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Storia

Il "lago più bello d'Italia" è un invaso artificiale: 1000 presenze nelle domeniche di agosto, deserto durante l'inverno. Viaggio tra i fantasmi della Val del Mis

È stato realizzato a inizio anni Sessanta dagli stessi tecnici che costruirono la diga del Vajont. Chi in quella valle ci abitava ha dovuto andarsene, reinventarsi, lasciando come ricordo solo una Spoon River sparsa sotto il pelo dell'acqua. In certi periodi dell'anno, quando il livello dell'acqua scende, i resti di quel mondo riemergono

di
Fabio Dal Pan
09 marzo | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Andare in bici in Val del Mis a fine febbraio è molto diverso che andarci in estate, e non solo per le temperature. 

 

Nel 2022 il lago è stato nominato lo specchio lacustre più bello d'Italia dalla classifica della Guida Blu curata da Legambiente e Touring Club Italiano. Come tutti i premi e i riconoscimenti, per i film come per i libri (tale pellicola selezionata al Festival di Cannes, tale romanzo finalista al Premio Strega) queste fascette fanno bene soprattutto al marketing. Nel 2024 l'info point del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi ai Cadini del Brenton, una passeggiata per famiglie alla fine del lago, ha staccato 21 mila biglietti in 56 giorni di apertura, con picchi sempre oltre le 1000 presenze nelle domeniche di agosto, 1580 solo a ferragosto. Da luglio a settembre le auto si allineano lungo tutti i cinque chilometri della strada che costeggia la sponda sinistra, a volte anche oltre. 

 

Passandoci in bici a metà febbraio invece è tutta un'altra cosa. Nessun'auto parcheggiata e pochissime anche quelle che si incrociano. A Pian Falcina, la zona attrezzata con bar, stazioni per camper e barbecue a metà del bacino, che d'estate è il centro della movida della valle, nel fine settimana si incontra giusto qualche romantico da mare d'inverno, durante la settimana nessuno. 

 


Lago del Mis a febbraio - Foto di Fabio Dal Pan

 

Ma passandoci in questo periodo si nota soprattutto un'altra cosa. Il lago, che d'estate è pieno per restare all'altezza della propria nomea, è mezzo vuoto. Una larga striscia bianca sulle sponde, un bianco osseo, cinereo, segna la differenza con la stagione del turismo.

 

Il poeta russo Josif Brodskij ne “Le Fondamenta degli Incurabili” diceva che l'acqua è uguale al tempo. Lo scriveva parlando di Venezia, ma questo è ancora più evidente in Val del Mis. E se è vero che acqua = tempo, allora è normale che al calare del livello del lago retrocedano anche gli anni, i decenni, e riaffiori la storia. A fine febbraio, per esempio, si può appoggiare la bici al lato della strada e scendere a camminare nel mondo dei sommersi (e dunque non salvati). 

 


La Val del Mis in una foto storica, gentilmente concessa da Pieranna Casanova

 

Questo perché il lago che nel 2022 è stato dichiarato il più bello d'Italia, è in realtà un invaso artificiale costruito a inizio anni '60 dagli stessi tecnici che realizzarono la diga del Vajont: l'ingegner Semenza, l’ingegner Biadene, il professor Dal Piaz, e molti altri. Nulla di paragonabile in termini di altezza della diga e capacità del serbatoio (91 metri contro 261, 41 milioni di m³ contro 168), ma lo stesso periodo e lo stesso motivo: generare l’energia elettrica necessaria al progresso del paese. Oltre a questo l'invaso del Mis aveva (ed ha) anche un'altra finalità, cioè assicurare acqua per gli assetati campi della pianura veneta.

 

Per questi motivi chi in quella valle ci abitava ha dovuto andarsene, traslocare, reinventarsi, lasciando come ricordo solo una Spoon River sparsa sotto il pelo dell'acqua. 

 

In certi periodi dell'anno - quando i campi della pianura chiamano e non ci sono turisti da intrattenere - i resti di quel mondo riemergono e a volte si può anche camminarci in mezzo. 

 



 

Per esempio si può lasciare la bici a bordo strada dopo la sesta galleria (strada e gallerie costruite assieme alla diga) scendere la sponda sassosa fino ai ruderi della strada vecchia, e da lì camminare fin dove una volta c'erano i Scalet, un gruppetto di case e un'osteria gestita dalla famiglia Moretti. 

