Uno sguardo oltre l'inchiostro: lo sdegno per la scritta “Tourists go home” può essere l'occasione per riflettere sul turismo che soffoca le Tre Cime di Lavaredo
Sacrosanta l’indignazione per la scritta “Tourists go home” sul sasso all’ombra delle Tre Cime di Lavaredo. Tuttavia, ignorare il malessere sociale provocato dall'overtourism sarebbe un errore, perché significa trascurare, per l'ennesima volta, le emozioni e le necessità di chi vive in montagna
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Sacrosanta l’indignazione per la scritta “Tourists go home” sul sasso all’ombra delle Tre Cime di Lavaredo, soprattutto se il blocco in questione (come informa Moreno Pesce, atleta paraolimpico che per primo ha denunciato l'episodio attraverso un video) conserva tracce di un passato che non c’è più. Questa forma di protesta è contestualmente poco appropriata: è difficile pretendere una maggiore sensibilità per un territorio fragile quando si è i primi a non dimostrarla.
Fatta questa fondamentale premessa è necessario provare a scavare (con la mente) oltre l’inchiostro. Se la scritta può essere infatti paragonata a un fallo di reazione, allo stesso tempo riflette un dilagante sentimento di frustrazione nei confronti di una dinamica assai più problematica per l’area che si sviluppa attorno alle Tre Cime, icone di indiscutibile richiamo internazionale: il turismo di massa. Ignorare il malessere sociale provocato dall'overtourism sarebbe un errore, perché significa trascurare, per l'ennesima volta, le emozioni e le necessità di chi vive in montagna.
“Se questa scritta è stata fatta - riflette la seguita pagina Instagram L’Occhio del Gigiàt - è perché c'è un disagio profondo alla base. Il turismo ha aiutato le vallate alpine per un secolo, ma ora le sta sommergendo (non tutte, solo alcune)”. Provare a capire i disagi sociali alla base di queste azioni, aggiunge la pagina, potrebbe non solo aiutarci a comprendere il problema, ma anche “eviterebbe ulteriori graffiti in giro”.
Ma perché lamentarsi del turismo, economia che ha indubbiamente portato maggiori benefici e maggiori sicurezze economiche a molte realtà di Alpi e Appennini? In un articolo riferito a un’altra scritta ("turismo = sfruttamento"), pubblicato pochi giorni fa, abbiamo provato a indossare le lenti culturali di chi ha manifestato le proprie convinzioni con la bomboletta.
Infatti non tutti vivono di turismo. Sebbene nei territori più ambiti una larga percentuale di persone dipende in modo più o meno diretto da questa economia, in essi si possono osservare anche percorsi lavorativi indipendenti. Agli occhi di queste persone il turista può apparire come una sorta di invasore, talvolta irrispettoso nei confronti di un luogo che custodisce affetti e personali punti di riferimento.
Tuttavia l’avversione espressa da queste scritte non si rivolge solo al turista, ma anche (e forse soprattutto) a chi specula in modo eccessivo sul turista e a chi “sfrutta” il territorio per accogliere un numero via via crescente di persone. Aumenta il cemento, aumentano i visitatori, ma si abbassa la qualità del paesaggio e della vita dei residenti.
È evidente quindi – come riportato in un dettagliato articolo uscito su Pianeta Psr – “che il valore aggiunto apportato dal turismo, non può essere valutato solo in termini economici né tantomeno con riferimento a una sola categoria (ad esempio gli operatori turistici), ma deve tener conto dell'intera comunità e dei modi in cui i diversi aspetti del turismo interagiscono con essa”.
Questa rinnovata sensibilità potrebbe offrire al turismo un carattere meno opaco, affrancandolo da quelle dinamiche che tutt’oggi lo rendono un’economia difficile da digerire.