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Padre Tiziano Donini, da ''Che Guevara'' ai ''cani sciolti'' e quello scandalo del ’97 che fu un altro Sessantotto per la Chiesa trentina

Giovedì 31 marzo in una chiesa di Pergine affollatissima e innamoratissima di lui è stato salutato frate Donini scomparso due giorni prima. Un omaggio (con ricostruzione storiografica di quel che avvenne) al ''battitore libero'' così libero da far sbagliare l’arcivescovo che nell’agosto 1997 lo cacciò dal posto di lavoro (cappellano dell’ospedale di Cles) credendolo un pericoloso comunista. Dell’uomo di partito, Tiziano non aveva proprio nulla. Tantomeno l’obbedienza pronta, cieca e volonterosa
DAL BLOG
Di Paolo Ghezzi - 07 aprile 2022

Ragazzo del 57, giornalista dal 79, troppo piccolo per il 68, ha scansato il 77 ma non la direzione dell’Adige (8 anni 8 mesi e 3 giorni) e la politica (24 mesi in consiglio provinciale tra il 2018 e il 2020)

Non è consueto che sull’annuncio funebre di un frate lo si veda in una foto con maglietta e scritta NYC, New York City. Bella faccia, pare un attore americano più che un francescano trentino. Non è frequente che si ricordi – giovedì 31 marzo 2022 in una chiesa dei francescani di Pergine affollatissima e innamoratissima di lui, iper-assembramento fraterno e liberatorio, alla vigilia della fine dello stato d’emergenza Covid – un figlio di Francesco d’Assisi come il frate di strada dalla motocicletta rombante. Non è usuale che l’ultimo saluto prima della benedizione finale della salma del frate suoni: speriamo che ti potrai finalmente fumare un sigaro con il tuo amico Che Guevara.

 

Uomo del Vangelo e uomo libero, da sempre, Tiziano Donini nato anagraficamente Gino a Molveno, ragazzo del ’47, curioso del mondo tra l’India di Madre Teresa, la Calabria dell’altro noneso padre Bregantini vescovo anti-‘ndrangheta, l’America Latina. E Cles, naturalmente, la capitale dei pomi e dei loro raccoglitori, umanità allora vagabonda e variopinta.

 

Il frate dei cani sciolti

Così libero che sbagliava proprio l’arcivescovo con la bacchetta del censore, il vicentino Giovanni Maria Sartori, che nell’agosto 1997 lo cacciò dal posto di lavoro (cappellano dell’ospedale di Cles) a crederlo un pericoloso comunista. Dell’uomo di partito, Tiziano non aveva proprio nulla. Tantomeno l’obbedienza pronta, cieca e volonterosa. Semmai, è sempre stato un anarchico, insofferente delle regole ufficiali e delle organizzazioni asfissianti. Non era neppure un tipo da “Punto d’Incontro”, per dire, da cooperativa sociale bene congegnata. Era un battitore libero. Un cane sciolto, si potrebbe dire, con il massimo rispetto per i cani e per chi fa una vita da cani. (Le nostre “vitarelle”, le chiamava il nostro Ettore Petta, firma del Corriere della Sera e poi dell’Adige). Tiziano, i suoi “ultimi” li amava spontaneamente e senza sforzo perché “ultimo” si sentiva anche lui. La fatica di vivere l’aveva provata, l’ha provata sulla propria pelle. Che fossero alcolisti, persone con disagio psichico, immigrati, persone strane con lo sguardo strano (“hai notato come sono rari e fievoli i sorrisi, sulla bocca stralunata di un uomo in crisi…” cantava Claudio Lolli in quegli anni). Al convento dei francescani di Cles ma perfino dentro la cappella dell’ospedale, Tiziano era gli occhi dell’accoglienza, schietta e immediata e senza troppe domande. Occhi chiari, parole schiette, maglietta, moto e via.

