L’Italia entra in guerra, liberazione o aggressione? Il 24 maggio 1915 in Trentino, tra mito e pseudo-storia
Il 24 maggio 1915 il Regno d’Italia entrava nel conflitto, fu l’inizio della guerra italo-austriaca, combattuta sul fronte tirolese e su quello orientale, per la conquista delle città “irredente e sorelle” di Trento e Trieste. Attorno a questa data, in Trentino, continua a combattersi quella “guerra civile della memoria” che a più di cent’anni di distanza andrebbe definitivamente superata, attraverso la problematizzazione e la comprensione. Ne abbiamo parlato con lo storico Giuseppe Ferrandi
Noi siamo tre sorelle/ Italia, Austria e Prussia/ Contro la Serbia e Russia/ Andiamo a guerreggiar
(canzonetta diffusa allo scoppio della Grande Guerra)
TRENTO. Scoppiato il conflitto, con l’attacco dell’Austria-Ungheria alla Serbia e la messa in moto dei meccanismi di alleanza, il Regno d’Italia decideva inizialmente di stare a guardare. Nessun obbligo lo vincolava ad entrare in guerra a fianco dell’Impero, nel Paese, inoltre, la maggioranza politica e l’opinione pubblica non condividevano affatto l’afflato bellico diffusosi a macchia d’olio in Europa, coltivando, chi per un motivo chi per un altro, un sincero sentimento pacifista.
Il nazionalismo, d’altro canto, aveva già fatto breccia anche nella penisola, alimentandosi di narrazioni che non solo consideravano “la guerra come unica igiene del mondo”, glorificando imperialismo e militarismo, ma che vedevano nel conflitto appena deflagrato l’occasione propizia per concludere un travagliato e lungo processo di unificazione degli italiani in un’unica Nazione. Non è un caso che mentre le piazze venivano incendiate dalle minoranze chiassose e aggressive dell’interventismo più oltranzista, la diplomazia romana già avesse cominciato a guardarsi intorno, valutando quale alleato scegliersi per ottenere quanto si rivendicava da tempo, “compiendo” una volta per tutte il Risorgimento.
Si cominciò a discutere con l’alleato asburgico, a cui il Regno si era legato nel 1882 con la firma della Triplice, nata in funzione anti-russa e anti-francese – non a caso ogni rivendicazione su Trento e Trieste venne scoraggiata da molti governi del tempo, come quello di Francesco Crispi – cercando di barattare la propria neutralità con l’oggetto del desiderio italiano, dalle due “città irredente” fino a Valona in Albania. Si cominciò, al tempo stesso, questa volta con successo, a cercare alleanze che più confacessero con le aspirazioni italiane, e che portassero finalmente allo scontro decisivo contro il nemico secolare, l’Austria "prigione dei popoli".
“La guerra in cui l’Italia si apprestava a entrare aveva una funzione innanzitutto imperialistica – spiega Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico di Trento – una guerra a cui venne portata da una minoranza più aggressiva ed incisiva della maggioranza presente in Parlamento e nel Paese, tra socialisti, cattolici e giolittiani, e che poté contare soprattutto sull’appoggio della Corona, dei militari, del mondo industriale. Con un vero e proprio colpo di Stato, il Regno firmò un trattato segreto, il Patto di Londra, che sciolse il nodo dell’entrare in guerra a prescindere dal nemico e individuò nell’Austria il bersaglio da colpire”.
“Il 24 maggio 1915 va quindi inserito nelle coordinate della Grande Guerra e del ‘900 – continua – in cui trionfa il nazionalismo. In questo si inserisce il ruolo italiano svolto nel contribuire al disfacimento dell’Impero. Per capire il ruolo del Trentino, invece, dobbiamo liberarci dal paradigma di lettura che attribuisce a questo territorio il destino di terra contesa e di oggetto di battaglie, prima autonomistiche e poi irredentistiche. Lo zoom per comprendere la storia va allargato: il Trentino ebbe una scarsa rilevanza rispetto all’altro fronte, quello giuliano, e alla questione balcanica. Per farlo dobbiamo smettere di ragionare nell’ottica di due visioni speculari che vedono nell’annessione del Trentino da una parte il compimento del processo risorgimentale e dall’altra nella minoranza di irredenti il motivo dell’entrata anche del nostro territorio in guerra”.
È la “guerra civile della memoria”, che si alimenta in visioni storiografiche e narrazioni ormai datate o in altre profondamente segnate da un taglio ideologico. Entrambe accomunate, comunque, dalla miopia e dall’incapacità di comprendere a fondo le sfumature. “Quando scoppia il conflitto italo-austriaco la guerra europea era già cominciata, con milioni di morti alle spalle e l’uccisione dell’Europa ottocentesca. Il Trentino avrebbe partecipato a prescindere da chi al suo interno ne voleva l’entrata in guerra. La sua identità composita si rifletteva nelle diverse anime presenti nella società, risucchiata nel cortocircuito del conflitto dove ad esempio una forza fino a quel momento internazionalista convinta come il socialismo si trovò a compiere delle scelte che la accomunarono ai nazionalisti più oltranzisti”.
