande libro di Nuto Revelli, Il mondo dei vinti, che era un’analisi antropologica dell’abbandono delle Terre Alte è del 1971”.
“Le valli alpine - continua Cognetti -, si dividono in due categorie quasi non ci fosse una via di mezzo: c’è qua e là la valle con il piccolo comprensorio e un turismo ancora a misura d’uomo, ma in realtà per la maggior parte si dividono o in grandi comprensori turistici o in valli spopolate e dimenticate”.
Camanni torna poi a parlare della relazione tra sci e cambiamenti climatici, che stanno provocando una diminuzione delle precipitazioni nevose: “Realizzare nuovi impianti sotto i 1800 metri non ha più senso”.
“La reazione al cambiamento climatico – aggiunge Cognetti – è innevare a tutto spiano laddove non nevica più e addirittura immaginare di alzare la quota dei comprensori sciistici. Quindi la nostra reazione, comprensibile, però piuttosto miope è quella: ‘ok, non si può più sciare a 2000 metri, andiamo a sciare a 3000, 3500 o fino quasi a 4000', come succede dalle mie parti. È una visione miope perché significa sostanzialmente posticipare il problema. L’innevamento programmato, se uno va a guardare, ha delle cifre incredibili: abbiamo fatto i calcoli quest’anno e voi pensate che ci va un intero lago di Garda per innevare tutte le piste da sci che ci sono in Italia all’inizio della stagione. Perché nevichi o non nevichi le piste da sci vanno innevate alla fine di novembre/all’inizio di dicembre per essere preparate alla stagione invernale. Quindi il consumo di acqua, di energia elettrica, di infrastrutture (perché poi l’innevamento programmato richiede tubazioni, condutture elettriche, cemento) è quasi incalcolabile. O questo, e quindi accanirsi a far nevicare con l’uomo che produce la neve che non scende più dal cielo, oppure immaginare un futuro un po’ diverso. È quello che persone come me ed Enrico Camanni cercano di fare da anni”.
“A me viene in mente questo paragone – completa la riflessione Camanni – l’industria dello sci uno la pensa in montagna, cieli puliti, aria salubre, ma è un’industria pesante. È l’industria pesante della montagna. Questa non è una connotazione negativa, ma è per dire che quella dello sci è spesso una vera industria. Non è un sistema flessibile. Quindi è simile all’industria dell’automobile, all’industria della metallurgia. Tutte cose che noi avevamo già individuato e che stavano volgendosi verso una crisi, e infatti le stiamo perdendo e non capiamo più bene come conservarle”.
Bisognerebbe iniziare, conclude la riflessione Camanni, a immaginare un “mondo che è quello che ci dicono gli scienziati, cioè di Alpi che saranno sempre più simili agli Appennini. L’inverno avrà quindi meno significato dal punto di vista degli sport invernali. Lo sport invernale è tutto fondato sulla neve o sul ghiaccio. (…) La montagna va quindi vista in un modo diverso”.