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Il Trentino piange un altro morto sul lavoro: “Manca cultura della sicurezza”. Dario Uber (Uopsal): “Gli incidenti non sono solo nell'edilizia: serve un cambio di mentalità”

Il giorno dopo l'ennesima tragedia che ha visto come vittima un lavoratore del settore edile, parla il direttore dell’Unità operativa prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro Dario Uber: "Per noi in Trentino, edilizia e agricoltura di montagna sono sempre stati i settori maggiormente colpiti da infortuni. Dobbiamo lavorare per prevenire e informare".

Di Marcello Oberosler - 17 luglio 2024 - 06:01

TRENTO. Il Trentino in tema di morti sul lavoro dopo i primi sei mesi dell’anno aveva già numeri da “zona rossa”: il terribile incidente di ieri, martedì 16 luglio, nel cantiere di Noriglio dove ha perso la vita un operaio edile (QUI L’ARTICOLO) ha ulteriormente acuito quella che sta assumendo sempre di più i tratti di una vera e propria emergenza sociale.

 

Dario Uber è il direttore dell’Unità operativa prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (Uopsal): insomma rappresenta e coordina chi all’interno della provincia di Trento è in prima linea per contribuire a risolvere questa “emergenza”.

 

È proprio Uber ad aiutarci a tracciare un quadro della situazione su un mondo del lavoro che troppo spesso manca di adeguata cultura della sicurezza; e che pur avendo fatto negli ultimi anni tanti passi avanti, si trova ad affrontare sfide più che mai incalzanti.

 

Direttore Uber, partiamo dall’ultimo tragico caso di cronaca. La morte dell’operaio nel cantiere edile di Noriglio di martedì mattina.

“Il contesto è abbastanza ‘classico’: nel cantiere edile era in atto la costruzione di un fabbricato con la metodologia dei pannelli in prefabbricato. Questi pannelli, che servono per le pareti, sono componenti che vengono trasportate con un camion e scaricate direttamente sul luogo del cantiere: sono pannelli da 6-700 chilogrammi di peso. Vengono allestiti, presi con la gru e scaricati. Un’operazione che prevede l’intervento di un operatore che aggancia i cavi della gru al pannello per il trasporto”.

 

Questa è la fase in cui qualcosa sarebbe andato terribilmente storto a Noriglio.

“Sì, riteniamo che proprio durante quel tipo di operazione la parete, per motivi che devono ancora essere accertati, si sia squilibrata e sia finita per cadere travolgendo l’operaio che probabilmente le era di fianco, su una scala. Ci sono troppe variabili per poter determinare con certezza lo scenario in cui è avvenuto questo incidente, ma restano il cordoglio e lo sconcerto”.

 

L’edilizia rimane uno dei settori più colpiti da infortuni sul lavoro.

“Per noi in Trentino, edilizia e agricoltura di montagna sono sempre stati i settori maggiormente colpiti da infortuni, anche mortali. Lo dicono i numeri, e lo dice il buonsenso: sono due contesti lavorativi intrinsecamente pericolosi. Per i movimenti, i componenti, gli impatti. Ma non dobbiamo dare vita a falsi miti”.

 

E cioè?

“I morti sul lavoro non sono solo nell’ambito edile. Anzi, dei 6 casi di gravi infortuni in produzione, cioè in ambito strettamente lavorativo, è solo il primo del 2024 legato all’edilizia. Insomma, gli incidenti riguardano tanti settori differenti e danno l’idea di quanto manchi ancora, nonostante i nostri sforzi da tanti anni, la cultura della sicurezza”.

 

Non c’è abbastanza consapevolezza?

“Viene sottovalutato il problema. Lo ripeto, è questione non solo di prevenzione, ma di cultura. Sono convinto che buona parte degli infortuni e degli incidenti che sono avvenuti potessero essere evitati. Se solo fosse più diffusa la cultura della sicurezza, se ci fosse la consapevolezza di quanto questo aspetto sia fondamentale. Prendo l’esempio dell’operaio che ha perso la vita lo scorso maggio sul Calisio: come poteva non essere legato e assicurato? In altri casi c’è un’eccessiva confidenza dei lavoratori, magari quelli di alta specializzazione, che contano sulla propria esperienza e destrezza mettendosi a volte in condizioni di serio pericolo”.

 

Come mai fatica tanto ad attecchire questa “cultura della sicurezza”?

