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Ambiente

Quando salire in alto non basta: le ondate di calore sull'Appennino sono aumentate del 134% in trent’anni

Le montagne, nell’immaginario comune, sono da sempre considerate luoghi di refrigerio durante le estati torride, rifugio dalla calura delle pianure e delle città. Tuttavia, il contesto attuale ci impone di riconsiderare questa certezza. La conferma arriva da parte di un recente studio delle Università di Napoli e Roma che hanno studiato l'incremento delle ondate di calore sul territorio appenninico negli ultimi trent'anni

di
Sofia Farina
09 marzo | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Le montagne, nell’immaginario comune, sono da sempre considerate luoghi di refrigerio durante le estati torride, rifugio dalla calura delle pianure e delle città. Tuttavia, la realtà del nostro tempo, quello dell’antropocene, ci impone di decostruire la narrazione per cui basta recarsi a una quota più elevata per trovare sollievo perché anche le terre alte stanno vivendo un incremento preoccupante e diffuso delle ondate di calore. 

 

A confermarlo è un recente studio pubblicato su Atmospheric Research, condotto dai ricercatori delle Università di Napoli Parthenope e della Sapienza di Roma, che hanno studiato le caratteristiche di questo fenomeno sul territorio appenninico.

 

Per analizzare l’evoluzione delle ondate di calore tra il 1961 e il 2022, gli studiosi hanno lavorato su un vasto insieme di dati meteorologici. Da un lato, hanno analizzato le temperature giornaliere registrate in dodici stazioni meteorologiche distribuite lungo la dorsale appenninica, selezionate per garantire una copertura rappresentativa del territorio. Dall’altro, hanno utilizzato i dati di rianalisi prodotti del Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a Medio Termine, che consente di ricostruire l’andamento atmosferico su larga scala.

Per identificare le tendenze, il gruppo di ricercatori ha applicato un’analisi statistica avanzata che ha permesso di individuare variazioni significative nel numero di eventi, nella loro durata e nella loro intensità e di individuare gli schemi atmosferici più ricorrenti associati alle ondate di calore.

 

I risultati sono inequivocabili: negli ultimi trent’anni (1991-2020) il numero di ondate di calore negli Appennini è aumentato in modo considerevole rispetto al trentennio precedente. In estate, si è registrato un incremento del 134%, mentre in primavera la crescita è stata del 102%. Anche l’inverno e l’autunno hanno visto un aumento rispettivamente del 53% e del 27%, sebbene con variazioni meno marcate.

 

Questi dati mostrano un cambiamento radicale: le ondate di calore non sono più un fenomeno legato esclusivamente all’estate, ma si verificano con maggiore frequenza anche nelle altre stagioni, modificando profondamente il regime climatico degli Appennini.

 

Per capire le origini di questo riscaldamento anomalo, i ricercatori hanno analizzato le configurazioni atmosferiche che favoriscono l’innalzamento delle temperature. Durante l’estate, hanno osservato un incremento della frequenza di uno specifico schema meteorologico: una depressione ciclonica posizionata a largo delle coste irlandesi e britanniche e, contemporaneamente, un promontorio anticiclonico subtropicale che si estende dal Nord Africa fino all’Europa centrale. Questa combinazione spinge verso l’Italia masse d’aria calda di origine subtropicale, intensificando le ondate di calore e prolungandone la durata.

Le implicazioni di questi risultati sono notevoli: il riscaldamento degli Appennini non è solo un fenomeno climatico, ma una trasformazione che investe gli ecosistemi, le attività economiche e il modo stesso di vivere la montagna. Lo scioglimento accelerato della neve e la riduzione delle riserve idriche mettono a rischio la biodiversità e la disponibilità di acqua potabile. L’aumento delle temperature invernali minaccia la stagione sciistica, con conseguenze economiche per le comunità locali. Infine, il calore eccessivo favorisce il rischio di incendi boschivi, mettendo in pericolo i boschi e i pascoli appenninici.

 

Gli Appennini, che spesso restano in secondo piano rispetto alle Alpi e alle città, stanno subendo duramente gli effetti del cambiamento climatico e non possono essere lasciati indietro dalle politiche di mitigazione e adattamento. In quest'ottica, i risultati dello studio non sono solo un campanello d’allarme, ma anche un punto di partenza per migliorare la capacità di prevedere e mitigare le ondate di calore. Gli autori, infatti, sottolineano l’importanza di strategie di adattamento efficaci: una gestione più sostenibile delle risorse idriche, un potenziamento della prevenzione degli incendi e misure per proteggere gli ecosistemi montani. Gli Appennini sono un patrimonio naturale e culturale di inestimabile valore, un luogo in cui si intrecciano storia, natura e tradizioni. Proteggerli dagli impatti del cambiamento climatico non è solo una necessità ambientale, ma una responsabilità collettiva.

 

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