 

Gli ampi spazi del Dolomiti possono servire anche a questa operazione di archeologia giornalistica, che illumina una vicenda che, come quella dell’allontanamento di don Cristelli da Vita Trentina, ha segnato una cesura forte nella “opinione pubblica cattolica” in Trentino. Un altro ’68 deflagrato nel ’97. Era l’estate che precedeva il mio passaggio dall’Alto Adige, dopo 10 anni, all’Adige. Ultimi giorni di lavoro, nelle care vecchie sudate stanze nobili della redazione nel palazzo antico di piazza Lodron-piazza Pasi. Non facile, almeno per me, ricordare esattamente il casus belli e la successione degli eventi dello scandalo. Non mi hanno aiutato gli articoli pubblicati in questi giorni, tranne quello di Alberto Folgheraiter – archivio umano vivente – sul Trentino Nuovo, che rievoca bene il clima intorno a quel “caso”. Ma la serie degli eventi mi restava sfocata e nessun archivio digitale di giornali trentini si spinge fino al 1997. Mi ha soccorso l’archivio della Biblioteca comunale di via Roma, Sala Trentina, sezione microfilm.

 

21 luglio 1997: da Cles, la notizia “bomba”

Sono piuttosto fiero del primo titolo sul “caso Donini”: dalla lampada pallida della macchina dei microfilm riemerge nel suo sbiadito bianconero la prima pagina dell’Alto Adige edizione di Trento del lunedì 21 luglio 1997. È un’edizione prevalentemente sportiva, come tutti i lunedì, e difatti “di spalla” ecco il corpo sudato del Pirata del ciclismo. Sono giorni di Tour de France. Titolo su due righe: “Ullrich gigante – Pantani: ritiro?”. A quattro colonne nel giornale del gruppo Finegil-Espresso in cui il socio forte locale è la finanziaria della Curia, l’Isa (ecco la fierezza di cui parlavo), sopra le foto di Tiziano Donini e di Giovanni Maria Sartori, entrambi di profilo, con sguardo riflessivo, ecco il titolo forte di quel 21 luglio: “Il frate è scomodo – Allora sia cacciato”.

 

 

 

 

 

Più che un titolo di cronaca è già un commento, lo ammetto. Non è troppo anglosassone. È sbilanciato. L’Alto Adige, giornale leader in Trentino (oltre ventimila copie vendute al giorno, oltre 40mila nella regione, in quei tempi felici per la stampa; il direttore era Fabio Barbieri, gardesano laico) è partigiano. Nella partita tra il vescovo azionista e il frate dei poveri, il quotidiano sta dalla parte di Tiziano Donini. Dentro, in cronaca, il titolo ribadisce: “Frate scomodo, il vescovo lo licenza”. Sei colonne. Occhiello: “Messe troppo libere”, il Giovedì Santo con Zanotelli: le accuse al religioso che gestisce un centro d’accoglienza”. Arrivato da Rovigo nel febbraio 1988 (fu il mio primo e forse unico vero scoop all’Alto Adige) il vescovo Sartori aveva licenziato Vittorio Cristelli da Vita Trentina un anno dopo e don Marcello Farina da assistente della Fuci nel 1990… Spero che la mia cronaca di un quarto di secolo fa mi aiuti a capire l’esatta accusa rivolta a padre Tiziano.

 

 

 

 

 

“Una quindicina di giorni fa, in Curia a Trento, il faccia a faccia tra monsignor Sartori e il francescano. Donini – che ieri, interpellato dall’Alto Adige, non ha voluto commentare la vicenda - ha confidato successivamente agli amici, comprensibilmente turbato, il contenuto del colloquio. Gli è stato rinfacciato il modo di celebrare le liturgie. Quelle delle messe domenicali e dei matrimoni, in parte al di fuori dei canoni fissati. Gli è stata obiettata una eccessiva “libertà” nella predicazione. In particolare gli è stata addebitata l’iniziativa del Giovedì Santo dell'anno scorso, quando al rito in ospedale parteciparono anche padre Alex Zanotelli (in vacanza in valle) e don Luigi Ciotti; la celebrazione fu ritenuta una sorta di “controquaresimale" rispetto alla celebrazione che si svolgeva alla stessa ora nella chiesa parrocchiale da don Cornelio Branz”.

 

Un decano, un cane, gli hippy, la sola campana

Ecco che ci avviciniamo alle ragioni non dette: Donini dava fastidio al mitico parroco-decano antiprogressista di Cles (morto nel 2019 a 85 anni) che, per dispetto a don Cristelli ma per non perdere le notizie di Vita Trentina, aveva abbonato al settimanale diocesano la fedele Miura: no, non era la perpetua ma la sua pastora tedesca (il cane, sì). Maliziosità del giornale: “In effetti, 19 anni da cappellano è un lungo periodo, regola normale era considerata quella della non permanenza nello stesso incarico per più di dieci anni. Una regola, peraltro, che presenta numerose eccezioni: curiosamente lo stesso parroco di Cles, don Cornelio Branz. Ricopre il suo incarico dal lontano 1977, un anno prima che padre Donini arrivasse in val di Non”.

