Dai tagli sulle braccia all'isolamento. Allarme giovani in Trentino, sono cresciute del 74% le richieste di aiuto nei consultori. ''E' la tremenda onda lunga della pandemia”
La fascia più colpita è quella dai 12 ai 24 anni. Nel post pandemia le richieste di aiuto nei consultori e negli ambulatori dell'Unità Operativa territoriale di Psicologia sono tornate ad aumentare. Impegnati oltre 60 psicologi: "Per i disturbi importanti o in caso di un evento traumatico in circa 15 giorni cerchiamo di arrivare alla visita" spiega la dottoressa Chiara Guella
TRENTO. I giovani stanno soffrendo. E anche molto. Rimangono chiusi in casa, nella propria camera da letto. In alcuni casi si fanno tagli sulle braccia oppure sulle gambe per esprimere un malessere, mostrano atteggiamenti aggressivi, si svegliano in piena notte, hanno ansia e depressione. Ma non solo, perché sono anche vittime di violenza e di conflitti famigliari.
Sono sempre di più quelli che si trovano in queste situazioni difficili da inquadrare con numeri esatti. Ma ne basta uno per capire come questa onda nera e silenziosa abbia già inghiottito tanti giovani: nei consultori sparsi nella provincia i ragazzi e le ragazze che hanno chiesto aiuto sono aumentati del 74%.
Un aumento mai visto in così poco tempo e sul quale stanno lavorando gli oltre 60 psicologici che fanno capo all'Unità Operativa territoriale di Psicologia. L'hub centrale che arriva poi in tutto il Trentino attraverso non solo i consultori ma anche i dodici ambulatori da Rovereto, Riva, Tione, Cavalese, Borgo Valsugana, Pergine, Fiera di Primiero fino ad arrivare a Cles, Mezzolombardo e Malè.
Abbiamo avuto la pandemia, i drammatici lockdown con l'impossibilità di uscire e di incontrare gli amici, la chiusura delle scuole. Tutte situazioni che hanno portato a galla e ad acuire, paure, emarginazione colpendo chi è più fragile e vulnerabile. “La fascia d'età che più ha sofferto i due anni di pandemia è quella dei giovani dai 12 ai 24 anni” ci dice la dottoressa Chiara Guella, neo responsabile dell'Unità Operativa territoriale di Psicologia dell'Apss.
Dottoressa Guella, partiamo con un dato. Quanti sono i pazienti che in Trentino l'Unità Operativa Territoriale di Psicologia sta seguendo in questo momento?
Abbiamo in carico circa 9 mila pazienti, 6-7 mila seguiti dai 12 ambulatori territoriali e altri 2 mila che sono invece seguiti negli ospedali. Dal punto di vista dell'età, invece, circa 6500 hanno più di 18 anni mentre 2500 sono minori.
All'anno abbiamo registrato circa 5800 nuove entrate di pazienti. I numeri durante la pandemia erano diminuiti ma ora sono tornati già a livelli pre-covid e stanno inesorabilmente aumentando. L'assistenza psicologica viene sempre più richiesta e spesso riusciamo a fornirla anche grazie alle borse di studio che arrivano da privati che ci permettono di coprire alcune richieste.
La pandemia ha lasciato gravi conseguenze anche sulla psicologia delle persone. Siamo nel bel mezzo di un vero e proprio boom di richieste di aiuto. Cosa sta accadendo?
E' ancora difficile dare un dato certo perché il periodo trascorso dalla pandemia e dai lockdown è breve e certe problematiche si vedono a distanza. Ci siamo però resi contro che alla riapertura degli ambulatori sono davvero tanti i ragazzi e le ragazze che si rivolgono a noi. Abbiamo voluto in qualche mondo quantificare la situazione e sono giovani dai 12 ai 24 anni. Sono loro quelli che più di altri hanno sofferto la pandemia. Si sono visti mancare il proprio aspetto sociale che è fondamentale per la crescita in questa età. Come un bambino non può stare senza la mamma, così un ragazzo non può stare senza il gruppo.
Siete riusciti a capire quanto questo fenomeno sia grande?
Abbiamo cercato di capirlo analizzando i dati presi nei 15 mesi antecedenti il primo lockdown, quindi dall'1 dicembre 2018 all'1 marzo 2020 e confrontati con quelli dei primi 15 mesi successivi la chiusura e quindi dall'1 settembre 2020 all'1 marzo di quest'anno. Questo ci ha permesso di capire che siamo davanti ad un aumento di utenti nuovi giovani che si aggira sul 74% nei consultori e un aumento del 30% negli ambulatori. Sono aumentate anche le prese in carico e, un aspetto che stiamo cercando ancora di capire, la crescita ha riguardato soprattutto donne.
E quali sono i motivi che stanno spingendo i giovani, o i loro genitori, a chiedere aiuto?
Nei consultori le problematiche maggiori che ci vengono presentate sono quelle di tipo relazionale, famigliare ma anche violenze e maltrattamenti. La forzatura di condivisione della vita nel corso del lockdown ha esacerbato tantissimi conflitti. Il dato non è ancora definitivo ma abbiamo una prima stima che indica un aumento di oltre il 100% dei conflitti famigliari.
Negli ambulatori stiamo invece vedendo forti disturbi post traumatici da stress, abbiamo un aumento delle sindromi ipercinetiche, tanti giovani vivono con una perenne agitazione e sono aumentate le ansie e le fobie.
Ci sono anche giovani che hanno cancellato la propria vita sociale. Altri che invece la stanno vivendo in maniera aggressiva.
Si, il ritiro sociale è diventato importante. Anche la didattica online ha aperto la strada a molti giovani per chiedere di rimanere a casa. Stiamo assistendo a diversi abbandoni scolastici soprattutto tra chi già prima della pandemia faticava nell'affrontale aspetti di socializzazione e chi aveva problemi relazionali si è chiuso ancora di più.
E' aumentato l'autolesionismo, si tagliano, tanto, sulle braccia e sulle gambe per esprimere un malessere. A crescere è anche il cosiddetto malessere con l'agito: con atti verso l'esterno, aggressioni. Le baby gang ci sono anche da noi ma sono più che altro una evoluzione sociale da trattare dal punto di vista sociologico.
Siamo davanti ad un aumento importanti di casi e allo stesso tempo anche della loro complessità. Con circa 60 psicologi sul territorio riuscite ad affrontare tutto questo?
Cerchiamo di fare nel miglior modo possibile. Le risorse sono sempre carenti in Sanità ma sappiamo anche che in questo ambiato all'aumento dell'offerta aumenta la domanda.
Ci sono interventi in sanità pubblica che vengono erogati secondo i Lea che sono i livelli essenziali di assistenza. E' chiaro che ad un certo punto dobbiamo dimettere i pazienti e non possiamo dare loro sempre tutto quello che avrebbero bisogno. Dobbiamo limitarci alcune volte a dare la cura e poi dimetterli per fare spazio ad altri.
Sui temi di attesa cerchiamo di averli congrui e con delle priorità cliniche. Per i disturbi importanti o in caso di un evento traumatico in circa 15 giorni cerchiamo arrivare alla visita. Chi ha situazione meno gravi e che può attendere un po' di più, la visita può arrivare in 60 giorni.
Ora sono stati messi a disposizione anche degli studi convenzionati a cui possiamo inviare i pazienti e lo facciamo in certe situazione per far fronte alle richieste di attesa che ci sono.