175 metri d'altezza e 517,5 di lunghezza: il ponte "tibetano" più alto d'Europa inaugurato in Umbria. Solo così si attirano i turisti?
L'EDITORIALE. A Sellano, in Umbria, è stato inaugurato il ponte “tibetano” più alto d’Europa (175 metri lo dividono dal fondovalle, è lungo 517,5 metri e conta 1.023 scalini). Questa notizia invita a riflettere sulle difficoltà a sviluppare un turismo capace di cogliere ed evidenziare la poesia e il fascino degli elementi già esistenti nel territorio
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Prima di esprimere un giudizio è sempre importante provare a vestire i panni altrui per comprendere le ragioni da cui sono nate determinate iniziative. E così, quando ho letto che a Sellano, in Umbria, è stato inaugurato il ponte “tibetano” più alto d’Europa (175 metri lo dividono dal fondovalle, è lungo 517,5 metri e conta 1.023 scalini), ho subito recuperato dai ricordi una conversazione avuta qualche tempo fa con il sindaco di un piccolo paesino montano. “Sai”, mi aveva detto quasi a giustificarsi, “senza queste istallazioni per noi che ci troviamo in località esterne rispetto ai grandi flussi turistici è difficile attirare le persone a visitare il territorio. Poi magari lo visitano, si affezionano, e ritornano”.
“Non fa una piega”, ho pensato, “ma che tristezza”. Che tristezza che per valorizzare la montagna sia sempre necessario calare dall’alto oggetti sempre più vistosi, sempre più grandi, sempre più alti, sempre più disneyniani. La competizione tra le località non è quindi riscontrabile nelle peculiarità territoriali, nel valore intrinseco dei territori capace di esaltare quel formidabile caleidoscopio che sono le Alpi e gli Appennini. Al contrario, per strutturare l’offerta turistica si propongono oggetti sempre uguali (ponti tibetani, panchine giganti, voli d’angelo, becchi d’aquila,…) e nell’omologazione, per distinguersi e battere la concorrenza, si punta sulle dimensioni (lunghezza o altezza) o su colori appariscenti (pensate alle sgargianti panchine giganti).
Che tristezza, ripeto ed evidenzio con convinzione, perché spesso il fascino dei territori montani ha un valore proprio e non necessiterebbe di strutture o opere eccentriche per essere valorizzato. Basterebbe rendere seducenti quei luoghi attraverso una narrazione accattivante, capace di cogliere ed evidenziare la poesia e il fascino degli elementi già esistenti. Anche perché il turismo non deve solo appagare i desideri ludici delle persone, ma anche educarle a vivere con maggiore consapevolezza il contesto che visitano.
Inoltre queste strutture/infrastrutture spesso innescano un turismo rapido, mordi e fuggi, sali e scendi: sì perché non sono rare le persone che salgono dalla pianura e, dopo la foto di rito, tornano a valle senza partecipare al gioco dell’indotto.
Provando a vestire i panni di chi amministra il territorio, però, mi rendo conto che non è facile sviluppare dei progetti di matrice esclusivamente culturale perché, affinché risultino efficaci, è necessario investire molto tempo ed energie. E di tempo ed energie, di solito, i piccoli comuni non ne hanno mai abbastanza (e non sempre per colpa degli amministrazioni). Di conseguenza risulta più facile affidarsi ad oggetti vistosi, appariscenti, ma culturalmente vacui: un’operazione più semplice, perché svincola dallo studio e dal ragionamento.
Questa dinamica è forse un ulteriore riflesso di una montagna che, pur occupando una parte consistente della superficie della penisola, per il governo rimane una geografia periferica.