"Vogliamo uscire dalla narrazione del turismo come panacea a tutti i mali". Sulle Prealpi bergamasche si mira a territori realmente sostenibili
Le Prealpi bergamasche, così prossime a Milano e al suo hinterland, sono state fin dall’Ottocento una delle culle del turismo montano lombardo. Ampiamente infrastrutturate al riguardo, hanno poi subìto prima di altre zone la crisi del modello sciistico. Al contempo però rivelano grandi potenzialità per un turismo più consono alle attuali caratteristiche dei territori e alla realtà in divenire. A fronte di alcuni recenti progetti che vorrebbero perseverare con lo sci su pista a quote medio-basse grazie a ingenti finanziamenti pubblici e di contro alle numerose criticità socio-economiche locali, in zona ci si interroga su quale possa essere il futuro migliore per queste località. Per approfondire queste dinamiche ci siamo confrontati con il collettivo “TerreAlt(r)e”
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Le Prealpi bergamasche, così prossime a Milano e al suo hinterland, sono state fin dall’Ottocento una delle culle del turismo montano lombardo. Ampiamente infrastrutturate al riguardo, hanno poi subìto prima di altre zone la crisi del modello sciistico. Al contempo però rivelano grandi potenzialità per un turismo più consono alle attuali caratteristiche dei territori e alla realtà in divenire. A fronte di alcuni recenti progetti che vorrebbero perseverare con lo sci su pista a quote medio-basse grazie a ingenti finanziamenti pubblici e di contro alle numerose criticità socio-economiche locali, in zona ci si interroga su quale possa essere il futuro migliore per queste località. Per approfondire queste dinamiche ci siamo confrontati con il collettivo “TerreAlt(r)e”.
Cos’è “TerreAlt(r)e” e perché nasce?
TerreAlt(r)e è una reazione politica consapevole, un collettivo in divenire, l'incontro di menti divergenti e gambe che portano i cuori in quota. È semplicemente un gruppo di persone che si ritrova attorno a un tavolo per discutere temi legati al vivere le montagne. Nonostante le attività siano iniziate molto prima e siano state varie, nell'ultimo anno le energie si sono concentrate in una direzione comune, definendo meglio l'identità del collettivo. Nel territorio della Val Seriana, tra le Prealpi Orobiche, si è fatta strada una proposta di comprensorio sciistico che ha subito suscitato preoccupazione; ci siamo subito organizzati e abbiamo creato una rete di contatti. Grazie ai confronti con chi sul territorio ha le antenne alzate già da tempo ci siamo mossi con sicurezza. Abbiamo immediatamente cercato informazioni sul progetto e sulle politiche di sviluppo territoriale, spesso troppo distanti dal tessuto sociale: il nostro obiettivo è creare un contraddittorio consapevole, lavorare con la cittadinanza e promuovere alternative al modello di sviluppo turistico proposto. Ragionare sulle altre terre alte possibili, come dice il nostro nome. Sviluppare un'analisi critica significa comprendere la complessità di ogni territorio e difendersi dalle logiche speculative, dribblando il “greenwashing” che maschera e mistifica di "sostenibilità" ogni dove.
L’alta Val Seriana è interessata da un progetto di sviluppo sciistico tra i comprensori sciistici di Colere, in Val di Scalve, e Lizzola che sta suscitando un notevole dibattito. Di cosa si tratta e perché viene considerato così criticamente?
Il progetto di RSI Srl prevede il collegamento del comprensorio sciistico di Colere con la stazione di Lizzola, occupando la Val Conchetta e l’alta Val Sedornia, valli non ancora antropizzate e protette come ZSC da Rete Natura 2000. Il progetto implica la creazione di tre nuove piste, impianti a fune, una funicolare ipogea internamente a una montagna e un bacino per l’innevamento artificiale, con un finanziamento di 50 milioni pubblici su un totale di 70 milioni.
Le sue conseguenze toccano vari ambiti: economico, sociale, culturale e non per ultimo ambientale.
Il collegamento intervallivo viene promosso come opera filantropica e volano per l'economia, ma, considerando l’innalzamento dello zero termico (dovuto a cause antropiche) e i costi energetici dell’innevamento artificiale, ci sembra un fallimento preannunciato. Inoltre il progetto alimenta miti come la conseguente creazione di ricchezza nel mercato immobiliare e l'occupazione, ma come dimostrano altre note località turistiche, sappiamo che non funziona così.
Il nostro scetticismo non riguarda solo gli aspetti tecnici, ma il paradigma di sviluppo sotteso. Proporre un turismo standardizzato ed elitario, che sfrutta la montagna come un bene di consumo, non risponde alle necessità reali delle comunità. Questo approccio svende la montagna e mette il territorio al servizio del turismo, piuttosto che viceversa.
Inoltre questo tipo di intervento svuota il territorio del proprio Genius Loci, calpestando le peculiarità che lo rendono desiderabile.
Non siamo contrari al turismo, ma vogliamo uscire dalla narrazione del turismo come panacea a tutti i mali.
