Il Risiko mondiale e l'Africa, la partita è aperta e sanguinosa: si 'gioca' per interposta persona, ma la lotta è tra “filoamericani” e “antagonisti”
Risiko si gioca per conquistare il Mondo. In Africa la partita è aperta e sanguinosa. Si gioca sempre per interposta persona, finanziando gruppi ribelli e paramilitari, ma la lotta è comunque fra “filoamericani” e “antagonisti”. Nella Repubblica democratica del Congo la guerra, tutta per il controllo delle infinite risorse del Paese, dura da tre decenni, con più, molto più di una decina di milioni di morti. In questi giorni, l’attacco è portato dallo storico gruppo armato M23, sostenuto da un Paese confinante, il Ruanda. Si combatte nel Nord Est, nel Kivu. Il gruppo ha conquistato Goma, la città più grande. Da lunedì 27 gennaio 2025, gli abitanti sono in fuga. I combattimenti sono intensi e gli appelli per un cessate il fuoco del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sono caduti nel vuoto.
La Regione è una delle più instabili e più contese del Pianeta. Sono troppi i minerali essenziali, utili a gran parte dei produttori di tecnologia. Il March 23 Movement (M23) è solo uno dei circa 100 gruppi armati che si contendono il territorio e il potere da almeno due decenni. Nel 2012 era già riuscito a conquistare Goma, poi la pressione internazionale lo aveva costretto a ritirarsi. Ora è tornato, forte dell’appoggio del Ruanda, come testimoniano gli esperti delle Nazioni Unite. Il governo ruandese, ovviamente, nega, ma è interessante la dichiarazione del ministro degli Affari Esteri del Paese, che nei giorni scorsi ha accusato il governo congolese di essere la causa della guerra, per “non aver avviato un dialogo con l’M23, un gruppo ribelle che combatte per proteggere la propria comunità”.
Poco distante, sempre in Africa, i governi militari di Niger, Mali e Burkina Faso hanno formalizzato il ritiro dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas). Fondato nel 1975, il blocco di 15 nazioni è diventato la massima autorità politica della regione. Ha collaborato con gli Stati per risolvere le questioni interne, dalla politica all’economia e alla sicurezza. In mezzo a una serie di colpi di stato, lotte con gruppi armati musulmani e competizione tra Russia e Occidente per l’influenza nella regione, l’Ecowas è diventata un bersaglio per i tre Stati, che già un anno fa avevano annunciato la loro uscita. L’accusa che rivolgono all’organizzazione è di essere troppo filofrancese e di non avere messo in campo gli strumenti idonei per fermare l’integralismo islamico. I tre Paesi, ora, sono partner politici, economici e militari della Russia, che sta estendendo la propria influenza in quella zona dell’Africa.
Russia protagonista, quindi, nonostante la crisi economica denunciata da più osservatori e l’infinita guerra d’occupazione in Ucraina. I combattimenti proseguono, durissimi, con decine di morti ogni giorno e per tutti. La vita è tremenda soprattutto per i civili ucraini. E’ di questa settimana la notizia che Kiev dovrà importare ingenti quantità di gas per soddisfare le esigenze nazionali. Secondo Sergiy Makogon, ex-amministratore delegato di Gtsou, l’operatore di trasmissione energetica ucraino, il volume di gas nelle strutture di stoccaggio del Paese è sceso quasi al limite critico del 10%. Questo ridurrebbe i possibili prelievi a 60 milioni di metri cubi al giorno, troppo pochi per soddisfare le esigenze di cittadini ed economia. “Ciò significherà – ha sentenziato – che dovremo importare gas in caso di emergenza”.
La situazione per i civili resta critica anche a Gaza. Laggiù, finalmente, in settimana è arrivata in porto una nave turca, carica di 871 tonnellate di aiuti umanitari, 300 generatori di energia, 20 bagni chimici, 10.460 tende e 14.350 coperte. Queste cose si aggiungono a quelle portate nella Striscia dalle centinaia di camion di aiuti durante il cessate il fuoco. Per gli operatori umanitari l’aumento degli aiuti è notevole, ma ancora insufficiente per le esigenze di una popolazione frastornata e dilaniata dalla guerra. A questo si aggiunge la permanente ostilità israeliana nei confronti delle agenzie internazionali. Il personale locale dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi, può ad esempio continuare a operare nella Cisgiordania occupata, ma non a Gaza. La conseguenza è devastante, dicono gli analisti: un milione di tonnellate di aiuti targati UNRWA è fermo nel deserto, in attesa di destinazione appena fuori Gaza.