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Addio al partigiano Quintino. Una quotidianità 'ribelle' senza elettricità e riscaldamento a 93 anni

L'ex combattente, rimasto ferito ad un occhio durante un assalto e rinchiuso nel lager di Bolzano, si è spento nel suo maso. Il cortometraggio di Gabriele Carletti aveva emozionato il pubblico del Trento Film Festival. L'Anpi: "Siamo più soli"

Di Luca Andreazza - 12 gennaio 2018 - 19:11

CASTELLO DI FIEMME. Si è spento a 93 anni Quintino Corradini. Una quotidianità 'ribelle', una storia di lotta partigiana, memoria e viaggio.

 

Un uomo controcorrente e riflessivo, che non ha mai rinunciato alla sua coerenza, ma soprattutto ai suoi ideali sviluppati dopo la Resistenza. Viveva nel suo maso a quattro chilometri da Castello Molina di Fiemme senza elettricità e riscaldamento.

 

Protagonista del cortometraggio diretto da Gabriele Carletti, 'La scelta di Quintino' aveva commosso la sala all'ultimo Trento Film Festival per una storia in grado di emozionare il pubblico di quattro festival, compreso quello di Grenoble in Francia.

 

 

Un documentario nel quale Quintino aveva lucidamente affrontato diversi argomenti, tanti tabù erano caduti per lasciare spazio a tematiche attuali, dalla tenacia alla solitudine, dall'eutanasia all'amore che non ha età, anche per un uomo di 93 anni. 

 

"E' morto nel suo maso - ricorda Gabriele Carletti, il regista de 'La scelta di Quintino' e giornalista Rai - un estremo atto di coerenza, senza dover scendere in città. Mi aveva detto che gli sarebbe ovviamente piaciuto vivere il più a lungo possibile, ma che era soddisfatto di aver raggiunto a suo modo l'eternità nel documentario, che riteneva un suo testamento". 

 

Resisteva in quel maso della sua famiglia per tenere inoltre viva la memoria dei compagni partigiani impiccati, tanto che per ricordarli aveva elevato in cortile un personalissimo monumento ai caduti: l'albero che parla.

 

Ex partigiano, nel gennaio del 1944, a soli 19 anni, Quintino rifiuta l'arruolamento nell'esercito tedesco e passa alla clandestinità. Con l'amico Bruno Frank, disertore della Wehrmacht e suo fratello Tullio, avvia i primi contatti con il Cln di Cavalese e Borgo.

 

In aprile la prima banda partigiana del Trentino, la brigata 'Cesare Battisti', conta già oltre venti uomini e opera in alta Val Cadino, mentre alla fine di maggio sono oltre 35 unità. I loro obiettivi sono il controllo del territorio e il sabotaggio delle comunicazioni con il Brennero.

 

Quintino per oltre nove mesi è in prima linea nella lotta partigiana e riesce a sfuggire in modo avventuroso al rastrellamento delle truppe naziste e dei militi del Cst  all'alba del 23 maggio del 1944, a seguito del quale cadono i primi combattenti partigiani. 

 

Sempre a seguito di delazioni vengono arrestati e processati a fine luglio a Bolzano 23 partigiani. Quattro di loro saranno condannati a morte, tre impiccati a Sappada e uno fucilato a Fonzaso.

 

Quintino riesce più volte a sfuggire alla cattura e prosegue la guerriglia partigiana con altri compagni. Nel corso di una azione contro una caserma viene ferito ad un occhio che resterà menomato.

 

Viene infine catturato, alla vigilia di Natale del 1944, insieme a Frank e Reich, e internato nel lager di Via Resia a Bolzano dove, nonostante le gravi sevizie subite e le precarie condizioni fisiche dovute alle fratture riportate in occasione della cattura, riesce a sopravvivere anche per la pietà del medico del campo e ai medicinali introdotti clandestinamente dall'esterno.

  
Arriva l'aprile del 1945, i nazisti ormai consapevoli di essere stati sconfitti, iniziano la smobilitazione del lager di Bolzano e distruggono le prove più compromettenti dei loro crimini. Inoltre liberano gradualmente i detenuti. Anche Quintino proprio nel giorno della Festa del Lavoro 1945, è finalmente libero e si avvia a piedi verso casa in Valle di Fiemme.

 

Ma un nuovo drammatico evento sta per compiersi, nonostante la firma della resa incondizionata delle truppe naziste in Italia sottoscritta il 3 maggio. Sulla strada del ritorno a casa, con l'entusiasmo di chi già pensa a un futuro di pace e libertà, incrocia gruppi e colonne di tedeschi in ritirata: li osserva fiero di avere combattuto dalla parte giusta.

 

Da lontano sente il suono delle campane annunciare finalmente la pace, ma, verso l'imbrunire, in un silenzio di piombo, riconosce gli spari dei mitra e della mitraglia tedeschi. Dal profondo del cuore del partigiano Fagioli riemerge lo sgomento della guerra e la rabbia contro i nazisti che disseminano di altro sangue la loro ritirata. E ancora quell'odore di morte, i fumi degli incendi delle case e le macerie: la guerra in quel lembo di terra non era ancora finita.

 

"Il Quintino che noi abbiamo conosciuto - ricorda l'Anpi - vive nel suo maso, ereditato dai nonni. Ama quelle montagne, testimoni della sua avventura partigiana e vive un'esistenza ancora intensa, in simbiosi con la natura e al ritmo delle stagioni. Da quel mondo non ha mai voluto separarsi e in modo ancora autonomo, cura la casa piena di ricordi, taglia la legna, si prepara pasti frugali, ama la compagnia dei suoi animali domestici e di quelli del bosco che lo riconoscono come un amico".

 

Sulla parete del terrazzo di legno il ritratto del 'Che Guevara'. "Una vita - conclude l'Anpi - semplice nello stile ma elevata per la nobiltà dei valori per i quali ha combattuto e di cui è stato interprete. Il Quintino combattente ha pensato bene di finire i suoi lunghi giorni nel suo rifugio. Ci ha lasciato nel sonno, ma ci ha comunque lasciati un po' più soli. Adesso sta a noi far vivere nell'attualità l'energia e la generosità della sua vita".

 

 

 

 

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