Scope, pipe ed energia: gli arbusti pungenti e pionieri dal nome di donna
Alberi dimenticati #5 / ForestPaola ci racconta due specie "cugine", una un arbusto, l'altra un "quasi albero". Due piante da sempre utilizzate dall'uomo e oggi, spesso, dimenticate


E va bene, lo ammetto: in gioventù non ho mai amato tanto queste due specie, l’Erica arborea e l’Erica scoparia, dal portamento per lo più arbustivo, con le loro foglie aghiformi fastidiosissime quando si infilano sotto la canottiera (che ogni forestale porta!), e con quel tipico atteggiamento delle piante pioniere pronte ad invadere e conquistare gli spazi aperti senza neanche chiedere il permesso! Suvvia, chi le amerebbe?

Eppure, vi devo svelare che negli ultimi anni, sarà la saggezza (o forse più probabilmente un inizio di demenza), ho iniziato a guardarle con altri occhi, più affettuosi: penso che molto dipenda dalla storia che intreccia queste due specie alla nostra, un sodalizio iniziato, pensate, già al tempo degli Etruschi.
Ma prima di entrare nei dettagli storici, voi sapete riconoscere queste due piante? Altrimenti poi si fa una gran confusione, perché probabilmente nel periodo invernale vi sarete soffermati ad ammirare la fioritura dell’Erica carnea, quella che forma estesi cuscini fucsia sui versanti soleggianti. Ma io mica vi voglio parlare di lei, quella specie è erbacea e qui non si parla di piante dimenticate, ma di alberi dimenticati.

E infatti l’Erica arborea, come dice il nome, è una pianta capace di arrivare a 4-5 m di altezza, anche se probabilmente l'avete spesso incrociata osservando un portamento arbustivo simile a quello della "cugina" Erica scoparia.
Le foglie sono aghiformi, disposte singolarmente sul rametto, con apice arrotondato; ad un occhio inesperto potrebbe sembrare una pianta di rosmarino, ma le eriche appartengono alla famiglia delle ericaceae e il rosmarino alla lamiaceae (e con le eriche non si condisce l'arrosto)! Inoltre, queste piante hanno una fioritura davvero particolare, con infiorescenze nelle parti terminali dei rametti che sembrano formate da centinaia di campanelline: bianche nell’erica arborea, bianco-verdine con stimmi rossi nella scoparia. A differenza dell’erbacea Erica carnea, le altre due fioriscono ad aprile-maggio.

Ma che storia possono raccontare queste due specie, questi arbusti pungenti?
Ebbene, anche se sembra incredibile data la mia premessa, l’erica arborea è una specie generosa: gli Etruschi la utilizzavano come combustibile preferenziale nei lavori di metallurgia, ma anche successivamente è stata sempre molto apprezzata dai fabbri nella forgiatura del ferro perché il carbone che si ricavava sviluppava molto calore. Il suo legno, rosso e duro, viene inoltre ancora oggi impiegato nella realizzazione delle pipe. La famosa radica si ottiene infatti dalla parte della radice subito sotto il fusto, che assume una forma rotondeggiante solo in alcuni esemplari, quelli che raggiungono almeno settant'anni di vita e non hanno subito incendi in questo lungo periodo.

In passato questa specie veniva utilizzata anche per creare i tetti delle capanne o le casupole dei boscaioli/carbonai, e qualche volta addirittura con le fascine dell’erica arborea si faceva “il bosco” dove il baco da seta realizzava il bozzolo (ne ho parlato qui).

E l’erica scoparia? Beh, lo dice il nome: serviva, riunita in fascine, a fare le scope. D’altro canto il termine "scopa" vuol dire proprio ramoscello, riferendosi proprio ai rami lunghi e sottili di questa specie. Ma in alcune zone della Toscana le scope sono chiamate “granate”, per la presenza di grani sui rametti perché, rullo di tamburi... in questo caso si usava la saggina (o sorgo), una pianta caratterizzata proprio da questi piccoli bozzoletti sui rami. Tuttavia, nel gergo comune anche le scope di erica, in certe zone, sono rimaste le granate.

Insomma non dico che adesso vada addirittura abbracciata, perché continua a pungere, ma... conoscendo la sua storia, la prossima volta che incontrerete un’erica non inizierete anche voi a guardarla più affettuosamente?
PS - Il mio collega e amico Luigi Torreggiani mi ha fatto notare che di recente un progetto Life si è interessato del ripristino degli ericeti toscani. Il nome è un programma: "Granatha", che sta per "Growing avian in Apennine's Tuscany Heathlands" ma che ovviamente che fa il verso anche allo storico nome toscano. Per tutelare la presenza degli ericeti (che è vero sono ecosistemi di invasione ma sono anche importanti per molte specie protette di uccelli, a rischio causa abbandono della gestione e successiva colonizzazione arborea) e limitare il rischio incendi, il progetto ha avuto proprio l'idea di ripristinare la produzione di scope biologiche. Questa storia è stata raccontata in un documentario di Compagnia delle Foreste, che trovate qui sotto (qui inizia al punto in cui si parla degli ericeti, ma da forestale vi consiglio di guardarvelo tutto):

Dottoressa forestale libera professionista e Accompagnatrice di territorio del Trentino.
Nata a Firenze, vive in Trentino nella piccola Valle dei Mòcheni. Qui si occupa di boschi 365 giorni all'anno, per questo tutti ormai la chiamano solo "Forest".
Racconta la sua vita nella media montagna, il suo duplice lavoro di dottoressa forestale e di divulgatrice ambientale, il tutto sempre con un sorriso.