Alpi: lo zero termico supera i 4000 metri. Perché è un problema serio e come mai succede?
Mentre la Spagna affoga, sopra le nostre teste lo zero termico schizza sempre più in alto, con previsioni che lo portano a raggiungere i 3900 metri nella giornata di oggi e i 4200 metri in quella di domani (facendo strabuzzare gli occhi agli esperti del settore, che sanno che di questi tempi dovrebbe trovarsi intorno ai 2000-2500 metri sulle Alpi). Ma perché misuriamo lo zero termico e perché è un problema che sia così elevato?
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Mentre la Spagna affoga, sopra le nostre teste lo zero termico schizza sempre più in alto, con previsioni che lo portano a raggiungere i 3900 metri nella giornata di oggi e i 4200 metri in quella di domani (facendo strabuzzare gli occhi agli esperti del settore, che sanno che di questi tempi dovrebbe trovarsi intorno ai 2000-2500 metri sulle Alpi). Chiaramente, a farci rendere conto della situazione non sono solamente i dati e i modelli, ma anche le condizioni che sperimentiamo da giorni con i nostri stessi sensi: nelle città alpine si gira in maniche corte e da diversi comprensori sciistici iniziano ad arrivare le tristissime immagini delle lingue di neve che si stagliano sui prati o sui pendii rocciosi (come ad esempio le piste del Presena, che arrivano a 3000 metri di quota e si presentano con un aspetto decisamente "estivo").
Ma facciamo un passo indietro: quella che definiamo l'altezza dello zero termico è la quota alla quale la temperatura dell'aria in atmosfera passa da valori positivi a valori negativi. Il suo valore viene misurato utilizzando degli strumenti che si chiamano radiosonde, che sono essenzialmente dei palloni aerostatici che vengono lanciati in atmosfera a intervalli regolari in dei luoghi prestabiliti (che solitamente sono i principali aeroporti nazionali e internazionali), e si prevede grazie ai modelli meteorologici.
Lo misuriamo e teniamo d'occhio il suo valore soprattutto in montagna per diversi motivi. Ad esempio, sapere dove si trova lo zero termico permette di prevedere l'altitudine a cui la pioggia si trasformerà in neve: quando lo zero termico è più basso, la neve può cadere anche a quote inferiori, mentre se si trova più in alto, è probabile che a quote più basse cada pioggia invece di neve. Poi, lo zero termico influisce direttamente sulle condizioni della neve e dei ghiacciai. Se è posizionato sopra i 3000 metri per periodi prolungati, i ghiacciai tendono a fondere più velocemente. In inverno, invece, un zero termico più basso facilita la formazione di nuovi strati di neve a basse altitudini, riducendo il rischio di fusione. Conseguentemente, lo zero termico aiuta a valutare il rischio di formazione di ghiaccio. Sulle pareti rocciose e sui pendii, il passaggio da temperature positive a negative può portare alla formazione di ghiaccio, aumentando il rischio di distacchi di rocce o di valanghe. Infine, si tratta di un dato essenziale per la valutazione delle condizioni per attività alpinistiche. Ad esempio, una quota zero termico bassa suggerisce neve più compatta e percorribile per lo sci, mentre un zero termico elevato implica neve più bagnata e potenzialmente instabile.
Ore, le condizioni che abbiamo osservato negli ultimi giorni, e che ci aspettiamo dai prossimi guardando agli output dei modelli meteoclimatici sono da piena estate, non da inizio novembre, e infatti le carte dell'anomalia termica sono tinte di colori caldi, che segnalano temperature di svariati gradi al di sopra delle medie climatiche stagionali.
A chi si chiede perché questa è una notizia negativa (e non solamente un'ottima condizione per andare in montagna per il ponte del primo novembre) si può rispondere che buona parte dei motivi sta nel funzionamento del ciclo dell'acqua e nel ruolo che le terre alte hanno in esso. Avere delle temperature così elevate alle alte quote (e soprattutto, per così tanto tempo) vuol dire che i ghiacciai smettono di accumulare neve e subiscono processi di fusione (con conseguenti impatti sul loro ruolo di riserve di acqua) e il permafrost (il terreno perennemente ghiacciato che funge da “collante” per le rocce) si degrada. Questo aumento della temperatura del terreno può causare frane e crolli nelle zone montane (come è successo ieri in Valtellina), dove il terreno è più instabile senza il supporto del permafrost. Inoltre, situazioni così inedite impattano fortemente gli ecosistemi e i loro abitanti (umani e non), soprattutto relativamente alle specie animali e vegetali che hanno bisogno di temperature più basse per sopravvivere. Chiaramente, e non da ultimo, si tratta di una condizione che ha (come ha avuto negli scorsi anni) delle pesanti conseguenze per la parte dell'economia montana che dipende dall'oro bianco, la neve, a partire dal turismo invernale.
Insomma, avere uno zero termico più alto del Monte Bianco i primi di novembre è un problema. Trattiamolo come tale.