Nuovo ospedale di Fiemme, è scontro sulla localizzazione. Le Acli: "Deve rimanere a Cavalese". La Val di Fassa non ci sta: "Troppo lontano, si costruisca tra Tesero e Predazzo"
Non mancano le tensioni mentre si va verso i giorni decisivi sul futuro del nuovo ospedale dell'Avisio: da una parte c'è chi sostiene la linea della ristrutturazione di Cavalese come soluzione pragmatica e attenta al consumo di suolo, come sostenuto tra gli altri dalle Acli e da Mountain Wilderness; ma la Val di Fassa reclama un ospedale più vicino, tra Tesero e Predazzo
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TRENTO. Siamo nei giorni chiave del dibattito pubblico e politico sul futuro del nuovo ospedale dell’Avisio, che sarà costruito per essere il nuovo polo sanitario di riferimento per le valli di Fiemme, Fassa e Cembra.
Un tema sul quale continuano a rimbalzarsi posizioni diverse, emerse da un processo partecipativo complesso (e non privo di tensioni).
Da un lato, le Acli trentine (e insieme a loro molte associazioni ambientaliste) spingono per una soluzione che valorizzi la struttura esistente di Cavalese, puntando forte (di fatto) sulla ristrutturazione dell'edificio e su un progetto più "sostenibile" che avrebbe impatto minimo sul consumo di suolo; ma dall'altra parte della barricata, le istituzioni della Val di Fassa hanno firmato un documento in cui reclamano a gran voce una collocazione della nuova struttura più "baricentrica", collocata non più a Cavalese ma tra Tesero e Predazzo, per garantire un servizio più vicino anche alla loro comunità.
Le Acli trentine, insieme ai circoli delle Valli dell’Avisio, non hanno dubbi: il nuovo ospedale deve essere un’occasione per "invertire il declino delle prestazioni sanitarie nelle valli, segnate da un progressivo dirottamento dei pazienti verso altre strutture, spesso private o fuori provincia". “Non si tratta solo di un problema urbanistico, ma di politiche sanitarie”, ha scritto il presidente Walter Nicoletti in una nota stampa, insistendo sulla centralità della prevenzione e della cura in un quadro di sanità pubblica territoriale. Insomma, si vuole ristrutturare l’attuale ospedale di Cavalese, ottimizzando i costi e la logistica, prevedendo se necessario un ampliamento con alloggi per il personale sanitario. Una posizione dettata anche dalla necessità di mantenere un servizio accessibile alla Valle di Cembra, per cui Cavalese resta un punto di riferimento strategico.
Ma non tutti la pensano così. Di tutt’altro avviso sono, per esempio, il Procurador del Comun General, i sindaci e l’Azienda per il Turismo della Val di Fassa in rappresentanza dei suoi 1.100 soci, firmatari di un lungo comunicato. Per loro il nuovo ospedale deve essere a servizio di un bacino ampio – che includa i circa 10 mila residenti di Fassa, i 5 mila lavoratori stagionali e una “popolazione equivalente” di oltre 30 mila persone legata al turismo – e richiede una posizione differente.
Cavalese, sostengono, è troppo lontana, anche perché nei mesi di alta stagione turistica i tempi di percorrenza delle strade principali da e per Cavalese raddoppiano, rendendo l’accesso potenzialmente problematico per pazienti, familiari e operatori sanitari. La proposta emersa dai confronti è quella di collocare la nuova struttura "lungo la strada provinciale 232 di fondovalle tra Predazzo e Tesero". “Se metà del bacino di riferimento è in Val di Fassa - scrivono -, non ha senso scegliere la località più distante”.
Soluzione peraltro già contestata da Mountain Wilderness Italia, l'associazione ambientalista che si è schierata a favore della ristrutturazione della sede di Cavalese (QUI L'ARTICOLO). Per l’associazione ambientalista la scelta più logica sarebbe realizzare la nuova struttura "nella stessa area dell’attuale ospedale, evitando ulteriore cementificazione e salvaguardando il paesaggio". A Predazzo, invece, secondo l'associazione presieduta da Luigi Casanova, i problemi sarebbero molteplici: "L’attuale impianto di teleriscaldamento non riuscirebbe a rifornire l’edificio in quanto sarebbe sottodimensionato: improbabile un suo potenziamento. Per ragioni di spazio della struttura, ma anche e specialmente perché per lunghi decenni la produzione di legname in tutta la valle, dopo Vaia, dopo i danni provocati dal bostrico, nelle incertezze causate dai cambiamenti climatici in atto, sarà oltremodo ridimensionata".
Insomma, ora la decisione è nelle mani dell'amministrazione provinciale, chiamata a bilanciare i vari elementi di salute, ambiente e territorialità (se non campanilismi) in una strategia che non scontenti nessuno. O che, almeno, trovi un compromesso accettabile per tutti. Non sarà facile.