 

Ulteriore “capo di imputazione”: un vecchio poster di Che Guevara rimasto appeso nell’ufficio del cappellano Donini all’ospedale di Cles. Ma l’Alto Adige si spingeva anche ai fatti di un anno prima. Il 17 settembre 1996, i carabinieri avevano compiuto un blitz in una “tendopoli abusiva dei raccoglitori hippy” al lago di Santa Giustina e padre Donini aveva pubblicamente espresso la sua contrarietà ad un'azione così clamorosa, applaudita invece dai sindacati agricoli. Il 22 luglio in prima pagina a 4 colonne prosegue la sacrosanta partigianeria pro Tiziano dell’Alto Adige. “Cles sta con fra’ Tiziano”. Don Giancarlo Pellegrini, da San Michele, lo invita a celebrare messa da lui. Mentre il centralino dell’ospedale di Cles è alluvionato dalle telefonate di solidarietà e comincia una raccolta di firme che arriverà a quota 4mila, nel giornale non ci sono ancora documenti, comunicati o dichiarazioni ufficiali.

 

Parlano i suoi amici e i suoi sostenitori, come la sindaca di Cles Maria Pia Flaim, non parlano i protagonisti diretti. Non parla Tiziano, non parla il suo ministro provinciale dei francescani Saverio Biasi, non parla il vescovo e tacciono i suoi uomini. O meglio, il massiccio Armando (detto appunto “Armadio”) Costa, responsabile ufficio stampa della Curia non vuole commentare nulla neppure lui, se non per impartirci una lezione di giornalismo: “C’erano due campane e ne avete sentita una sola. Dovevate sentirle tutte e due nello stesso momento: sarebbe stata una bella cosa, un atteggiamento giornalisticamente corretto. Bene, il giorno dopo la seconda campana non suona».  Implacabile, esemplare don “Armadio”. Confesso che, 25 anni dopo, la memoria non mi sorregge: non ricordo se avessi cercato il vescovo già quella domenica 20 luglio quando da Cles era scesa rimbombando la notiziona. Col vescovo Sartori non credo che nessun giornalista avesse un filo diretto, non era mica alla mano come Tisi. Non esistevano i cellulari, era giorno festivo e dunque gli uffici di Curia erano chiusi. Feeling con il segretario particolare, don Giorgio Seno, non l’avevo. Insomma, la campana era rimasta una. Quella degli amici di padre Tiziano. Ne aveva un sacco. Come la ragazza albanese che intervistammo per l’edizione del 24 luglio: «Se non fosse stato per lui – racconta Elena – sarei sicuramente finita in mezzo a una strada. Mi ha aiutata a trovare un posto dove dormire e un lavoro. So che padre Tiziano ha tolto dal giro della prostituzione alcune ragazze: quello che gli stanno facendo adesso è ingiusto».

 

25 luglio 1997: un “rintocchino” di seconda campana. Grazie a Rttr

L’Alto Adige ha cercato invano di far parlare il numero 1. L’arcivescovo Sartori – informa – sta trascorrendo nella sua residenza estiva a Sella Valsugana un periodo di riposo: necessario anche per le sue non buone condizioni di salute, gli concediamo (la malattia al fegato lo porterà alla morte, a Innsbruck, dopo un inutile trapianto, il 26 settembre 1998). Sulla vicenda di padre Tiziano non rilascia dichiarazioni: soffre in silenzio per le critiche che gli vengono rivolte. Qualche parola ufficiosa la concede telefonicamente al direttore di Rttr Luigi Giuriato: e allora decidiamo di pubblicare il commento del fortunato collega tv che era riuscito a parlare con Sua Eccellenza.

