Orsi in Trentino: ignorare la paura della popolazione locale è il primo passo per alimentare intolleranza e politiche che speculano sul terrore
È proprio sugli umori della società che bisogna iniziare a lavorare perché il dibattito è entrato a pieno titolo dentro i confini delle discipline sociologiche. Per camminare onestamente in questa direzione non servono slogan, non servono grandi proclami, non servono titoli roboanti, ma un’azione sul territorio capillare e sovraordinata rispetto agli interessi dei partiti
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Scrivendo questo articolo sto incautamente mettendo le mani dentro un alveare (nessuna allusione a Winnie the Pooh). Infatti, da qualunque verso lo si tocchi, il dibattito sugli orsi punge.
Punge quando si critica la boria fugattiana, che a forza di slogan alimenta il dubbio che ogni intervento sia il risultato di una speculazione politica; punge quando viene evidenziata l’inefficacia di abbracciare la retorica dell’umanizzazione, offrendo ai selvatici connotati antropici e sfumature disneyniane; punge quando si parla di ritardi nell’applicazione di misure preventive mirate alla coesistenza; punge quando si denuncia la dilagante mancanza di empatia nei confronti di chi abita il territorio.
Con le dita gonfie di punture vorrei soffermarmi brevemente su quest’ultimo aspetto che, a mio parere, rappresenta il nocciolo della questione. È infatti quasi totalmente assente nel dibattito – se non in qualche rara e virtuosa occasione, rappresentata ad esempio dalla puntata del podcast Areale di Ferdinando Cotugno dedicata al tema – l’attenzione nei confronti della popolazione locale: ignorare la paura, come sappiamo, è il primo passo per alimentare l’intolleranza. Un disinteresse che, oltre a riflettere un approccio a mio parere presuntuoso – perché la paura è un sentimento e in quanto tale è difficile da controllare con razionalità –, spesso si trasforma in un assist formidabile per chi sulla paura specula; per chi sulla paura vince le elezioni per poi dimostrare, puntualmente, di non avere le capacità o il desiderio di volerla allontanare.
"Ci sono il presidente della Provincia di Trento e i leghisti che non aspettano altro che questa confusione aumenti per portare avanti la loro idea di soluzione finale o quasi, di liberare il Trentino dagli orsi – riflette Cotugno nel podcast sopracitato –, ma non va bene neanche il rumore del mondo animalista, che non fa altro che far sentire la popolazione che vive in Trentino ancora più isolata, come se in qualche modo fossero tutti colpevoli di un'interazione sbagliata, come se non avessero diritto a vivere lì, come se fossero ospiti di quelle valli e di quelle montagne".
È proprio sugli umori della società che bisogna iniziare a lavorare perché, a mio avviso, il dibattito è entrato a pieno titolo dentro i confini delle discipline sociologiche. Per camminare onestamente in questa direzione non servono slogan, non servono grandi proclami, non servono titoli roboanti, ma un’azione sul territorio capillare e sovraordinata rispetto agli interessi dei partiti.
Insomma, dovremmo avere più sete di oggettività e per appagarla è necessario coinvolgere chi sa affrontare e raccontare la complessità senza banalizzarla: ossia chi studia gli orsi e le loro interazioni con gli esseri umani e chi studia gli esseri umani e le loro interazioni con gli orsi.
Le punture ora prudono troppo e mi costringono a chiudere un pezzo che sono quasi pentito di aver scritto: affinché la questione rientri nei binari della consapevolezza bisognerebbe che si facesse un po’ di silenzio, evitando di influenzare chi possiede gli strumenti per lavorare con cognizione di causa. Un auspicio in apparenza semplice, ma difficile da realizzare.