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"Giorgia Meloni è il grimaldello di Trump per indebolire l'Europa" lo storico Francesco Filippi: "A livello internazionale nuova guerra fredda tra potenze non democratiche"

Lo storico Francesco Filippi analizza l'attuale momento storico, da Trump all'endorsement di Musk all'estrema destra tedesca fino a Meloni e ai "sovranisti di casa nostra": "Sono stupito dal fatto che Giorgia Meloni, che è tutt'altro che ingenua, non abbia intuito il facile gioco di Trump a cui dell'Italia non importa nulla e il cui unico interesse è trovarsi di fronte ad un'Unione Europea frammentata è disunita"

Di Federico Oselini - 30 gennaio 2025 - 12:20

TRENTO. "Il fascismo è finito nel 1945, ma non è lo stesso per i fascisti". Questa la frase, che lui stesso definisce "antipatica", con cui lo storico trentino Francesco Filippi esordisce quando, nell'intervista concessa a il Dolomiti, gli viene chiesto di delineare un ritratto del momento storico che il mondo si trova ad affrontare. Cardini della riflessione sono naturalmente il secondo mandato presidenziale di Trump, ma anche il "peso" di figure come il patron di Tesla e X Elon Musk – dal tanto discusso "saluto romano" al suo endorsement al partito di estrema destra tedesco Afd – e la "debolezza" di un'Unione Europea che si trova a recitare il ruolo di entità democratica in un era che lo storico definisce "post-democratica" e in cui assistiamo, a livello internazionale, ad una guerra fredda in cui “nessuno dei grandi attori è un Paese democratico, Stati Uniti inclusi". E poi l'attacco trumpiano alla "Woke Culture" e al Green Deal, ma anche l'Italia e il ruolo della Premier Giorgia Meloni, che a detta di Filippi sembra ignorare o non intuire "il facile gioco trumpiano, il cui obiettivo evidente è la frantumazione della coesione europea".

 

IL MOMENTO STORICO, DAL SECOLO BREVE ALL’OGGI

 

Parte da lontano (ma storicamente parlando neppure tanto) Francesco Filippi che, per cifrare le trame dell’oggi, inizia dal Novecento e da alcuni dei suoi cardini, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al post-caduta del muro di Berlino.

 

"Ritengo che si sia assistito, negli ultimi trent'anni, ad uno scontro di civiltà: mentre gran parte dell'Occidente – osserva Filippi – si è concentrato attorno al conflitto con quello che era il nemico islamico, si è perso di vista un altro conflitto interno alla civiltà occidentale. Quando è caduto il muro di Berlino si è smarrita infatti quella tensione che ha permesso di coltivare quei valori democratici universali nati dopo il secondo conflitto mondiale, che sono quindi diventati relativi e non più assoluti, e ad entrare in campo sono stati invece i valori di quelli che io definisco 'gli usciti dalle catacombe': quelle generazioni di destra estrema che sono riemerse intonse dalla guerra fredda, periodo in cui sono state escluse dal racconto pubblico. E così questi valori, ibernati dal 1945, sono stati e vengono tuttora ripresentati e declinati nel presente cavalcando l'onda di concetti come quello di patria, nazione e onore".

 

E da questa base si è arrivati all'oggi, momento in cui a detta di Filippi ci troviamo di fronte ad un'era post-nazionale e conseguentemente post-democratica, in cui "i valori fondanti della democrazia non sono più ovvi, e di questo dobbiamo prenderne atto".

 

"La democrazia oggi viene dipinta come lenta, obsoleta, farraginosa e sostanzialmente inefficiente – osserva Filippi – in una volontà di efficientismo che viene da lontano: fu Mussolini stesso infatti ad affermare che la democrazia era inefficace, e questo è un tratto caratteristico dei totalitarismi novecenteschi. Contemporaneamente si registra un superamento del concetto basilare dell'eguaglianza dei cittadini, che ci proietta in un mondo in cui una persona conta tanto quanto vale in termini economici".

