“L'emergenza climatica cambia il ruolo dei medici”. Cure (ed esami) appropriati per ridurre le emissioni: la medicina del futuro sarà 'lenta'?
Sandra Vernero e Antonio Bonaldi parlano della visione di futuro per la Slow Medicine, tra la nuova sensibilità dei medici e le emissioni del settore sanitario. Ioppi: "Come ordine dei medici trentini partecipiamo e siamo sostenitori di questa visione. E' un contributo che punta a salvaguardare un sistema sanitario nazionale nel quale le risorse non sono certo infinite"
TRENTO. Cambiamento climatico e sanità: sarà la 'slow medicine' l'approccio del futuro alle cure e all'assistenza ai malati? Il tema è ampio e complicato e a discuterne, all'interno del Think Tank quotidiano dell'osservatorio economico e sociale “Riparte l'Italia” sono due dei protagonisti della 'medicina lenta' in Italia, Sandra Vernero e Antonio Bonaldi, entrambi tra i fondatori della rete Slow medicine Ets. Le loro premesse? Gli effetti del cambiamento climatico ed il 'contributo', in termini di emissioni ed inquinamento, del settore medico. Ma procediamo con ordine. Innanzitutto, cosa si intende con 'slow medicine'? L'idea condivisa da chi ha elaborato questo approccio è che “cure appropriate e di buona qualità e un'adeguata comunicazione fra le persone riducano i costi dell'organizzazione sanitaria, riducano gli sprechi, promuovano l'appropriatezza d'uso delle risorse disponibili, la sostenibilità e l'equità dei sistemi sanitari, migliorino la qualità della vita dei cittadini nei diversi momenti della loro vita”. Per dirla con altre parole, quelle del presidente dell'Ordine dei medici del Trentino Marco Ioppi, si tratta di una pratica medica “nella quale le attività si portano avanti cercando di consumare meno, di utilizzare le risorse in maniera più razionale”.
Prendendo in prestito un altro termine inglese, dice sempre Ioppi, si parla quindi di una 'choosing medicine', una medicina 'della scelta' nella quale “andare ad intraprendere come professionisti le azioni più mirate, riducendo gli sprechi, nell'ottica di una 'One health' che guardi al benessere degli umani inserito nel contesto ambientale di riferimento”. “Come ordine – dice il presidente dei Medici trentini – siamo molto sensibili a questa tematica, partecipiamo e siamo sostenitori della Slow Medicine”. Un concetto che, allargando lo sguardo, si lega a vari aspetti del mondo della medicina, tra i quali anche quello relativo all'utilizzo dei farmaci e ai potenziali rischi per le prossime generazioni: “Il 7 ottobre per esempio – dice il presidente dell'Ordine dei medici del Trentino – abbiamo organizzato un convegno nazionale sull'uso degli antibiotici e sul problema dell'antibiotico resistenza, che sarà uno dei drammi della società del futuro. In passato però abbiamo parlato in altri appuntamenti anche dell'appropriatezza di determinati esami, a partire da quelli radiologici. Stiamo inoltre organizzando proprio in questa fase una serie di incontri tra specialisti e medici del territorio per discutere di quelli che possono essere i percorsi diagnostico-terapeutici più razionali e più utili, per risparmiare sull'utilizzo dei farmaci e ridurre il numero di esami: è un contributo che punta a salvaguardare un sistema sanitario nazionale nel quale le risorse non sono certo infinite”.
Una possibilità che, in questa fase di crisi climatica, assume un significato importante. “In questo contesto – scrivono infatti Vernero e Bonaldi – è ampiamente riconosciuto l'importante ruolo ricoperto dai servizi sanitari nella gestione degli effetti sulla salute dei cambiamenti climatici, ma non è altrettanto noto il fatto che anche le attività sanitarie contribuiscono, con il 5% del totale, alla produzione di gas serra”. Un valore significativo, precisano i due esperti: “Considerato che è pari al doppio dell'intero trasporto aereo. La percentuale varia nelle diverse nazioni, da più del 7% negli Usa al 6% del Giappone e al 4-5% di Italia e Francia, Paesi con assistenza sanitaria di buona qualità, fino all'1,5% dell'India il cui sistema sanitario non è però comparabile a quello dei Paesi più sviluppati”. Si tratta di emissioni dovute, per esempio, a fattori legati all'edilizia e ai trasporti, ma anche alle cure, agli esami e ai trattamenti effettuati.
