Impianti sì, impianti no, impianti boh? Nelle Marche si è acceso un dibattito legato agli indennizzi alle attività economiche danneggiate per il mancato innevamento dell'Appennino
La Regione Marche ha destinato 1 milione di euro agli operatori dei comuni montani dove tradizionalmente si sciava. Tra le voci contrarie quella del sindaco di Cantiano (PU), che ne aveva parlato anche in un’intervista al nostro quotidiano
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Dopo l'articolo dell'Altramontagna (4 maggio) e la presa di posizione delle associazioni ambientaliste marchigiane (6 maggio), prosegue il dibattito sugli indennizzi che la Regione Marche ha destinato alle attività economiche in alcuni comuni appenninici che risultino danneggiati per il mancato innevamento nell'inverno 2022-2023.
In tutto, le risorse a disposizione (che sono nazionali) sommano un milione di euro: il "Bando per l'assegnazione fondi statali agli operatori del settore turistico-ricettivo dei comprensori sciistici della Regione Marche" è stato pubblicato il 2 maggio scorso, al termine di un'altra stagione invernale disastrosa, con precipitazioni nevose praticamente assenti in tutto l'Appennino marchigiano, tranne alla fine di aprile.
Basterebbe questo a definire strumentali le proteste degli operatori economici del settore, quelli degli impianti sul Monte Catria, in provincia di Pesaro-Urbino, e di Bolognaola e Ussita, sui Monti Sibillini, che in un intervento mandato ai giornali di concerto con gli amministratori dei Comuni interessati dagli impianti di risalita finalizzati allo sci di discesa, sottolineano che "sostenere che in appennino sotto i 1500 metri non nevica, non corrisponde alla verità", perché "ciclicamente infatti è sempre successo che negli ultimi 30 anni siano capitare stagioni come quella di quest’anno con scarso innevamento (in media 1 ogni 4-5 anni)".
Fermo restando che sono due o tre gli anni di fila che non nevica, tanto da aver portato il ministero del Turismo ad aprire un tavolo di lavoro dedicato all'Appennino senza neve (copyright Santanché), l'idea dei cicli non regga alla prova dei fatti e della ricerca scientifica. Aveva spiegato in un'intervista ad Altreconomia Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente, presidente del Cipra e membra del comitato scientifico dell'Altramontagna: “Sia nel mondo degli imprenditori sia in quello dei turisti oltre che nelle istituzioni sembra non ci sia la consapevolezza degli effetti del cambiamento climatico sulla montagna. Pare che prevalga l’idea che estati come quella del 2022 (!) siano normali e così gli inverni miti, che ci siano oscillazioni ‘normali’ nelle precipitazioni, ma non si rendono conto che al di sotto di una certa quota non nevica più, che la linea di affidabilità della neve ormai si attesta ai 1.500-1.600 metri, ma probabilmente non ha più senso investire in impianti sotto i 1.800-2.000, dove non è possibile immaginare una stagione turistica, cioè la presenza di 30 centimetri di neve per almeno cento giorni”.
Un paper di Claudia Notarnicola, vicedirettrice all’Istituto per l’osservazione della Terra di Eurac Research (eurac.edu), pubblicato sulla rivista Nature, aveva invece analizzato i trend legati alla presenza di neve tra il 1982 e il 2020 rilevando per quanto riguarda le Alpi europee che in tutte le stazioni e in tutti i mesi l’87% delle tendenze era negativo e il 13% positivo "con variazioni marcate nei mesi primaverili e alle quote più basse”. Per non parlare degli Appennini, quindi.
Suona così sinistro il riferimento ad "investimenti sia pubblici che privati" che sarebbero "pensati per realizzare progetti rivolti alle stazioni appenniniche del futuro, sollevandole dalla dipendenza delle precipitazioni nevose, per farne una infrastruttura del territorio pensata per essere utilizzata tutto l’anno per escursioni a piedi o in bici", se poi più avanti nello stesso comunicato si va a precisare e a sottolineare che "al contrario di quanto sostenuto in maniera strumentale dalle associazioni ambientaliste, investire sui nuovi impianti per la neve programmata è di fondamentale importanza".
A scatenare il dibattito è stato un intervento del sindaco di Cantiano (PU), Alessandro Piccini. "Ci dispiace ancora una volta constatare la mancanza di una visione di sviluppo turistico sostenibile di questi territori, che tenga conto della fase di cambiamento climatico oramai avanzata (dato oggettivo confermato dall’intera comunità scientifica internazionale) e di un inevitabile cambio di rotta anche nell’impiego di risorse pubbliche che continuano a ripianare debiti piuttosto che essere investite in nuove linee di sviluppo". Nei giorni scorsi, intervistato dall'Altramontagna, aveva ricordato: “Dall’altra parte del mio territorio ci sono delle piste sciistiche su cui si stanno iniettando milioni di euro, con continui investimenti, in un anno come quello in corso in cui non ha nevicato. Non ha mai nevicato a 1400 metri. Ecco, questa ostinazione a giustificare questo investimento pubblico per la difesa di quelle poche attività esistenti non regge, perché allora alla pari ci sarebbero tante altre situazioni da sostenere".
Nicola Baiocchi, consigliere regionale marchigiano di Fratelli d'Italia, ha replicato accennando "l’ennesima polemica falsa e pretestuosa e completamente infondata da parte del sindaco di Cantiano nei confronti della Regione", senza però entrare nel merito della questione, ma parlando della "montagna marchigiana" definendola un "cluster attivo che rende le Marche una regione unica, dove si può sciare guardando il mare e vivendo in tutto l’anno a contatto con la natura, esplorando le nostre cime, i percorsi e i tanti luoghi mozzafiato come boschi e faggete". Un cluster: da qualche anno in Italia si è preso ad associare al turismo questo termine, la cui traduzione letterale sarebbe "grappolo", introdotto inizialmente da astronomi statunitensi e inglesi per indicare ammassi stellari.