 

“Mestiere duro quello del Pastore d'anime… i mezzi di comunicazione di massa rischiano di amplificare i fenomeni al punto da rendere difficile la serena valutazione di questioni delicate come quelle legate alle scelte pastorali della cura d’anime. Condivisibile o no, anche la decisione su padre Tiziano Donini è una scelta precisa. Certo non paga in termini di immagine, ma rispecchia profondamente le caratteristiche del presule, affabile nel tratto pastorale, bonario e sensibile nei rapporti umani, schivo e diffidente con la stampa dalla quale in verità ha ottenuto più schiaffi che carezze. Raggiunto telefonicamente, I’ Arcivescovo ha detto che sulla questione esiste un ampio dossier e che ora tutto e sul tavolo dei superiori dell’Ordine francescano ai quali padre Donini risponde. Mons. Sartori paga un conto salato… anzitutto perché ancora una volta si è sottratto alle regole dell’agone mediatico” (paradossale per un prete giornalista, che aveva diretto La Voce dei Berici, il settimanale diocesano di Vicenza, osserviamo qui tra parentesi) “agone mediatico che chiede, anzi pretende, spiegazioni, ragioni, giustificazioni…” Il “mestiere” di vescovo – guidare e servire – ci spiegava Giuriato – ha ben poco a che vedere con le regole “della democrazia, della maggioranza, dove chi raccoglie più consensi, o fa la voce più grossa vince”, il suo ruolo è quello della carità cristiana. In questo senso monsignor Sartori si è dichiarato addolorato ma sereno”.

 

26 luglio 1997: la voce di padre Tiziano e la profezia di Madre Teresa

Sabato 26 luglio è finalmente il collega Gianfranco Piccoli, forza fresca dell’Alto Adige, che riesce a far parlare il frate silurato. Per disposizione del suo superiore provinciale francescano, si annuncia ai lettori, entro il 12 agosto dovrà lasciare la Val di Non per il convento di Pergine e poi per un periodo sabbatico di studi biblici a Gerusalemme. A questo punto, ufficializzata la rimozione, padre Tiziano rompe il silenzio. “È frastornato – scrive Piccoli – la sua voce è palesemente carica di tensione e ansia: si chiede se fa bene o male a parlare con noi. Cita una frase pronunciata poco tempo fa da Madre Teresa di Calcutta, incontrata da padre Tiziano durante un viaggio in India. “Sono finiti i tuoi tempi...” disse Madre Teresa al frate di Cles. Un’affermazione che aveva lasciato di stucco Tiziano: “Non riuscivo a cogliere il senso delle parole pronunciate dalla religiosa”. Praticamente una profezia; poco dopo il ritorno dall’India (dove è rimasto per due mesi, aprile e maggio di quest’anno) Tiziano ha saputo che la sua avventura in Val di Non si sarebbe conclusa. I motivi, ufficiosi: attivismo esasperato, protagonismo, un modo poco ortodosso di celebrare la messa, non sono stati accettati. Tra l'altro, nella lettera con cui gli viene comunicato l’avvicendamento, non si accenna neppure a tutto questo. È stato anzi ringraziato per I’ opera svolta nei diciannove anni di permanenza nella valle”.

 

“Sono frastornato e un po’ confuso. Mi sono sentito solo, poi è arrivata la solidarietà di moltissime persone, non mi sarei mai immaginato una cosa di questo tipo. Mi ha dato la forza per affrontare il momento. Ed ho pensato che seminando affetto si riceve affetto. Se avessero fatto l’ avvicendamento il prossimo anno probabilmente si sarebbero evitate molte polemiche. E, forse, sarebbero state rispettate la volontà e le esigenze di molte persone che vivono in val di Non”. Conclusione francescana, dialogica: “Mi auguro che una certa parte della Chiesa possa in futuro avere più spazio e soprattutto più comprensione”. Nei giorni successivi, niente da fare, la pistola fumante, il documento con i motivi ufficiali della decisione non salta fuori. Ci sono tante lettere di solidarietà, tanti commenti, il vescovo continua a tacere e “pace e bene” è l’unico commento del superiore provinciale dei francescani.

 

 

Fra’ Modesto e una modesta, durissima lezione di Vangelo

In prima pagina dell’Alto Adige il 29 luglio, collocato nella autorevole posizione di un editoriale “di spalla”, prende la parola fra’ Modesto Comina, guardiano del convento di Rovereto, confratello e amico di padre Tiziano. Dopo aver ricordato che il Vangelo e la Chiesa sono per i poveri, scrive senza mezzi termini: “Quello che è scandaloso è che non ci sia stata una parola di comprensione umana nel dramma che padre Tiziano sta passando e che mi ricorda l’agonia di Gesù nell’orto del Getsemani, che non ci sia stata espressione di benevolenza cristiana né la minima considerazione dei diritti umani che sono stati invece calpestati, che non ci sia stata alcuna espressione di riconciliazione e perdono, ma solo un muro di silenzio e di minacce verbali “ad personam”. E tutto questo da chi predica I’ amore, la comprensione, la comunione, la necessità del perdono e la conversione in prossimità del Giubileo.

