"Teatro e danza per raccontare le fragilità dell'Alzheimer", Michele Comite presenta il suo 'Pensiero sbiadito': "Sospeso tra arte e scienza, con uno sguardo ai giovani"
L'autore e regista Michele Comite presenta 'Pensiero Sbiadito' che affronta il tema della demenza attraverso la danza e il teatro: "Siamo entrati in contatto con le storie di chi vive quotidianamente la malattia e con chi la affronta dal punto di vista medico e scientifico, l'arte è un mezzo fondamentale per indurre le persone a riflettere e vivere determinati temi, senza per forza averli vissuti in prima persona"

MORI. Esplorare il profondo e delicato tema dell'Alzheimer e delle demenze in generale, in modo empatico e sincero, e offrendo al pubblico l'esperienza emotiva e toccante di un "viaggio" attraverso l'arte della danza: questo, in estrema sintesi, il fine dello spettacolo "Pensiero Sbiadito" in programma venerdì 7 marzo (ore 20.45) al teatro Gustavo Modena di Mori (QUI INFO).
Realizzato dal Collettivo Clochart – realtà teatrale e performativa Trentina che da anni promuove azioni di sensibilizzazione e progetti educativi nell’ambito sociale – lo spettacolo ha come base un importante percorso di "studio" in collaborazione con il Centro Diurno Alzheimer dell'Apsp Civica di Trento ed il Cimec dell'Università di Trento, che ha messo in contatto la compagnia con le storie di chi vive quotidianamente la malattia, ma anche di chi la affronta dal punto di vista medico e scientifico.
"Quello che si delinea è un lavoro che lascia il pubblico con una maggiore consapevolezza della nostra fragilità – spiega l'autore e regista Michele Comite – ma anche dell'importanza di mantenere attiva la connessione, e la compassione, contrapponendole alle difficoltà".
A prendere forma sul palcoscenico, viene specificato, sarà un vero e proprio percorso attraverso le sfide che le persone affette da demenza affrontano nel quotidiano, "dal momento in cui la malattia si fa strada nelle loro menti fino alla graduale perdita di connessione con la realtà".
Michele Comite, com'è nata l'idea di portare in scena un tema "difficile" come quello dell'Alzheimer e delle demenze?
La genesi dello spettacolo affonda le radici in alcune esperienze personali che hanno toccato la nostra compagnia, e anche gli artisti che saliranno sul palcoscenico: possiamo dire che il risultato è stato quello di un'elaborazione, e anche una successiva rielaborazione, attraverso l'arte della malattia e di un particolare vissuto ad essa collegato.
Al di là del movente iniziale, il lavoro di ricerca preliminare è stato importante.
Assolutamente, per intraprendere questo percorso artistico ci siamo appoggiati a chi poteva aiutarci dal punto di vista scientifico ad approcciarci al tema. Ci siamo rivolti al Centro Interdipartimentale Mente Cervello dell'Università di Trento, che ci ha aperto le porte e messo a disposizione un'intera equipe scientifica: pensi che per comprendere meglio l'approccio medico sui pazienti affetti da demenza, chi salirà sul palcoscenico si è sottoposto addirittura ad una visita neurologica. Un altro "partner strategico" è stato il Centro Diurno Alzheimer dell'Apsp Civica di Trento, che ci ha messo in contatto con ospiti e famigliari: questo ci ha permesso di toccare con mano le loro storie, scoprendo le attività quotidiane del centro e toccando con mano la malattia e il vortice di "fragilità" ad essa connesso. Tutto ciò ci ha dato grande consapevolezza, facendoci crescere umanamente e professionalmente: solo così credo che siamo riusciti ad avvicinarci nel modo giusto ad un tema complesso e delicato, raccontandolo in modo veritiero e "onesto".
Dalla fase di "studio" si passa poi al palcoscenico: come autore e regista come ha lavorato?
Il tratto fondamentale dello spettacolo è quello che da sempre ha caratterizzato i nostri lavori: la volontà di creare una commistione tra il linguaggio teatrale e quello coreografico. Un aspetto fondamentale è riuscire a tramettere al pubblico in sala tanto le emozioni, quanto le nozioni scientifiche basilari per raccontare cosa accade quando si soffre di determinate patologie. Fondamentale, in quest'ottica, è stata la scelta di voler portare in scena la malattia principalmente attraverso il linguaggio del corpo, e un feedback positivo lo abbiamo ricevuto anche da chi questi temi li affronta dal punto di vista scientifico e medico.
Raccogliamo l'assist, a cosa assisterà il pubblico in sala?
Partirei dal titolo, che nasce da uno degli incontri effettuati con l'equipe scientifica: l'idea di fondo è che tutto parte dal cervello: il primo concetto che ci viene in mente è quello di "pensiero", lo stesso che quando si entra nella sfera delle demenze spesso svanisce, senza però mai scomparire. Ci sono infatti testimonianze, accompagnate da prove scientifiche, che anche un piccolo gesto una parola può suscitare nel malato un ricordo, una riconnessione con la realtà, quasi come se la malattia scomparisse un attimo prima di ripresentarsi. Abbiamo quindi immaginato una parete che può tramutarsi in infinite stanze, le stesse presenti nel nostro cervello: la protagonista è come se scrivesse su questa superficie qualcosa che poi si cancella, mai però del tutto, e che lascia una traccia. In questo modo ad essere portata in scena è l'evoluzione della malattia, dai primi segnali fino alle evoluzioni più impattanti, il tuto seguendo una sequenza temporale ben definita.
La tematica è sicuramente complessa, qual è il valore sociale e culturale di un'operazione del genere?
Dopo tanti anni di esperienza, e in cui ho scelto spesso di portare in scena tematiche scomode e in grado anche di "far male", proprio perché vicine alle nostre fragilità, posso dire il teatro e l'arte in generale rappresentano un collante fondamentale per connettere le persone nell'alveo di determinate emozioni e riflessioni. Il valore aggiunto è quello di indurre a riflettere su determinati temi, senza per forza averli provati in prima persona, avendo la possibilità di soffermarsi su quello che prova il prossimo. Tutto questo può servire a donare alle persone un piccolo "seme", che magari potrà germogliare e dare buoni frutti, proprio a livello sociale e culturale.
Naturalmente il pensiero va soprattutto alle nuove generazioni.
Assolutamente. Questo lavoro, come avverrà in occasione della prossima replica, viene proposto anche agli studenti delle scuole. Di solito organizziamo delle giornate di "avvicinamento" allo spettacolo, proprio per fornire ai giovani gli strumenti per comprendere le innumerevoli sfaccettature di quello a cui assisteranno, evidenziando il grande lavoro, soprattutto dal punto di vista emotivo, che si cela dietro questi progetti.
Un'ultima battuta. Sulla scia di questo tipo di progettualità, avete nuovi spettacoli in cantiere?
Abbiamo da poco realizzato un nuovo progetto, che ci piacerebbe portare nei teatri. Si intitola "Libro d'amore" e parla dell'accessibilità alla sessualità: non solo in riferimento alle persone con disabilità, ma anche al tema del rispetto del nostro corpo e della nostra intimità. Questo nell'ottica non di un'esaltazione "becera" o di "svilimento" di queste dimensioni, ma della riscoperta della cura e dell'amore per quello che realmente siamo. Sono temi che sappiamo essere "difficili", proprio perché non sono molti quelli scelgono di aprire le porte dei teatri a certi argomenti, però credo che sia importante continuare ad affrontarli e a portarli in scena.