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Il mito di Tomek Mackiewicz al Trento Film Festival, per aiutare i tre figli e ricordare il ''sognatore''

Un racconto senza tanta retorica sullo scalatore morto lo scorso gennaio sul Nanga Parbat. Uno che era considerato ''un puro'' e che ha sempre voluto vivere la montagna ''dal vero''. ''Il sognatore del Nanga e l'inverno degli Ottomila'' di Sandro Filippini è stato presentato questa sera

Di Nereo Pederzolli - 01 maggio 2018 - 20:11

TRENTO. L'alpinismo sulla scena dell'Auditorium, ma per una serata che non vuole stupire, ma solo ricordare uno tra i Grandi degli Ottomila, quel Tomek Mackiewicz morto sul Nanga Parbat dopo una delle sue incredibili performances. Serata tra ricordi e stimoli solidali, senza tanta retorica. Piuttosto un momento che lascia spazio pure alla gioia. Proprio così. Perché nel video che mette sullo schermo la figura di Tomek, si vede lo scalatore scatenarsi in una sorta di ballo rap, infagottato nella tuta in grado di sfidare temperature attorno ai meno 40°.

 

La danza - spensierata - forse mai prima praticata a quelle quote proibitive. Proprio per questo Tomek è giustamente definito 'sognatore'. Lo era quando si confrontava con le spedizioni più importanti, alpinisti non sempre in sintonia tra loro. Per questioni di prestigio, tra invidia e sponsorizzazioni. Tomek non era tra questi. Era considerato un puro. Lo è ancora, maggiormente osannato anche perché il suo corpo non è stato recuperato. Sulla cima del Nanga Parbat è salito assieme a Elisabeth Revol. Per lui era il settimo tentativo.Con un doloroso, tragico ... dopo. La francese salvata in extremis, dopo una mobilitazione imponente.

 

Sul palcoscenico del Trento Film Festival la storia di Tomek non punta alla ricostruzione della sua ultima tragica scalata. Mette in mostra l'aspetto più intimo dello scalatore polacco.  Ecco perché - sotto la regia di Sandro Filippini - ci sarà il racconto della moglie di Tomek, Anna, per aiutare i loro tre giovanissimi figli. Solidarietà e sfida. Nel documento video girato in una precedente spedizione sul Naga Parbat, Tomek spiega la sua filosofia. ''Voglio scalare d'inverno perché è più difficile. Perché devo confrontarmi con il vero. Contro quanti manipolano l'immagine della montagna sfruttando photoshop: inclini la parete e tutto diventa a 80°. Io rispetto solo la mia coscienza, la voglia d'avventura. Proprio per rispettare il traguardo''.

 

Testimonianze e riscontri. Come l'uso delle previsioni meteo, indagini molto sofisticate, per intuire la 'finestra' che libera la vetta. Condizioni con cambi repentini, assolutamente pericolosi. Ecco perché Tomek ha dovuto più volte cimentarsi con la vetta. Cercando caparbiamente di salire lungo la via Messner-Eisendle, scontrandosi ( nel 2016) con la presenza di altri alpinisti, in quel caso poco 'ospitali'. Stimolato però a riprovare. Fino alla tragica spedizione dello scorso gennaio. Adesso la mobilitazione alpinistica è per aiutare anzitutto gli orfani. Ma anche per dare un giusto valore al sogno di Tomek.

 

Riconoscimento postumo? Gli estimatori - quelli stasera sul palcoscenico - sono sinceri. Lo erano anche prima della tragedia. Lo sono ora. Ancora più di prima.

 

 

 

 

 

 

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