 

Quello che è scandaloso è che non ci sia stata una vera difesa della persona e dell’attività di padre Tiziano da parte dei rappresentanti religiosi (Vicario episcopale dei religiosi, il Ministro provinciale, il Guardiano – cioè il superiore del convento di Cles), pur sapendo l’infondatezza delle accuse”. Il gran finale dell’articolo di padre Comina è un’altra poderosa bordata contro le autorità ecclesiastiche: “In questa vicenda ho imparato una cosa: il paese, la casa, la religione, debbono espellere il profeta, deriderlo. Distruggerlo moralmente, mandarlo in esilio, assassinarlo (si può assassinare in tanti modi), se vuole mantenere il potere. Perché questo è il problema che abbiamo davanti: o sei persona equilibrata, perbene, prudente, leccapiedi e allora sei stimato, premiato e promosso, ma fai morire la speranza del poveri ed il futuro dei giovani, oppure tieni fede alla verità e alla giustizia verso il povero, senza compromessi con la tua coscienza ed allora sei giudicato sconsiderato, imprudente, disfattista e pazzo e allora subisci la sorte di Gesù… Di fronte a questa vicenda chiedo che tutti i responsabili di essa abbiano il coraggio di dimettersi dal loro incarico perché sono stati “sentinelle” addormentate se non conniventi col nemico del Regno”.

 

Wow. Altro che normale avvicendamento. Un j’accuse durissimo, quello di Modesto Comina, che avrebbe meritato il supporto di una documentazione precisa. Abbandono i microfilm… e 25 anni dopo mi chiedo se in Curia e nell’Archivio dei Francescani gli storici possano sperare di consultare quei documenti mai finiti sui giornali…

 

Il 30 luglio il mio amico don Agostino Valentini, direttore di Vita Trentina e persona onesta, se la prende con il pregiudizio dell’Alto Adige contro il vescovo (“Sparate la notizia e vorreste “incantonarlo” in un angolo come si fa coi gatti per bastonarli” e detto di un vicentino magnagatti…) e invita a rispettare il lavoro di tutti quei 500 missionari che non sono “star alla Zanotelli” ma che lavorano ogni giorno per il Vangelo. E offre la sua morale della favola: “Anche dalle cose storte può venir fuori del bene. Soffre padre Tiziano, soffrono molti che da lui sono stati aiutati (anche irritualmente), non c’è dubbio. Ma soffrono il vescovo, il ministro provinciale padre Saverio Biasi e tutta la comunità francescana. È una storia di ordinaria incomprensione, dovuta anche alia mancanza di opinione pubblica e di confronto nella Chiesa. La Iezione che ne vien fuori è: dialogare di più”. Amen. Andate in pace.

 

Addio, Val di Non: “vi ho amati con intensità d’amore”

313 dipendenti dell’ospedale scrivono al vescovo Sartori solidarizzando con padre Donini: chi si occuperà dei nostri malati? Don Rattin e don Cristelli pubblicano nei giorni successivi le loro articolate riflessioni. Si trattò insomma di un eccellente caso giornalistico con dibattito connesso. Perfino Forza Italia non perdeva l’occasione di un bel tacere e mette in guardia sul rischio di “imbastire speculazioni che finiscono per assumere i toni di un anticlericalismo ammantato da falso solidarismo”.

 

 

 

 

E finalmente si arriva alla messa del 10 agosto 1997, l’ultimo atto di padre Tiziano a Cles. L’11 agosto sull’Alto Adige la cronaca della messa d’addio è firmata da Paolo Mantovan. Sopra un titolo che ricorda la delusione dei volontari che hanno chiesto spiegazioni al vescovo ma non hanno avuto risposta, c’è una foto di padre Tiziano commosso in abiti liturgici e del suo abbraccio con la sindaca Flaim dopo la messa: titolo finalmente buonista, “Grazie anche al vescovo”. È lo stesso Tiziano che si dimostra superiore ad ogni rancore e ad ogni polemica e a ogni veleno dei suoi avversari: “Un grazie, anche se nella sofferenza, lo voglio dire anche al decano di Cles e un grazie anche al vescovo, perché anche attraverso queste contraddizioni qualcosa di buono e di diverso avverrà”.