 

IL POTERE DEI TYCOON

 

Il riferimento chiaro è al "potere" odierno dei tanto citati tycoon, in grado di diventare attori assoluti sul palcoscenico internazionale e di affacciarsi al banco delle istituzioni e della politica pur senza un background "istituzionale", forti della loro autorevolezza conquistata.

 

Francesco Filippi, in tal senso, pone la lente sull'iconica figura di Elon Musk: dal tanto discusso "saluto romano" durante la cerimonia di insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump al suo "sostegno" al partito di estrema destra tedesco Afd.

 

"Quel gesto qualcuno lo ha definito nazista e qualcun altro lo ha giudicato come una semplice scompostezza, ma quello che importa – specifica lo storico – non è ciò che è stato ma ciò che ha rappresentato: ha infatti richiamato all’occidente tutta una serie di capitoli storici che pensavamo chiusi".

 

È stato, spiega lo storico, "l'ennesimo confine superato in un contesto in cui non esiste più una memoria pubblica, ma solamente memorie collettive che cercano di sopraffarsi": quella "democratica e antifascista" uscita dalle macerie del secondo conflitto mondiale e quella invece "legata ad un concetto di nazione, sovranismo, chiusura e anche xenofobia". "Quest'ultima – puntualizza Filippi – non solo sta prendendo piede, ma ha vinto elettoralmente in un Paese come gli Stati Uniti, che hanno rappresentato la culla della democrazia. E su questo è evidente che dobbiamo interrogarci".

 

 

L'ENDORSEMENT DI ELON MUSK AL PARTITO DI ESTRMA DESTRA TEDESCO AFD E IL PLUTO-TECNO-FASCISMO

 

Tornando sul concetto di potere politico collegato a quello economico, lo storico trentino si sofferma poi sull'endorsement di Elon Musk al partito di estrema destra tedesco Alternative für Deutschland, con il magnate che recentemente ha partecipato in collegamento al lancio della campagna elettorale: "In seguito alle numerose critiche ricevute, mi ha fatto riflettere la risposta di Musk che ha rivendicato il peso dei suoi investimenti nel Paese europeo, spiegando di avere quindi il titolo di entrare nel discorso politico: a mio avviso mettere in risalto non il proprio diritto di espressione, ma collegarlo alla propria capacità di investimento, può essere definito, usando un termine forte, una forma di pluto-tecno-fascismo".

 

 

L'ATTACCO DI TRUMP ALLA WOKE CULTURE E AL GREEN DEAL

 

Tornando all'inizio della nuova "era trumpiana", Francesco Filippi analizza poi alcuni tratti salienti del percorso intrapreso dal neo presidente statunitense, tra le altre la ferma opposizione alla "Woke Culture" e al "Green Deal".

 

"Ci troviamo di fronte ad azioni di carattere populistico che le oligarchie hanno per definizione – spiega Filippi – e oggi le destre populiste titillano e stimolano le paure di chi fino a poco fa pensava di reggere saldamente le briglie della società. È un modo per dire 'se vi sentite spaesati perché il mondo sta cambiando, non dovete preoccuparvi perché noi vi difendiamo'. In sintesi si cavalca il terrore di chi teme di diventare una 'minoranza' e che è spinto a considerare anche semplicemente l'utilizzo di un linguaggio inclusivo come una minaccia ad un'identità e a un modello considerati tradizionali. Ci troviamo di fronte, quindi, ad un'oligarchia economica che cavalca le paure di chi vorrebbe rappresentare un'oligarchia del pensiero sociale".

 

Parlando del no-green deal trumpiano, e il pensiero non può che andare in primis alla scelta di uscire nuovamente dagli accordi di Parigi (il trattato che mira a contenere gli effetti della crisi climatica), lo storico afferma: "Questo attacco deriva da un altro aspetto brutale di questo 'modello', il fatto che si caratterizzi per un presentismo imperante e per l'idea di respingere la progressività della storia. In quest'ottica il pensiero è: posso fare ciò che voglio, e non mi interessa di chi verrà dopo di me".

