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“Nuovi contratti per i ricercatori universitari? Così si aumenta la precarietà”. I dottorandi sulla riforma Bernini: “Rettore e docenti di UniTn si oppongano”

La sede di Trento dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia (Adi) dice la sua sulla recente riforma promossa dalla ministra dell'Università, Anna Maria Bernini: “Come Adi siamo preoccupati per il futuro della ricerca in Italia”

Di Filippo Schwachtje - 17 luglio 2024 - 18:45

TRENTO. “Come Adi siamo preoccupati per il futuro della ricerca in Italia e chiediamo al rettore, ai docenti e alle docenti dell'Università di Trento di opporsi a questa riforma che rischia di distruggere il futuro delle giovani generazioni di ricercatori e ricercatrici nel nostro paese”. Sono queste le parole dei responsabili della sede di Trento dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia (Adi), intervenuti sulla recente riforma promossa dalla ministra dell'Università Anna Maria Bernini. Riforma che, in estrema sintesi, secondo l'associazione rischia di “aumentare la precarietà invece di ridurla”, con l'introduzione di una serie di nuovi contratti per i ricercatori universitari.

 

“La ministra Bernini – scrivono – propone l'inserimento di nuovi contratti per i ricercatori universitari, aumentando così la precarietà anziché ridurla. Attualmente, con oltre 15.000 precari che sostengono il sistema universitario, il percorso del dottorato all'immissione in ruolo (che significa stabilità contrattuale) dura mediamente 12 anni: l'introduzione di ulteriori tipologie contrattuali, tutte precarie e con scarsa prospettiva, rischia di allungare ulteriormente questo periodo”.

 

Il nuovo 'contratto di ricerca' del 2022, promosso dal governo Draghi, prometteva maggiori tutele e stabilità, dicono i responsabili di Adi: “Tuttavia non è mai entrato in vigore per mancanza di finanziamenti. Inoltre, il Fondo per il finanziamento ordinario (Ffo) delle università ha stabilito per il 2024 tagli drastici, che si estendono per 100 milioni anche alla 'quota premiale' (quella parte di risorse che valuta la 'qualità' dell'Ateneo attraverso parametri come la qualità della ricerca, le politiche di reclutamento, l'internazionalizzazione e la didattica dell'ateneo). Inoltre, la 'quota di salvaguardia' viene ridotta di 4 punti percentuali rispetto al 2023, esponendo gli atenei ad una possibile riduzione dei fondi da un anno all'altro. Complessivamente, i finanziamenti per l'università vedono un calo di 506 milioni di euro. In questo disastroso panorama, il 'gruppo di lavoro' della ministra Bernini introduce sei nuovi contratti, ma senza nuovi stanziamenti non è chiaro come le università potranno sostenere i costi”.

 

Nel dettaglio, sottolinea l'associazione, la bozza del gruppo di esperti della ministra Bernini ha terminato il suo compito il 31 marzo di quest'anno, presentando una proposta di riforma “che rischia di rendere ancora più precaria e alienante la ricerca in Italia”. La proposta “prevede infatti una varietà di tipologie contrattuali, alcune delle quali della durata minima di soli sei mesi”. Gli istituti che saranno utilizzabili all'interno del sistema universitario saranno i seguenti:

 

Contratti di ricerca, introdotti sotto il governo Draghi recependo le indicazioni di Adi, della durata di minimo 2 e massimo 4 anni, perfettamente inattuabili vista la scarsità di fondi e l'indisponibilità del governo a stabilire la retribuzione in sede di contrattazione collettiva. Contratti post-doc: contratti di diritto pubblico a tempo determinato, che si aggiungono al contratto di ricerca 'preruolo' di cui prima, ma con condizioni lavorative al ribasso sia in termini di durata, da un minimo di 1 a un massimo di 3 anni, che di salario, non prevedendo la contrattazione collettiva; questi contratti mirano a orientare verso una carriera pubblica o privata nella ricerca. Assistente alla ricerca senior: istituto ideato per consentire agli atenei di ingaggiare personale con dottorato per assistere nelle attività di ricerca; in questo caso ci sono contratti annuali fino a un massimo di 6 anni, senza alcuna garanzia, con retribuzione fissata dal ministro e non sottoposta a contrattazione collettiva né indicizzata all'inflazione, e con assenza di un rapporto di lavoro subordinato; questa figura di fatto sarebbe molto simile all'assegno di ricerca che veniva abolito dalla riforma del governo perché troppo precario e lontano dagli standard europei. Assistente alla ricerca junior: istituto post-lauream destinato a soggetti in possesso di laurea magistrale o laurea a ciclo unico, con durata da 1 a 3 anni; si tratta, come la precedente, di una figura poco chiara, poco tutelata, a rinnovo annuale e totalmente discrezionale, con una paga non sindacabile né indicizzata all'inflazione. Professore aggiunto: figura diretta a consentire alle università, agli enti di ricerca e agli istituti universitari a ordinamento speciale di collaborare con soggetti altamente qualificati per specifiche attività di didattica, ricerca e terza missione; la selezione avviene mediante conferimento diretto dell'incarico, con l'importo concordato dalle singole istituzioni nel rispetto del tetto massimo previsto per legge. Contratto di collaborazione per studenti: estensione dei bandi per le collaborazioni studentesche part-time (le '150 ore'), ad ora limitate ad ambiti amministrativi, anche al supporto alla ricerca”.

