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"Troppi ciclisti travolti sulle nostre strade: sono omicidi, chi li compie dovrebbe andare in galera. Chi fa certe manovre si sente invincibile, sa di rischiare ma non si ferma"

Nel 2010 Marco Cavorso ha perso il figlio Tommaso, travolto e ucciso da un furgone che aveva superato un altro mezzo, nonostante il divieto di sorpasso e la doppia linea continua. Ha fondato l'associazione "Io rispetto il ciclista" e, il giorno dopo la morte della giovane ciclista Sara Piffer, vittima di un sorpasso azzardato da parte di un'automobile, ribadisce concetti già espressi. "E la colpa è anche nostra, di chi rispetta le regole ma non s'indigna"

Di Daniele Loss - 25 gennaio 2025 - 21:23

TRENTO. "Si chiama omicidio". Non "omicidio stradale", che per me è semplicemente un'espressione "ghettizzata", non per contestualizzare il fatto, ma quasi a volerlo rendere meno grave. A derubricarlo in qualcosa che "può accadere": fa parte delle dinamiche, può succedere. Assurdo, impensabile e la colpa è anche nostra. Delle persone che, invece, le regole le rispettano. Comunque quando accade un omicidio, mi risulta vengano svolte le indagini del caso e, se chi è indiziato risulta colpevole, finisce in galera. E poi spiegatemi la differenza tra chi ti spara con una pistola e chi ti "punta" addosso una macchina da 18 quintali, lanciata magari a gran velocità. Qui non si tratta di ritirare la patente, di sospenderla, di fare corsi sulla sicurezza, di risarcimenti: chi uccide una persona al volante, compiendo una manovra assassina, deve andare in galera. Punto e basta".

 

Marco Cavorso, papà di Tommaso, il giovane ciclista fiorentino che il 27 agosto 2010 venne travolto e ucciso da un furgone (che aveva superato la doppia linea continua) mentre stava effettuando un allenamento in bici, è venuto a sapere dagli amici e dai media della morte della 19enne Sara Piffer, vittima innocente di un sorpasso vietato da parte di un'automobile, mentre stava pedalando con il fratello tra gli abitati di Mezzocorona e Mezzolombardo. 

 

Assieme a Maurizio Fondriest e alla "ultra ciclista" Paola Gianotti, nel 2014 Cavorso ha fondato l'associazione "Io rispetto il ciclista", con la quale hanno hanno letteralmente iniziato a tappezzare i comuni italiani con i cartelli che invitavano gli automobilisti a rispettare quella che è considerata la distanza minima di sicurezza - un metro e mezzo - per chi pedala.

 

Recentemente "il metro e mezzo" di distanza da tenere quando si sorpassa un ciclista è diventato una legge con l'Italia che comincia (ma c'è ancora molto lavoro da fare) ad allinearsi agli altri paesi europei, dove tale obbligo era già in vigore. Anzi, in alcuni stati - vedi la Spagna - le norme sono ancora più vincolanti per gli automobilisti.

 

E, alla luce dell'ennesima tragedia avvenuta sulla strada, Cavorso non ne può veramente più.

"Chi compie una manovra di questo tipo, o tante altre di assoluta pericolosità - prosegue Cavorso - non lo posso che definire "invincibile". D'altronde, quando sorpassi dove è vietato, con la doppia linea continua per terra, sapendo che quasi sicuramente farai male a qualcuno di "fragile", ciclista o pedone che sia, per risparmiare qualche secondo della tua vita, come altro puoi essere etichettato? Chi fa questo, per non perdere pochi attimi, è un invincibile. Vuol dire che non gliele importa nulla. Ma la responsabilità è anche "nostra" e quando dico così mi riferisco a tutte le altre persone che rispettano le norme, perché tutti s'indignano sui social, tutti scrivono parole di circostanza ma, in realtà, nessuno si arrabbia veramente. Ma voi pensate davvero che, in tanti altri Paesi europei, se un automobilista compie un sorpasso vietato e pericoloso, gli altri non facciano nulla? Sono i primi gli automobilisti rispettosi a chiamare le forze dell'ordine, segnalare il comportamento. In Italia, invece, questo non accade. La strada è come lo stadio: una sorta di luogo dove, ma sì, tutto può capitare. E, quando accade la tragedia, le giustificazioni quali sono? "Non l'ho vista, non l'ho visto". O, peggio ancora "andavo di fretta". E' pazzesco e siamo a qui a piangere un'altra morte assurda, di una giovane che si stava allenando e stava facendo ciò che le piaceva di più al mondo".

 

Invincibile è un termine forte, molto particolare. Non credo l'abbia mai usato qualcuno.

"Eh beh, ma è la realtà dei fatti. E, altro aspetto, pensate ai ciclisti che sono morti recentemente. Erano tutti da soli o in numero molto esiguo. Mio figlio, Michele Scarponi, Silvia Piccini, Matteo Lorenzi e, adesso, Sara Piffer. Ma sì, perché se dall'altra parte l'automobilista vede che c'è un gruppo non si azzarda a sorpassare, perché a quel punto pensa che il rischio d'investire qualcuno sia maggiore o, e vi assicuro che c'è anche questo ragionamento, uno dei tanti gli possa rigare l'auto o rompere uno specchietto. E, invece, se dall'altra parte sono pochi si può fare. D'altronde, in questi casi, chi guida il mezzo "grosso" cosa ha da perdere o cosa rischia di quando dall'altra parte c'è un mezzo "piccolo"? Niente. Tutti criticano i ciclisti quando si muovo in gruppo, ma quella è la salvezza, perché vanno quasi a creare un "muro" protettivo".

 

I dati sono terribili.

"Nei primi sei mesi del 2024 si è registrato un incremento del 4% di morti sulle strade italiane rispetto allo stesso periodo del 2023. Qualcuno dirà: "Beh dai il 4% non è tanto". Io direi che è un'enormità, visto che si parla di 120 persone decedute in incidenti stradali. I dati europei dicono che la media è di 45 vittime su di 1 milione di abitanti, in Italia il dato sale a 54 morti su di 1 milione mentre in Svezia, si scende a 22. L'obiettivo dell'Europa è quello di abbassare tali cifre. In Italia, forse, non abbiamo questa priorità. Sono numeri che dovrebbero sconvolgere e portare a decisioni drastiche. Questi, lo ribadisco, sono omicidi compiuti da chi si sente invincibile e non ha rispetto per la vita umana di chi, in quel momento è in sella ad una bicicletta. Dunque più debole, più fragile, più a rischio. E c'è un'altra cosa che non mi piace, che ritengo aberrante".

 

Prego dica.

"Perché il nome della vittima viene divulgato, con tanto di foto e quante più informazioni possibili, mentre sull'identità dell'investitore non si dice mai nulla. Anzi, è proprio vietato chiederlo e, tanto, non verranno fornite. Perché il nome lo si viene a scoprire mesi e mesi dopo, quando e se la vicenda approda in Tribunale e, intanto, chi ha provocato l'incidente con un comportamento sconsiderato, viene quasi protetto? Lo trovo profondamente ingiusto. Anche questo aspetto rientra in quelle dinamiche consolidate e ormai accettate che, invece, per quanto mi riguarda, sono terribili e quanto di più sbagliato ci possa essere. Lo dico per esperienza personale, ma non solo".

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