 

TRUMP, L'ITALIA E I SOVRANISTI "DI CASA NOSTRA"

 

Tornando sull'asse Europa-Usa, e Italia-Usa, è imprescindibile soffermarsi sui "buoni rapporti" e le intese che intercorrono tra la premier italiana Giorgia Meloni e Donald Trump, e sulle proiezioni a medio lungo termine che l’effetto-Trump potrebbe avere sul nostro Paese e sull'Unione Europea.

 

"Sono particolarmente stupito dal fatto che Giorgia Meloni, che è tutt'altro che ingenua, non abbia intuito il facile gioco di Trump, a cui dell'Italia non importa nulla – spiega Filippi – e il cui unico interesse è trovarsi di fronte ad un'Unione Europea frammentata è disunita". A detta dello storico l'analisi è abbastanza semplice: "Un conto è trattare con un mercato unico a 27 stati e con un pil concorrenziale e un altro è farlo con singole unità frammentate e magari disunite".

 

La lettura di Filippi va poi oltre e affronta il tema dei "sovranisti di casa nostra”, italiani ed europei, che potrebbero giocare un ruolo chiave, in modo negativo, in quest'ottica.

 

"Giorgia Meloni non è amica di Trump, ma come Orban e altri rappresenta il 'grimaldello' del presidente americano per provare a disunire l'Europa in un momento in cui anche le leadership continentali di Francia e Germania stanno vacillando" spiga Filippi, che rimarca: "Quello che mi chiedo è come i sovranisti 'di casa nostra' riusciranno a spiegare ai loro elettori il fatto che Trump imporrà dei dazi doganali che, se non verranno fronteggiati dall'Unione Europea, travolgeranno ad esempio l'industria manifatturiera italiana, la seconda a livello europeo. La cosa è talmente evidente che vien da chiedersi se chi governa faccia finta di non vederla o, peggio, non la veda proprio. Tornando al rapporto Trump-Meloni, la premier sta indubbiamente sfruttando l'onda di questa destra americana ma si ritroverà, se il tycoon concretizzerà anche solo un quarto delle sue intenzioni, a gestire una situazione davvero molto difficile"

 

LA SCENA INTERNAZIONALE: UNA NUOVA GUERRA FREDDA TRA PAESI NON DEMOCRATICI E LA SCONFITTA DELLA DEMOCRAZIA AMERICANA

 

Francesco Filippi si sofferma poi sullo scenario internazionale con Stati Uniti, Russia e Cina impegnati "in una vera e propria nuova guerra fredda" in cui, pur sostenendo posizioni diverse, "si parla la stessa lingua".

 

"Sono convinto che il presidente della Cina Xi Jinping capisca benissimo le tattiche populistiche di Trump, e che al contempo Trump invidi invece molto i poteri di Xi Jinping e Putin e che stia lavorando proprio per ottenerli" spiega Filippi, che osserva: "Ci troviamo come detto nell’era della post-democrazia ed è indicativo che nessuna delle potenze citate sia un Paese democratico, nemmeno questi Usa che procedono a suon di decreti presidenziali che scavalcano i principi democratici e di cui il neo presidente sta abusando".

 

La domanda, infine, vien da sè: riuscirà l'apparato democratico statunitense ad arginare questa "deriva"?

 

"In tal senso la macchina democratica americana è riuscita a fare argine nel primo mandato di Trump, ma alla luce del secondo purtroppo non ho una visione ottimistica – conclude lo storico – e lo stesso Barak Obama aveva sottolineato come proprio un eventuale Trump-bis sarebbe stato disastroso. La democrazia americana ha resistito e può resistere ancora, ma penso che nulla possa contro un'opinione pubblica ormai sobillata. Riassumendo il pensiero: Trump ha dimostrato che l'apparato democratico può essere scavalcato, e se continuerà a demolirlo nei prossimi quattro anni ci troveremo di fronte ad una democrazia fortemente debilitata e che faticherà a riprendersi da questi colpi durissimi".

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