 

Il contratto di ricerca promosso dal governo Draghi (recependo come anticipato molte delle proposte dell'indagine Adi per semplificare il sistema di reclutamento universitario) prevedeva invece “l'istituzione del contratto di ricerca, unica figura pre-ruolo che avrebbe sostituito l'assegno di ricerca. Il contratto di ricerca – dice Adi – avrebbe apportato significativi miglioramenti, avvicinando le condizioni dei ricercatori italiani a quelle del resto d'Europa. La legge prevedeva contratti di durata almeno biennale, conferibili solo a soggetti con il titolo di dottore di ricerca, instaurando un rapporto di lavoro subordinato con tutele giuslavoristiche, previdenziali e assistenziali, di cui l'assegno di ricerca era strutturalmente privo. La retribuzione sarebbe stata stabilita in sede di contrattazione collettiva. Tuttavia, la riforma non è mai stata attuata e l'attuale governo ha più volte prorogato l'abolizione degli assegni di ricerca, bloccando così l'introduzione del contratto di ricerca”.

 

L'attuale bozza di riforma, aggiunge l'associazione: “E' stata elaborata da un gruppo di lavoro scelto dalla ministra, senza la necessaria presenza delle rappresentanze istituzionali del mondo universitario, che avrebbero potuto e dovuto essere consultate per una ricognizione della disciplina che regola la carriera universitaria. Come Adi siamo preoccupati per il futuro della ricerca in Italia. Facciamo inoltre un appello al rettore dell'Università di Trento e a tutti i docenti affinché si oppongano con fermezza a questa riforma, che rischia di compromettere il futuro dell'università italiana andando a frammentare le figure e aumentare gli anni di precariato disinvestendo sulla ricerca. Chiediamo un percorso di stabilizzazione chiaro e risorse economiche adeguate per valorizzare i talenti che emergono dalle nostre università e che possono garantire condizioni di vita e di lavoro dignitose”.

 

I responsabili di Adi hanno infine condiviso una panoramica sul funzionamento della carriera accademica in Italia oggi

 

Dopo la laurea, chi sceglie di intraprendere una carriera nella ricerca inizia un dottorato di ricerca, della durata di 3-4 anni, con una borsa di studio mensile di 1.196 euro. Al termine del dottorato, i giovani ricercatori italiani si trovano ad affrontare una realtà precaria, regolata dall'articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, che prevede l'assegno di ricerca come principale forma contrattuale. L'assegno di ricerca ha una durata minima di un anno e comporta un rapporto di lavoro di tipo parasubordinato, solitamente identificato come una collaborazione coordinata e continuativa tra l'istituzione accademica o di ricerca e il vincitore del bando. In base al comma 7 dello stesso articolo, l'importo minimo lordo è fissato dal decreto ministeriale del 9 marzo 2011, n. 102, in 19.367 euro, corrispondenti a circa 1.438 euro netti mensili. L'assegno di ricerca è stato oggetto di analisi da parte dell'ADI attraverso la IX Indagine ADI, che ha raccolto oltre 2.000 risposte (15% del totale nazionale) mediante un questionario somministrato nei mesi di novembre e dicembre 2019. Dai dati emersi, questo rapporto lavorativo presenta preoccupanti caratteristiche di intermittenza: nel 27% dei casi, all'assegno segue un periodo di disoccupazione prima di ottenere un nuovo assegno, con picchi del 31% e del 33% rispettivamente al Centro e al Sud-Isole. Nel 55% dei casi, i periodi di disoccupazione superano i sei mesi. Queste condizioni di estrema precarietà portano il 67% dei rispondenti intenzionati ad avere figli a sospendere il proprio progetto di genitorialità, in attesa di condizioni di vita più stabili, che si concretizzano solo per il 10% dei piùì fortunati, costretti peraltro a vivere in condizioni indegne per periodi che si estendono fino a 12 anni.

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