I rifugi sono sempre meno 'rifugi'. Il Pradidali torna a una gestione classica. Zanella: "È il cliente che deve adeguarsi alla montagna, non viceversa"
Dopo un interessante post pubblicato dal gestore del rifugio Pradidali (Pale di San Martino), è arrivato il momento di riflettere sul termine "rifugio". I confini di significato del termine si sono infatti allargati fino ad abbracciare anche strutture di respiro mondano, ricche di ogni confort e più simili agli alberghi o ai ristoranti di fondo valle. Secondo Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, "certi posti dovrebbero essere chiamati diversamente, magari 'resort', ma non rifugi"
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
La valenza semantica delle parole viene quotidianamente ridotta o alterata dall’utilizzo fuorviante che si fa di esse. In montagna, ad esempio, la parola “rifugio” ha allargato i confini di significato fino ad abbracciare anche strutture di respiro mondano, ricche di ogni confort e più simili agli alberghi o ai ristoranti di fondo valle. Nulla di male, per carità, ma bisogna iniziare a sviluppare una seria riflessione sul significato del termine, perché in molti casi la parola “rifugio” rischia di ridursi a un’evidente speculazione pubblicitaria che genera incomprensioni e malintesi tra i turisti.
Cos’è, quindi, un rifugio? Un ottimo spunto di riflessione ci viene offerto da un recente post pubblicato dal rifugio Pradidali, posizionato nel cuore delle Pale di San Martino:
“Ragazzi, ho deciso – scrive il gestore Dulio Boninsegna – quest'anno al Pradidali ci sarà un ritorno al classico. Non venite a chiedere ‘voglio questo voglio quello, avete quello o quell'altro ecc...’ Quello che c'è, C'E'! Ci saranno cose buone, ma non sarà di certo un ristorante gourmet, di quelli ne trovate quanti volete in valle, ma sará un vero rifugio alpino d'altri tempi”.
“C'é bisogno anche in alta quota di un ritorno all'essenziale – prosegue Boninsegna – e alle cose davvero basiche e importanti della vita! Non ditemi ‘é caro’, anche l'elicottero e la teleferica per portare su la roba sono molto cari e sono sicuro che capite, e se mi va vi offrirò anche una birra”.
“Se ci sarà acqua in abbondanza – continua il gestore – vi farò volentieri fare una doccia (a pagamento perché lassù il gas per riscaldare l'acqua ci costa il doppio), ma se la dovremo razionare scordatevela, anche se siete in giro da giorni!”
“Siate gentili con i miei ragazzi – si raccomanda – e avrete in cambio gentilezza e simpatia, pensate sempre che voi il giorno dopo tornate a valle e avete tutte le comodità, loro rimangono su fino a Settembre per pagarsi gli studi e se non c'è l'acqua per voi non c'è neanche per loro che a volte devono aspettare il loro giorno di riposo per scendere a valle a piedi (2 ore) per farsi la doccia a casa loro”.
“Non chiedetemi la camera singola o doppia perché ‘il mio amico russa’, lo fanno tutti, le notti, anche se in parte insonni in una camera condivisa con altri, ma in uno dei luoghi più belli del mondo vicino alle stelle sono quelle che vi porterete nel cuore e vi ricorderete per sempre”.
“Non aspettatevi servizi a 5 stelle – conclude infine – quelli ormai li trovate dappertutto, ma vi porterete a casa il ricordo di un avventura, di un’esperienza unica e irripetibile che rimarrà sempre tra i ricordi più belli! Se vi accontentate di quello che il rifugio e noi vi possiamo offrire sarete i benvenuti in un luogo meraviglioso, se invece volete ‘altro’ non venite al Pradidali!”
L’opinione del Cai Alto Adige
“Quando ho letto il post del Pradidali ho gioito – esordisce Caro Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, a cui abbiamo chiesto una riflessione sul tema – Io sono anni che mi batto su questa storia che i rifugi devono rimanere rifugi e che la montagna dev’essere preservata così com’è”.
“Il problema si genera sempre da un malinteso di fondo che nasce appunto dall’utilizzo del termine anche per indicare quelle strutture di fondovalle che mettono a disposizione un’offerta molto ampia e poco sobria, con selezioni di vini, ostriche, gamberi, pesce, gelati, … Poi è naturale che queste cose vengano pretese anche nei rifugi situati più in alto, magari in posizioni impervie, dove le possibilità di offerta sono limitate, scatenando così il malumore della clientela che non si sente appagata”.
“Certi posti – prosegue il presidente del Cai Alto Adige – dovrebbero essere chiamati diversamente, magari ‘resort’, ma non rifugi”.
“Il problema di fondo è che spesso ci si vuole adeguare alle esigenze del cliente. Invece no: io dico sempre che quando uno va in montagna è il cliente che deve adeguarsi alla montagna, non viceversa. Il turista deve salire in montagna per le bellezze, non per quello che gli si offre”.
Una riflessione a margine
“Un rifugio deve essere un tetto, un letto e un pasto”. Così, tempo fa avevano dichiarato a IlDolomiti, Enzo Fedeli e Sonia Lorenzi, gestori del Rifugio Bianchet.
Senza dubbio, parlare in maniera generalizzata di "rifugio", considerandolo uno spazio singolare e omogeneo, è inappropriato. Ogni rifugio ha possibilità e caratteristiche differenti, spesso influenzate dal contesto e dall'accessibilità.
Tuttavia, in questi anni di "massificazione" della montagna, le parole dei due rifugisti richiamano un principio semplice quanto necessario per chi sale in montagna: la capacità di sapersi accontentare; di ragionare per difetto, trovando nella semplicità un motivo per essere felici, per tornare a casa appagati.
Non è sempre scontato trovare in tutti i rifugi gli stessi comfort. Chi storce il naso davanti a un'assenza trascurabile, forse dovrebbe frequentare ambienti più consoni alle sue aspettative.