“Bella domanda. Ce lo stiamo chiedendo da molti anni. Perché abbiamo portato avanti, con costanza, tante iniziative importanti di prevenzione e sensibilizzazione, anche in collaborazione con l’ufficio di sicurezza della Provincia e ora istituendo il brand ‘Il Buon Lavoro’, con l’intenzione di sviluppare ulteriormente momenti di confronto e informazione sul tema della sicurezza sul lavoro. Un concetto che, assieme alle sue buone pratiche nel concreto, deve entrare nel nostro dna. E invece ogni tanto si ha la sensazione che la sicurezza sia vista come un impaccio, come un costo aggiuntivo; che i datori di lavoro non mettano la sicurezza, per sé e per i loro collaboratori, al primo posto del proprio elenco di priorità. Ma, lo ripeto, il tema è assolutamente trasversale: anche tra i lavoratori stessi si sottovalutano continuamente i rischi, a volte semplicemente per ignoranza. E su quello dobbiamo intervenire”.

 

Può farci un esempio?

“Infortuni col trattore. Quanti ne abbiamo sentiti accadere, anche in tempi recenti? Purtroppo molti. Negli ultimi casi, chi era alla guida del trattore non si è allacciato la cintura di sicurezza. I 10 e più anni che abbiamo impiegato per fare sì che, salendo su qualsiasi mezzo, mettersi la cintura sia diventato un movimento automatico, nell’agricoltura di montagna sembra che non siano mai esistiti. Fino al punto che girano dei pregiudizi del tipo ‘stare senza cintura è più sicuro, perché sono libero di saltare giù dal mezzo’. Un finto senso di sicurezza che invece genera solo incidenti e infortuni, peraltro spesso purtroppo gravi. Dobbiamo avere pazienza e continuare il nostro percorso di sensibilizzazione e di informazioni”.

 

Cultura, sì. Ma anche controllo.

“Certo, anche quello del controllo è un aspetto fondamentale. Negli ultimi 3 anni come Uopsal abbiamo raddoppiato i controlli in edilizia e agricoltura. Però il controllo non basta, su questo voglio essere chiaro: c’è sempre la possibilità, a voler pensare male, che uno possa fare dei conti in relazione ai costi per la messa in sicurezza e al prezzo magari delle multe o delle sanzioni”.

 

Di che numeri stiamo parlando, a grandi linee?

“Stiamo parlando di due ambiti lavorativi complicati, disseminati sul territorio: tanto per farsi un’idea, sul nostro territorio ci sono qualcosa come 10.000 piccole aziende agricole. E siamo sui 6-7.000 cantieri edili, piccoli e grandi, aperti. In un settore che con i bonus aveva assistito a un boom e a una vera e propria frenesia nel fare dei lavori che ora stanno tornando ‘a regime’ dopo aver raggiunto anche gli 11.000. Per questi dati ci basiamo sulle notifiche preliminari, ma danno l’idea della quantità di interventi di controllo a cui siamo chiamati”.

 

In questi anni in cui ci dice che sono raddoppiati i controlli, c’è stato un incremento del personale Uopsal?

“No, il personale più o meno è rimasto stabile. Ma abbiamo ottimizzato le risorse ed efficientato il lavoro, facilitando i controlli con delle schede che ci permettono poi di andare a controllare più a fondo i casi che appaiono più critici. In questo ci siamo adeguati alle indicazioni nazionali”.

 

Un ultimo punto, ma non certo meno importante, la forte incidenza dei casi che vedono vittime i lavoratori stranieri, soggetti (secondi i dati del recente studio Vega) ad un rischio di infortunio mortale quasi triplo rispetto agli italiani.

“Si tratta di un aspetto su cui ci tengo davvero molto a mettere la nostra massima attenzione. È vero, lo dicono i numeri: in proporzione, sono più spesso loro i protagonisti di infortuni e incidenti. Sia ben chiaro, in molti campi vediamo lavoratori stranieri ben integrati, esperti, specializzati; ma in altre situazioni ci si rende conto di quante difficoltà ci siano, a partire dalla lingua e quindi poi alla comprensione di pratiche di sicurezza fondamentali. Ci stiamo spendendo per aumentare in quantità e qualità quei momenti di formazione e informazione non solo in italiano ma anche multilingua, in particolare per chi è da poco in Italia”.  

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