In termini numerici, sottolineano Vernero e Bonaldi: “Anche un semplice esame del sangue contribuisce a produrre Co2. Per esempio, ogni mille test del sangue producono l'equivalente in Co2 di 700 chilometri percorsi in automobile. Una macchina per la risonanza magnetica che lavori per un anno produce mediamente una quantità di Co2 corrispondente a quella prodotta da un'auto che viaggi per più di 500mila chilometri, mentre una singola risonanza magnetica produce l'equivalente in Co2 di un'auto che percorre 145 chilometri. I farmaci, eliminati come tali o sotto forma di metaboliti con feci e urine, contribuiscono in modo rilevante all'inquinamento dell'acqua e del suolo e nel caso degli antibiotici alimentano il drammatico fenomeno dell'antimicrobico-resistenza. I gas anestetici, in particolare il desflurano, e gli inalatori spray per l'asma e la bronchite cronica ostruttiva hanno un'impronta carbonica particolarmente alta”.
Tra tutti però, ovviamente, quello della sanità è sicuramente un settore nel quale l'utilizzo di strumentazione all'avanguardia, con il relativo impatto a livello d'inquinamento, è insostituibile: quello che si può fare però, scrivono i due esperti, è affrontare, a livello di organizzazioni sanitarie, la crisi climatica dotandosi in primo luogo di una propria 'road map' di avvicinamento agli obiettivi indicatori agli accordi di Parigi. “A questo fine – precisano – ospedali e istituzioni sanitarie dovrebbero nominare un apposito gruppo di lavoro composto da persone motivate, afferenti a diversi ambiti professionali, con il compito di sensibilizzare gli operatori sanitari sui fattori ambientali correlati alla salute e definire un'agenda delle azioni da intraprendere per facilitare la transizione ecologica”. Sei in tutto secondo i due esperti gli ambiti di lavoro ai quali fare riferimento: “La riduzione delle emissioni di gar serra degli edifici (massimizzare l'efficienza energetica dei fabbricati), limitare i trasferimenti e migliorare l'efficienza dei trasporti (con lo sviluppo di strategie di telemedicina e di comunicazione digitale come alternativa ai colloqui diretti, impiegare ambulanze elettriche), ridurre il volume dei rifiuti sanitari, promuovere un'alimentazione sana e sostenibile, contenere l'inquinamento ambientale da farmaci e gas anestetici (ridurre la sovraprescrizione e quando possibile scegliere farmaci e modalità di somministrazione con minor impatto sull'ambiente) e migliorare l'appropriatezza delle cure”.
Un punto quest'ultimo, dicono gli esperti, molto preoccupante: “Le prestazioni sanitarie inappropriate, inutili e perfino dannose consumato il 20-30% delle risorse dedicate alla sanità. Il controllo dell'eccesso di prestazioni sanitarie è considerata dall'Oms e dall'Ocse una tra le più importanti misure di contenimento dell'impronta digitale dei servizi sanitari, oltre che un valido strumento di miglioramento della qualità e della sicurezza delle cure”. Ovviamente, si precisa in conclusione: “Ciò non significa che per motivi ecologici dobbiamo rinunciare a curarci in modo adeguato o che il medico non debba prescrivere ciò che è utile per il paziente. Tutt’altro. Ciò che vogliamo sottolineare è che dobbiamo sempre considerare anche l’impatto sull’ambiente delle nostre decisioni e porre particolare attenzione alle prestazioni inutili. È importante, infatti, che i professionisti sanitari non restino indifferenti ma acquisiscano la consapevolezza del loro ruolo nelle tematiche ambientali riconoscendo, in ottica 'One Health' e 'Planetary Health', che la salute dell’uomo non può più essere concepita come una entità a sé stante ma è strettamente connessa a quella delle piante, degli animali e di tutto l’ecosistema”.