UniTrento, bilancio in profondo rosso di quasi 15 milioni di euro, il rettore: "Siamo un investimento o un costo? Rischiamo un'involuzione del modello trentino"
Il rettore Flavio Deflorian, in vista delle elezioni provinciali, lancia una provocazione alle forze politiche in campo: "Crediamo o no nel modello trentino, nato su stimolo del territorio e diventato fattore di sviluppo culturale, sociale ed economico? A rischio borse di dottorato e servizi per studenti e studentesse. Stop a nuove iniziative proposte dalla comunità". Tra i nodi, la Scuola di medicina e i rapporti con le fondazioni di ricerca
TRENTO. Costo o investimento? A lanciare la provocazione è il rettore dell'Ateneo trentino Flavio Deflorian che, in vista delle elezioni provinciali di ottobre, vuole fare arrivare alle forze politiche in campo un messaggio chiaro: il modello universitario trentino, nato sessant'anni fa su stimolo del territorio e diventato per il territorio fattore di sviluppo culturale, sociale ed economico, è un modello in cui continuare a credere? “Se si ritiene che l'Università sia un investimento per il Trentino e non un costo per le casse provinciali – spiega il rettore, – servono maggiori risorse per sostenerne il funzionamento, più impegno per garantire alloggi, borse di studio e servizi a studenti e studentesse, un piano per lo sviluppo di medicina e delle professioni sanitarie e una regia forte nei rapporti con le fondazioni di ricerca”.
La richiesta parte da un dato: il bilancio dell'Università di Trento soffre. “Se nel 2022 abbiamo chiuso con un deficit di oltre 4 milioni di euro – spiega Deflorian, – la previsione per il 2023 è di uno sbilanciamento quasi tre volte maggiore, stimato tra i 10 e i 15 milioni di euro”. Uno squilibrio dovuto in particolare al costo del personale, ma anche all'aumento delle spese di gestione e manutenzione degli immobili.
Se l'Università si impegnerà per ridurre i costi – assicura il rettore, - serve, tuttavia, un adeguamento strutturale della quota base erogata dalla Provincia (che ad oggi ammonta a 114 milioni di euro), aumentandola in modo che copra le maggiori spese di funzionamento”. In caso contrario, a rischio sono i servizi per studenti e studentesse, l'offerta formativa e di ricerca, le borse di dottorato e altre nuove iniziative proposte dalla comunità trentina. “Il rischio è di un'involuzione – afferma Deflorian, - di un'inversione di marcia da un modello di UniTrento premiato da posizionamenti al vertice delle classifiche nazionali e internazionali in termini di qualità della didattica e della ricerca ad un Ateneo di basso profilo. Uno scenario – aggiunge – che rappresenterebbe il fallimento della delega provinciale sull'università”.
Tra i progetti che, qualora venisse a mancare il finanziamento pubblico, rischierebbero di rimanere al palo c'è la facoltà di Medicina, “ad oggi solo 'laurea' e non 'scuola' – sottolinea ancora Deflorian. - Se entro un anno puntiamo ad avere la prima specializzazione, è invece ancora lungo il percorso per assorbire dall'Università di Verona le professioni sanitarie - si stimano tra i 3 e i 5 anni”. Ma, appunto, servono fondi. Nel 2019 il Dolomiti aveva scritto come l'apertura della facoltà di Medicina rischiava di esporre l'ateneo a potenziali debiti successivi (qui articolo). “Nel piano originale dei finanziamenti provinciali non sono state previste le scuole dei specializzazione – precisa il rettore. - Ci sono costi vivi di cui UniTrento deve farsi carico. Ad esempio, serviranno nuovi reclutamenti di personale docente”.
Capitolo dolente riguarda gli alloggi per studenti e studentesse. Sono circa 10mila coloro che vengono da fuori provincia, il 65% del totale. Ma gli attuali posti letto – che sono circa 1100 – coprono solo la metà di chi ne avrebbe diritto e solo il 10% di chi viene da fuori sede. “Sono stati realizzati nuovi studentati, ma non bastano” spiega ancora il rettore.
Last but not least, il sistema della ricerca, che riguarda nello specifico la collaborazione con Fondazione Bruno Kessler e Fondazione Edmund Mach. “Da anni soffriamo per mancanza di spazi e risorse, in particolare nei rapporti con la Fondazione Mach, con la quale è attivo il progetto C3A (Centro Agricoltura, Alimenti e Ambiente). Serve, quindi, una regia forte che garantisca un sistema integrato della ricerca trentina”.