IL PODCAST. Baby gang e aggressione ai Krampus? ''Le nuove generazioni non sono più violente delle precedenti: i giovani oggi sono più autolesionisti''
L’aggressione ai Krampus da parte di alcuni ragazzi, avvenuta ai mercatini di Levico Terme, sembra riportare alla ribalta il fenomeno delle baby gang. I dati però raccontano una realtà diversa. La presidente dell'Ordine, Roberta Bommassar: “I giovani rivolgono la propria aggressività verso sé stessi, non tanto verso gli altri”
TRENTO. Quanto sono pericolose le baby gang? Quali motivi avevano i ragazzi per aggredire i Krampus ai mercatini di Levico? A chi imputare la responsabilità della delinquenza giovanile? Nella nona puntata del podcast TrenTopic la psicologa e psicoterapeuta Roberta Bommassar esamina la situazione, facendo luce sui legami tra educazione, violenza e disagi giovanili.
Intervistata ai microfoni di TrenTopic, Bommassar, presidente dell'Ordine di Trento e che ricopre inoltre il ruolo di referente del gruppo di lavoro sull’infanzia e adolescenza del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, non ha dubbi. Quello dell’attacco ai Krampus, è poco più di “un esempio banale che viene amplificato anche grazie ai social”. Non si può quindi ricondurlo a un fenomeno di violenza diffusa tra la popolazione più giovane. Stando alle parole dell’esperta “manca una valenza che ci permetta di farne una lettura sociologica”.
L’attacco ai Krampus, spiega Bommassar, ha più a che fare con un modo di affrontare il ruolo dell’autorità nella nostra società, che con un esempio di violenza minorile. L’aggressione in questione va ricondotta ad una parte profonda della nostra cultura, che si intreccia con l’immaginario collettivo e la mitologia (QUI L’ARTICOLO).
In passato, c’è sempre stato qualcuno che provocava l’autorità dei Krampus, ma lo faceva restando all’interno di certi limiti. Invece, questa volta si è esagerato. Le sassate e gli spintoni erano veri e sono usciti dal gioco della rappresentazione mascherata dei Krampus. I giovani facinorosi hanno voluto prendere il loro posto e seminare paura a loro volta. Il tentativo di ribaltare il ruolo dell’autorità, che allegoricamente spaventa e prende di mira i più deboli, rappresenta, in definitiva, “la rottura di un mito che disorienta. Per questo motivo – spiega Bommassar – si presta a diventare una notizia suggestiva”.
Da una parte, nel corso degli ultimi mesi, il fenomeno della violenza giovanile è stato presentato come una piaga dilagante, soprattutto da una certa politica (QUI L’ARTICOLO). Dall’altra parte, invece, i dati mostrano una realtà ben diversa, lontana da quell’immagine di emergenza di carattere nazionale (QUI L’ARTICOLO).
“Anche confrontandola con i modelli del passato – sostiene Bommassar – la nostra società non veicola modelli più violenti”. A ben guardare, l’incidenza della delinquenza giovanile nella nostra società è in diminuzione, e a supporto di quest’affermazione concorrono le rilevazioni Istat (QUI I DATI). La presidente dell’Ordine, poi, aggiunge: "C’è invece una narrazione, un percepito, che sta trasferendo un messaggio, il quale non corrisponde alla realtà. Non è vero che i giovani al giorno d’oggi sono più violenti di quelli del passato”. Il vero problema semmai – continua Bommassar – è che “i giovani tendono ad indirizzare l’aggressività verso di sé, con fenomeni di tipo autolesionistico. E questo sì, è un fenomeno molto significativo” (QUI L’ARTICOLO).
Altro tema è invece la messa in discussione dell’autorità. C’è meno timore e meno rispetto della figura autoritaria rispetto ad una volta. Questo è un fenomeno molto presente e che da anni viene riportato come critico dagli attori coinvolti. Chi lo subisce, come ad esempio gli insegnanti, viene spesso messo in difficoltà. In questi casi, non si tratta di un attacco alla persona, ma un attacco alla figura rappresentata dagli adulti.
Ma di chi è la responsabilità? Bommassar illustra come questi “sono temi molto complessi e richiedono la responsabilità di tutti, nessuno può chiamarsi fuori. E' importante capire – continua la psicologa – che si tratta di una corresponsabilità, che ognuno deve riflettere sul proprio ruolo. Naturalmente, anche gli stessi ragazzi”.
Infine, ad aumentarne la complessità, ha contribuito la diffusione dei dispositivi elettronici. “Si è venuto così a creare – sostiene Bommassar – un terzo polo nei modelli identificatori”. Per i giovani d’oggi dunque, i centri formativi non sono più solo famiglia e scuola, ma anche gli smartphone. I modelli educativi sono quelli nei quali i giovani si identificano e, attraverso l’uso dei social, si è esposti a una miriade di modelli. “Oggi c’è una bulimia di proposte e modelli che è disorientante e rende la crescita, e il prendersi carico delle proprie responsabilità, molto più difficile rispetto a una volta”.
Il fenomeno delle baby gang, quindi, si inserisce in questo spaccato e porta con sé una funzione identitaria. Nel gruppo, le responsabilità si sciolgono e gli indecisi sono portati a fare cose che altrimenti non farebbero. Ancora una volta, conclude la psicoterapeuta, “la novità e la complessità di questi fenomeni sono i due principali ostacoli”. Per uscire da questa impasse, proibire non porta da nessuna parte, anzi. Ciò che serve veramente è educare, sia i ragazzi, sia i genitori, all’utilizzo corretto dei social.