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Facoltà di Medicina, ecco perché non serve e perché (soprattutto) non ha senso farla con Padova. Intanto l'Università pensa alla sua proposta

In Italia ci sono una quarantina di facoltà di Medicina (e i trentini che le frequentano sono raddoppiati negli ultimi 10 anni) ed è ormai appurato che i problemi legati alla carenza di medici sono dovuti all'imbuto formativo e non ai pochi laureati. Trento è ''circondata'' da facoltà di medicina, non ha un bacino di utenti sufficiente a giustificarne una, economicamente sarebbe un'impresa molto rischiosa per l'Ateneo e soprattutto se dovesse farla dovrebbe ''parlare'' con Verona (ecco perché)

Di Luca Pianesi - 17 dicembre 2019 - 05:01

TRENTO. Avanti a testa bassa senza che ci sia un reale costrutto e nemmeno una concreta esigenza (si pensi che se nel 2009 erano 330 i giovani trentini iscritti nelle circa 40 facoltà di medicina d'Italia, nel 2018 erano più che raddoppiati, 685). Tanto ''ce l'ha anche Campobasso'', aveva detto pochi giorni fa il presidente della Provincia Fugatti davanti a tecnici e medici (rispolverando vecchi slogan da leghista anti-sud), di fatto dicendo che se ce l'hanno anche loro allora perché Trento non dovrebbe avere la sua Facoltà di Medicina? Il perché, in realtà, è stato detto, ridetto, analizzato, studiato negli ultimi decenni a tutti i livelli (politici e universitari) arrivando praticamente sempre alle stesse conclusioni che sono riassumibili in tre punti. 

 

1) La domanda di studenti potenziali non giustifica il progetto: con Verona e Padova a un'oretta di macchina i trentini possono già iscriversi a due buone università di Medicina e il bacino potenziale residuale aprendone una a Trento sarebbe ad altissimo rischio flop. 

2) Poi c'è la cosiddetta esigenza sociale e quindi il fatto che in Italia si continui a ripetere che mancano i medici. Ci sono pochi medici? Ecco l'idea della Giunta: creiamo una struttura che ne ''sforni'' di nuovi. Ma non è così: il nostro Paese è quello che ha il più alto numero di medici per abitanti del mondo e la ''carenza'' non è legata al fatto che ci sono pochi laureati ma al cosiddetto ''imbuto formativo'' (QUI L'APPROFONDIMENTO). Inoltre se anche oggi ci fosse davvero un'emergenza e domani si aprisse già Medicina a Trento la prima ''sfornata'' di ''medici'' fatti e finiti (con laurea e specializzazione) arriverebbe intorno al 2030 e non è assolutamente scontato che poi questi rimarrebbero in Trentino (perché dovrebbero farlo?). 

3) Terzo elemento: i costi. L'Università di Trento oggi è una macchina praticamente perfetta grazie anche alle scelte lungimiranti della politica negli ultimi decenni e aprire una facoltà è impresa costosa e molto impegnativa. Nel 2012, per esempio, il Senato Accademico chiudeva alla possibilità spiegando che si sarebbe trattato di un'operazione economicamente molto importante con un alto rischio di veder sottratti fondi al resto dell’Università e quando, l'anno successivo, si era parlato di una ''partnership'', addirittura, con l'Università di Firenze si era arrivati ad ipotizzare una spesa per il Trentino ricompresa tra 170 mila e 340 mila euro a studente, all'anno (all'epoca si faceva la battuta che sarebbe stato più conveniente, per le casse pubbliche, iscrivere i pochi studenti trentini ad Harvard che aprire una facoltà qui).

