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Cambiamenti climatici, uno studio del Muse ricostruisce l'evoluzione del comportamento di cervi e stambecchi in Trentino nell'epoca preistorica

Quattro i siti trentini presi in considerazione, localizzati tra i 1000 e i 1200 metri di quota. Tra i reperti faunistici rinvenuti, anche 49 ossa appartenenti alle due specie

Di Alissa Claire Collavo - 02 marzo 2024 - 23:32

TRENTO. Il riscaldamento globale sta mettendo a serio rischio lo stambecco alpino, influenzandone il comportamento sempre più incline alle attività notturne e dunque, sempre più esposto alla predazione.

 

Ma come influivano le variazioni climatiche sulle abitudini di cervi e stambecchi del Trentino, in epoca preistorica?

 

Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Quaternary Science Reviews e condotto da alcuni ricercatori del Muse in collaborazione con il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Ferrara e del Departamento Ciencias Historicas dell'Università della Cantabria di Santander, in Spagna, ha ricostruito l'evoluzione del comportamento di cervi e stambecchi tra la fine del Pleistocene e l'inizio dell'Olocene (periodo tra i 13.000 e i 9000 anni fa) in risposta ai cambiamenti climatici.

 

“In questa fase della Preistoria – racconta Rossella Duches, ricercatrice del Muse che, assieme a Marco Peresani dell'Università di Ferrara, ha coordinato questa ricerca – le comunità animali e umane si trovarono ad affrontare forti oscillazioni climatiche che influirono sull'ecosistema di un territorio già in forte trasformazione a seguito del ritiro dei ghiacciai e del graduale assestamento dei versanti e delle vallate alpine alla fine dell'ultima glaciazione”.

 

Una risposta adattiva ancora poco chiara agli occhi dei ricercatori, “soprattutto per quanto riguarda la media quota montana”, spiega Duches, ricordando come i dati raccolti siano stati utili “per ricostruire l'ecologia delle specie”. Aver studiato l'evoluzione del comportamento animale in risposta ai cambiamenti climatici ha infatti aiutato “a capire come le comunità umane si sono dovute adattare a loro volta, modificando le modalità di occupazione del territorio e le strategie di sfruttamento delle risorse”.

 

Quattro i siti presi in considerazione, localizzati tra i 1000 e i 1200 metri di quota: Riparo Dalmeri e Grotta d'Ernesto (Grigno), Riparo Cogola (Folgaria) e Riparo Cornafessa (Ala). Si tratta di “ripari sotto roccia o grotte che sono stati frequentati come accampamenti stagionali di caccia da gruppi di cacciatori-raccoglitori tra la fine del Paleolitico e l'inizio del Mesolitico”,

 

Migliaia, invece, i reperti faunistici rivenuti e successivamente analizzati. Tra questi, 49 ossa appartenenti alle due specie (cervi e stambecchi) attraverso le quali è stato possibile definire il tipo di dieta sostenuta dagli animali durante la vita e gli ambienti che hanno frequentato, evidenziando come le specie si siano adattate di volta in volta alle trasformazioni ecologiche indotte dai cambiamenti climatici.

 

A questo proposito, Giovanni Manzella dell’Università di Ferrara, parte del team di ricerca, precisa come “gli isotopi stabili di carbonio e azoto che ritroviamo nel collagene vengono influenzati dalle piante di cui si sono nutriti questi animali” e come, a sua volta, “la vegetazione, oltre che dal substrato, è influenzata da variazioni di temperatura e di precipitazioni indotte dalle fluttuazioni climatiche”. Studiando quindi come questi valori si trasformino nel tempo, “possiamo capire come siano cambiate le nicchie ecologiche e gli habitat delle diverse specie animali nella Preistoria”. 

 

I risultati dello studio mostrano infine come stambecco e cervo hanno modificato la propria nicchia ecologica per adattarsi alle modificazione climatiche e ambientali, mantenendo quasi sempre una separazione tra i rispettivi areali.

 

Il cervo, infatti, è una specie ad alimentazione mista e opportunistica e vive in ambienti diversi che variano dalla prateria aperta alla foresta temperata mentre lo stambecco è un ruminante presente nelle valli interne alpine con un clima continentale e sub-mediterraneo.

 

Alla luce di ciò, conclude lo studio, è interessante notare come, “nelle fasi caratterizzate da un raffreddamento climatico e una contrazione della distribuzione vegetazionale, i dati relativi al cervo mettano in evidenza un adattamento a queste nuove condizioni e un ampliamento anomalo del proprio areale che risulta in parte sovrapposto a quello dello stambecco”.

 

I gruppi di cacciatori che frequentarono le medie quote montane durante questo periodo mostrano a loro volta di aver ampliato il proprio bacino di approvvigionamento per far fronte alla conseguente rarefazione delle risorse. 

 

Con l’affermarsi, circa 9000 anni fa, delle condizioni climatiche postglaciali, simili a quelle attuali, le specie tornarono infatti a occupare areali separati, inducendo quindi i gruppi umani mesolitici a modificare nuovamente il proprio comportamento.

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