Le implicazioni ambientali del progetto sono gravi: l’intervento impatterebbe irrimediabilmente su paesaggio e delicati habitat alpini interni al Parco delle Orobie Bergamasche. Nel 2025 l’idea di sfruttare la natura come un bene ad uso e consumo o come un ostacolo da spianare, invece che una risorsa da preservare, ci pare anacronistica e deleteria.
Quali sono le potenzialità e quali le problematiche del territorio dove intendete muovervi, sia in termini generici che, più nello specifico, per quanto riguarda la sua frequentazione turistica?
Una delle principali problematiche della nostra valle, soprattutto in prossimità degli impianti, è la speculazione edilizia che mina l'equilibrio tra impatto umano ed ecosistema: il rischio è di perdere le unicità che rendono il territorio attrattivo. La morfologia della valle, sebbene imponga limiti, offre anche opportunità: la delimitazione dello spazio antropizzabile obbliga per esempio a ripensare le attività commerciali e le infrastrutture già esistenti. Idem per la viabilità, che è già un calvario: un aumento dei flussi turistici, come prevede il progetto del comprensorio, potrebbe congestionare ulteriormente il territorio, ma per altri versi impone una capacità massima. Inoltre, la disinformazione e i luoghi comuni sui benefici del turismo sono altre problematiche, alimentate dalla scarsità di dibattito sul tema. Tuttavia, la valle ha enormi potenzialità: è ancora una zona relativamente popolata rispetto ad altre località alpine; conserva circuiti economici locali solidi mentre la tradizione legata agli antichi mestieri è ancora viva. Le bellezze naturali della zona si prestano poi a molte attività outdoor, dall’escursionismo all’arrampicata e le strutture turistiche sono già esistenti. Troviamo positivo anche che parte del turismo dell’alta valle sia legato alle seconde case e ai villeggianti di lungo corso, affezionati e interessati, che apprezzano il carattere ancora integro della valle, preferendola alle destinazioni turistiche più commerciali e prestigiose.
Il progetto “TerreAlt(r)e” è stato ufficialmente presentato a fine novembre a Clusone, in un incontro pubblico affollato e partecipato oltre ogni previsione (al quale ne è seguito un altro, con la sala ugualmente gremita, a Vilminore di Scalve il 3 gennaio): che sensazioni avete tratto dalla serata e quanto è importante, secondo voi, attivare la più ampia e articolata partecipazione collettiva intorno ai temi e alle questioni di cui vi occuperete?
Dalla serata è emerso che il comprensorio è un tema caldo. C’è forte desiderio di avere informazioni più accessibili e uno spazio di espressione: sono stati numerosi gli interventi dei cittadini che hanno espresso in molti modi l’amore e la cura per il proprio territorio e la volontà di partecipare alle decisioni che lo riguardano. Da alcuni interventi si è colto anche un senso di indignazione sulle decisioni calate dall’alto.
Considerando che i modus operandi portati dai relatori partono proprio da una co-gestione del territorio, ci piacerebbe che le amministrazioni e gli enti gestori traessero spunto da queste modalità e interrogassero i cittadini sul futuro delle loro terre e sui loro bisogni.
Quella dell’alta Val Seriana è una realtà montana peculiare ma non dissimile in molti aspetti da quelle che si incontrano lungo tutta la catena alpina. Da attivisti autoctoni delle vostre montagne ma pure da appassionati frequentatori di altre zone montane, come vedete il presente e il futuro delle Alpi? Ciò che accade in altri territori alpini può essere utile alle attività e al lavoro sul campo di “TerreAlt(r)e”?
Il turismo è la grande sfida dei nostri tempi: cruciale per definire gli scenari futuri delle mete invernali ed estive. Il fenomeno dell’“overtourism” ne è la prova, lo lamentano proprio recentemente le Dolomiti, i vicini d’alpe molto spesso presi a modello di sviluppo.
Tante altre realtà affrontano problemi simili, trovando specifiche soluzioni alternative, che non si limitano allo sci alpino: alpinismo, ciaspole, trekking gastronomici fra le malghe e tanto altro. A riguardo esempi di successo sono la Val Maira o la Val di Funes.
Non esiste però solo il turismo. Alcune aree alpine hanno saputo sviluppare eccellenze industriali e artigianali locali: si pensi all’abete di risonanza della Val di Fiemme, i formaggi D.O.P. della Valle d’Aosta o il tessile della Val Sesia. Anche la nostra valle vanta una produzione diversificata: tessile, gestione boschiva, lavorazione del ferro e produzione casearia; insieme il turismo beneficia di sentieri, rifugi, specialità enogastronomiche, paesi e impianti di risalita, rendendo questi luoghi unici e interessanti.
Ci sembra che oggi le Alpi vivano una crisi d’identità: cercano modelli di turismo omologati e competitivi, quasi un “franchising delle Alpi”. Il futuro, inutile dirlo, lo vorremmo come un’opportunità per riscoprire la dignità delle popolazioni alpine e proporre una visione realmente sostenibile, capace di valorizzare chi vive le Alpi e chi le visita.