 

Insomma il rischio vero è che la giunta leghista, con la superficialità che pare contraddistinguere il suo operato in molti ambiti, potrebbe passare alla storia più per essere quella che ha mandato ''gambe all'aria'' una delle università italiane più competitive al mondo che per aver aperto l'ennesima facoltà di Medicina in Italia. Detto questo è assolutamente legittimo decidere di aprire la nuova facoltà. E' una scelta che può essere legata al fatto che magari si sono trovate nuove risorse, si pensa a un piano straordinario, si ha già la firma dei migliori docenti del mondo e si è studiato un progetto eccezionale che permetterà di superare tutti i punti sopra descritti. Non lo sappiamo. Quel che sappiamo, però, è che la Giunta Fugatti, misteriosamente, comunque, vuole realizzarla con Padova quando da decenni Trento ha in ballo moltissimi progetti e scambi con l'Università di Verona

 

Il cosiddetto ''Polo Universitario delle professioni sanitarie'', come si legge sul sito della Azienda sanitaria del Trentino, ''gestisce le attività formative dell’area sanitaria, universitaria e non, che comportano il conseguimento di:

  • laurea di primo livello, in collaborazione con l'Università degli Studi di Verona e di Trento;
  • diploma di formazione post base master, in collaborazione con l'Università degli Studi di Verona;
  • qualifica professionale - Operatore Socio Sanitario e Corsi Sanitari professionali;
  • stage e tirocini;
  • biblioteca delle professioni sanitarie''.

Inoltre ''progetta e gestisce Corsi di Formazione pedagogica per Docenti e Tutor, progetti di riconoscimento ECM dell'attività di tutorato svolta da supervisori dei Corsi di Laurea delle Professioni sanitarie e progetti di ricerca in ambito pedagogico e negli ambienti di apprendimento''. E poi c'è già attiva l'importantissima ''Laurea in Infermieristica'' dell'Università di Verona con sede a Trento. Il Polo Universitario delle professioni sanitarie, infatti, ha due sedi formative: alla sede di Trento è affidata la formazione universitaria dell’area infermieristica, della prevenzione e post-base (Master- Corsi di perfezionamento) e la biblioteca infermieristica con consultazione di riviste scientifiche internazionali; sede di Rovereto la formazione universitaria dell’area tecnica e della riabilitazione.

 

Con l'accordo con Padova cosa succederebbe di quanto è in essere? Per Luca Zeni, ex assessore provinciale alla salute, ''è necessario un confronto che coinvolga tutti gli interlocutori, ma a livello di metodo la giunta provinciale è riuscita a creare crisi diplomatiche su tutti i fronti: università di Trento, enti di ricerca trentini, ateneo veronese, ed ora è costretta a recuperare i rapporti riaprendo i tavoli. Nel merito, Padova è l’ateneo con il corpo docenti maggiore in Italia, e aprire una succursale in Trentino rappresenta per loro un’opportunità di business milionario. Quello che dobbiamo chiederci è se il nostro interesse sia avviare un corso di laurea generale - poco senso avrebbe l’ipotesi emersa di partire solo con gli ultimi due anni di corso, poiché non si avrebbero né i corsi specialistici né l’incentivo della sede sotto casa per iscriversi a medicina per quei giovani trentini poco propensi alla mobilità - puntando in un futuro indefinito ad aggiungere anche qualche corso specialistico, o piuttosto concretizzare il percorso (inverso) avviato dall’Università di Trento con l’Azienda sanitaria''.

 

Per Zeni, insomma, si dovrebbe ''partire dall’imbuto, dalle specialità, con collaborazioni con altri atenei capaci di coinvolgere e far crescere docenti e medici dell’Università di Trento e dell’Azienda sanitaria, clinicizzando alcuni reparti, e poi, in futuro, valutare l’opportunità di far partire un corso di laurea. Anche perché di solito i giovani medici creano i rapporti alla base del loro futuro professionale laddove svolgono la specialità''. Zeni al riguardo ha depositato in consiglio provinciale un'interrogazione dove, tra le altre cose, si chiede, da un lato, di utilizzare meglio i medici che ci sono e dall'altro di strutturare un percorso coordinato con l'Università. Università che mercoledì presenterà un suo progetto specifico sul tema.

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