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Attualità

Le montagne italiane, lo spopolamento dei paesi e il saldo naturale della popolazione

Il saldo naturale della popolazione italiana è sempre più negativo, e al riguardo spicca in particolar modo quello dei territori montani e delle aree interne. Una situazione che rischia di vanificare qualsiasi sforzo a sostegno delle comunità residenti

di
Luca Rota
20 gennaio | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

L’analista economico Lorenzo Ruffino sulla sua pagina X (ex Twitter) ha pubblicato una mappa che rende evidente il saldo naturale della popolazione italiana nel 2022 (ultimo anno con i dati completi disponibili su base ISTAT). Come scrive Ruffino, «Il saldo naturale è di -322 mila persone. Tutte le province hanno avuto un salto naturale negativo. Bolzano è l'unica vicino all'equilibrio.»

Ora, provate a confrontare la mappa di Ruffino nelle sue colorazioni più scure, quelle che indicano il saldo di natalità peggiore, con una carta fisica dell’Italia e in particolar modo del suo territorio montuoso e rurale, quello identificato dalla definizione «aree interne» in buona sostanza. Noterete che combaciano ampiamente, con l’aggiunta di poche altre zone (tra le quali spicca la fascia totalmente scura dell’intero Piemonte orientale). L’unica zona “chiara” rispetto alla gamma cromatica di riferimento è la provincia di Bolzano, appunto.

L’UNCEM – Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, così ha commentato la mappa sulla propria pagina Facebook:

 

«Eccola la crisi demografica, unita alla tragedia climatica. E per noi, non si può slegare tutto questo da una urgente riorganizzazione istituzionale. Non solo non abbiamo più cig, segretari e operai per i nostri piccoli Enti, qui manca totalmente il capitale umano. Come si regge? Come si affronta tutto questo? E quale è la base democratica territoriale di riferimento?»

 

A quella di UNCEM aggiungo una riflessione personale. Da ormai molti anni sento dire che gli interventi finanziari istituzionali a favore dei territori montani sono elargiti con lo scopo principale di frenare lo spopolamento delle montagne. Tuttavia, se si va a verificare come quei fondi pubblici vengono spesi, si evince che solo una piccola parte va a favore delle comunità residenti, dei loro bisogni primari, dei servizi di base, delle necessità funzionali al sostegno della quotidianità, mentre la fetta maggiore – al netto delle imprescindibili opere infrastrutturali - viene spesa nel comparto turistico, ritenuto (per non dire imposto come) l’unica economia che possa sostenere i territori montani; al contempo, da molti anni si sentono e leggono notizie di scuole accorpate, uffici postali e sportelli bancari chiusi, ambulatori di medicina di base senza più medici, trasporti pubblici definanziati, tagli di spesa vari e assortiti. Chiunque abiti nelle suddette “aree interne” conosce perfettamente lo stato delle cose al riguardo.

 

D'altro canto è strano pure constatare come da molto tempo una narrazione diffusa, mediatica e non solo, contrapponga la (ritenuta) maggior salubrità della vita nelle aree rurali a quella degli ambiti cittadini e metropolitani, caotici, rumorosi, inquinati, con il sottinteso invito a considerarla rivolto a chi volesse migliorare la qualità della propria vita quotidiana. Narrazione che si direbbe fatta di belle parole ma di fatti ben evanescenti, anche per come si scontri con la realtà oggettiva delle cose ovvero con quanto le aree interne rurali e montane concretamente offrono a supporto di chi le volesse abitare stabilmente, appunto.

 

Il risultato concreto di questa situazione è ben evidenziato dalla mappa lì sopra riprodotta. Un risultato inevitabile, mi viene da temere. Al netto di Bolzano, ribadisco, che è provincia autonoma nonché un unicum politico-culturale nel panorama nazionale, inutile rimarcarlo.

 

Personalmente non posso dunque che rilanciare la domanda di UNCEM: come si regge, come si affronta tutto questo? Un accenno di risposta forse c’è già: una situazione del genere la si affronta non come è stata affrontata e si continua a affrontare ad oggi ma cambiandone radicalmente tutti i paradigmi di riferimento – politici, amministrativi, economici, culturali, eccetera – e riportando al centro di tutto le comunità, la loro quotidianità, i loro bisogni e le necessità essenziali.

Altrimenti temo che continueremo a vedere un’Italia sempre più colorata di toni cupi, tenebrosi, ormai drammaticamente prossimi al nero.

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