“Questa ricchezza venne così stritolata e le conseguenze anche per il Trentino furono epocali. Usciamo però dalla logica ‘trentinocentrica’, secondo cui ciò che si è consumato qui ha determinato i destini del conflitto, con una parte minoritaria della società che ha trascinato il Trentino in guerra. Questa immagine è frutto di letture successive della guerra stessa, che hanno inciso fortemente sulla storiografia trentina esaltando un supposto ricongiungimento all’Italia ed un compimento del Risorgimento. Il 24 maggio, invece, iniziò una tragedia che si combatté anche sulle nostre montagne e lacerò la società trentina, coinvolgendo una percentuale impressionante della popolazione tra profugato e combattimenti”.
A una lettura ufficiale, come spesso accade, si contrappone una contro-lettura della storia. Una contro-lettura che per lo più dimentica (volente o nolente) il funzionamento dello studio storico e dell’impianto scientifico di questa disciplina, che confonde la storia con la memoria, che, impregnata di ideologia, essenzializza un’identità perduta, dimenticata, oppressa. “Le posizioni etno-nazionalistiche – continua Ferrandi – si confrontano sullo stesso terreno di chi esalta i martiri e trasforma la minoranza degli irredentisti in costruttori dell’avvenire della storia. La rappresentazione della guerra italo-tedesca come una guerra d’aggressione, frutto del tradimento, da cui ci si doveva difendere, è speculare a quella che la considera il compimento del Risorgimento. La lunghezza d’onda su cui si sintonizzano queste narrazioni è la stessa”.
Anche tu adesso Italia/ O statto di briganti/ Tu sei levata i quanti/ pre prender il fucil/ Lai dato l’ultimato/ All’Austria tua alleata/ Dopo che ti ha sfamato/ Sei messa a guerreggiar/ […]/ Il Trentino tu volevi/ Le me isole e l’Istria nanco/ Per te non è gunta l’ora/ Nemeno gungera/ In grata ancor non volevi/ I tuoi poppoli si ribela/ Getta le armi interra/ Non vuole gueregiar (Canzone riportata nel diario di un soldato trentino)
A simboleggiare questo scontro tra opposti nazionalismi v’è la figura di Cesare Battisti, vero e proprio “grimaldello” utilizzato per esaltare o denigrare la presunta forzatura decisiva della situazione e la successiva entrata in guerra dell’Italia. “Su questa figura opera una costruzione post-mortem che la monumentalizza e la mitizza, processo che in tempi più recenti avviene anche in senso opposto – spiega Ferrandi – per uscire da questa interpretazione, dunque, servirebbe lasciare da parte i giudizi morali, considerare le elusioni e le contraddizioni di certi personaggi, riequilibrare pubblicamente la memoria, riconoscendo che la maggior parte dei trentini è morta e ha combattuto con l’altra divisa. Ciò non significa però dar vita ad una memoria condivisa, che è cosa mostruosa e soprattutto non problematizza il passato. Significa semmai accettare che non c’è una narrazione unica e identitaria, liberarci dall’assolutezza del linguaggio della liberazione o del suo contrario”.
La nostra idea del passato vive dunque di rappresentazioni successive, plasmate nei decenni dalla retorica ufficiale e da una storiografia che solo con il tempo ha imparato a disfarsi della veste mitizzante, abbracciando un’interpretazione della storia più libera dalle ideologie e più conscia della complessità della realtà. Così il 24 maggio 1915 non vide né un Trentino festoso nell’attesa della liberazione, né compattamente leale all’imperatore Francesco Giuseppe.
“Gli anni ’10 non sono i ’20, o i ’30, in cui il processo di nazionalizzazione delle masse si perfeziona con l’uso della propaganda e i meccanismi di costruzione dello Stato-Nazione – prosegue – se il parere dei trentini sull’entrata in guerra dell’Italia fosse stato sondaggiato, i risultati, a vederli adesso, ci lascerebbero sorpresi. Ciò che gli studi ci dicono ci presenta una situazione molto diversificata, con una popolazione divisa a seconda della geografia del territorio e delle classi sociali. Ci sono zone che hanno un rapporto più stretto con il mondo tirolese, pensiamo alle valli del Noce e dell’Avisio, altre che invece hanno un maggiore legame con l’Italia, la Vallagarina, Riva, Rovereto, alcune zone della Valsugana”.
“Il Trentino era all’epoca un grande insieme di storie e sensibilità. Ogni classe sociale aveva i suoi riferimenti culturali, così il mondo rurale non poteva che essere più vicino ad una fedeltà all’Impero, le classi borghesi, invece, si potevano dividere tra una borghesia filo-italiana ed una burocratica che rappresentava il funzionariato asburgico. Gran parte della popolazione, comunque, era indifferente ad una particolare causa nazionale, un’indifferenza che nel tempo, con gli avvenimenti bellici e l’educazione nazionale divenne altro. La guerra è certo un momento di forte disorientamento, con i suoi lutti e le sue lacerazioni. La stessa identità dei soldati austro-ungarici muta nel tempo ed è condizionata. Un ruolo importante lo svolge il profondo sentimento cattolico, su cui si fa perno per rappresentare la guerra contro l’Italia come uno scontro con i massoni senza-dio a difesa della cattolicissima Austria - conclude - la stratificazione di motivazioni ideologiche e di legittimi interessi legati al ruolo sociale pertanto era molto varia”.
Scoppiato il conflitto il fronte sarebbe immediatamente arretrato rispetto al confine fra Impero e Regno d’Italia. Una piccola fetta del Trentino meridionale sarebbe così stato occupato dai soldati del Regio esercito. Iniziava così una prima diversificazione dei destini della popolazione trentina.