 

Di fronte, sull'altra sponda della valle, si intravedono resti di muretti e altri ruderi. Da quelle parti abitava Angelo Case coi suoi ventun figli, Arcangelo il primo e Primo l'ultimo, e il suo mulino, e una moglie che morì di spagnola nel 1919.

 

Sempre su quella sponda ma un po’ più monte abitavano i Cogolani, così chiamati perché casa loro era costruita a ridosso di un "cogol", un anfratto roccioso, al punto che in camera da letto avevano un armadio vuoto che serviva a nient'altro che a nascondere uno spuntone di montagna. 

 

E poi la Colonìa dei Buzzatti, i Tibolla, i Stach, e tanti altri, tutto un piccolo mondo abitato fino agli anni Cinquanta da più di 150 persone e in cui c'erano stalle, pascoli, campi, vigne, baite, casere, osterie, la scuola elementare, un albergo, l'ufficio postale. 

 


Una foto storica della Val del Mis, gentilmente concessa da Pieranna Casanova

 

Solo quando il turismo se ne va riaffiorano i fantasmi, mentre quando il turismo arriva i fantasmi devono tornare a nascondersi. Un equilibrio tra vuoti e pieni che sembrano inconciliabili. La valle riempita d'acqua e svuotata dai residenti agli inizi degli anni Sessanta, ora si riempie di turismo tre mesi l'anno e poi torna a spopolarsi, in uno strano disequilibrio di eccessi, sempre in bilico tra bulimia e anoressia di acque e di persone. 

 

Eppure qualcosa di vivo rimane ancora, di quel mondo di spiritiCome il bar alla Soffia a Gena Bassa, alla fine del lago, nell'edificio che una volta ospitava la scuola. 

Il bagno è ancora quello originale e gli avventori vanno a fare pipì nella stessa turca usata dai bambini e dalle maestre fino al 1966 quando, dopo l'alluvione che inondò tutta Italia, anche gli ultimi residenti di Gena lasciarono la valle. 

Da due anni ha cambiato gestione e ora tiene aperto anche nelle due settimane delle feste di Natale, per lo più per i locali che possono godersi anche d'inverno quel posto in effetti bellissimo. 

 


L'edificio un tempo casa dei Cogolani e oggi il bar 

 

Conta qualcosa ricordarsi tutto questo - l'osteria dei Scalet, i Cogolani, il bagno della scuola dentro il bar - quando si passa per di qua in bici, ma anche in auto o a piedi? È utile riesumare fantasmi in un mondo che, comunque sia, corre sempre più veloce verso un'altra direzione? 

 

Forse non è solo una questione di memoria, perché alla lunga la memoria è inutile come un libro chiuso in una teca, come un busto di bronzo che finisce a far da lettiera ai piccioni. Forse la questione più in generale è cercare di conoscere qualcosa di più su un luogo che si attraversa, si sia noi turisti o residenti. E così allora magari goderselo e rispettarlo un po’ di più. 

 

Io, per esempio, che abito a cinque chilometri all'imbocco valle, questa storia la conoscevo solo a grandi linee, il resto l'ho scoperto leggendo il libro di Pieranna Casanova “Una storia, tante storie - La vita e la gente del Canal del Mis”. 

 

Ma chi sono i veri fantasmi? Chi in questa valle ha costruito case, abitato scuole, tagliato prati, trasportato legna, coltivato campi - vissuto, basterebbe dire vissuto - anche se tutto questo ora è solo un ricordo sepolto dall'acqua e dal tempo, oppure chi passa un giorno l'anno e poi corre via di nuovo verso il prossimo fine settimana di svago? To die, to sleep.

 


Un tratto del lago del Mis in secca - Foto di Fabio Dal Pan

 

Poco oltre il bar alla Soffia la strada continua lungo il Canal del Mis verso la California, Tiser, e da lì a Gosaldo o Agordo. 

Quella strada è stata costruita molto prima della diga e del lago, nel 1919, come testimoniano le gallerie con la roccia viva a vista, a differenza di quelle precedenti ricoperte di cemento. 

Ma di questa strada e delle sue storie di miniere,  alpinisti e partigiani, racconteremo nella prossima puntata. 

 

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