 

 

 

 

Bellissime le parole della sua ultima omelia: “Nel mondo ebraico il perfetto credente era il perfetto osservante, con Gesù il credente è colui che trasmette un’intensità d’amore che somiglia a quella di Dio: non I’ osservante della legge o il sacerdote, ma colui che agli occhi dei sacerdoti può apparire eretico perché ama come Dio ama. È questo il paradosso del credente, ed è valido anche oggi”. (Vengono in mente i Baustelle: “Amare come Dio, usarne le parole”). È il suo autoritratto, il suo testamento spirituale. Padre Tiziano come il pastore poeta guerriero David di Betlemme come tutti i credenti: amanti e amati. In questi giorni, l’ex direttore del Punto d’Incontro Piergiorgio Bortolotti l’ha descritto con poche giuste parole: “Una gran bella persona, innamorata del vangelo e dei poveri”. E Silvano Zucal, filosofo dell’Università di Trento, noneso di Romeno: “In quel di Cles i soliti spioni bigotti ecclesiastici erano corsi dal vescovo Sartori a “denunciare” Tiziano. Per le prediche ma soprattutto per i gesti meno rituali nelle liturgie. Padre Donini ha continuato a mandarmi qualche “matto” con fame di libri adatti alla sua inquietudine… E poi incontravo Tiziano su quella sua moto sempre rincorso da bisognosi di ogni tipo. Era un santo!”.

 

Gli alcolisti, la misericordia e un sigaro con il Che

Tiziano è stato fondamentale nella “storia dei programmi alcologici in Trentino”, nelle esperienze pilota degli alcolisti anonimi che adottavano il famoso metodo Hudolin, una rivoluzione nel trattamento della dipendenza da alcol. Hanno scritto gli specialisti Aurora Curnis, Roberto Cuni e Roberto Pancheri, rievocando quella stagione pionieristica: “Era un frate un po’ strano. Un po’ strano ma molto attivo e pieno di iniziative. Si chiamava Tiziano Donini. Viveva nel convento dei frati francescani di Cles presso il quale vi era pure una comunità di accoglienza e fra gli ospiti c’erano diverse persone con problemi di alcol. Padre Tiziano, che si prendeva molto a cuore la situazione degli ospiti della comunità, era arrabbiato con il Servizio Sanitario che non faceva nulla per le persone con problemi di alcol. Infatti in quegli anni – erano i primi anni Ottanta – la medicina, in Provincia di Trento, si limitava a curarne le complicanze (cirrosi, pancreatiti, gastriti e quant’altro). Padre Tiziano decise che non si poteva continuare così e, da buon frate, si mise in… “cerca”. La sua ricerca lo portò fino in Friuli dove aveva sentito che si stava facendo qualcosa…”.

 

Fu così che, con il sostegno dell’allora primario psichiatra di Cles Renzo De Stefani, il 27 novembre del 1984 nacque a Cles il primo Club degli alcolisti in trattamento e nel contempo il primo Servizio di Alcologia della sanità trentina allora organizzata ancora in undici USL. Con la crisi delle vocazioni religiose, anche da Cles i frati francescani se ne sono andati. Il convento ha chiuso ma è rimasta operativa la comunità di accoglienza “I fiori del convento”, ideata da p. Cesare Francescotti, p. Tiziano Donini e p. Modesto Comina nel 1984. Gli uomini passano, le opere restano.

 

Nella messa di funerale concelebrata dal ministro provinciale dei Frati minori Enzo Maggioni, dal definitore Massimo Cocchetti, da padre Cesare Francescotti e da Pierluigi Svaldi, guardiano a Pergine. Per Cesare, “fratello” e compagno fin dai tempi del collegio, “Tiziano era un modello di vita: non un uomo di chiesa e sacrestia, ma un uomo che aveva incontrato Cristo e aveva trovato così la propria via”. Nel caso Donini 1997, non era tanto la decisione del trasferimento, quanto naturalmente le ragioni e il modo che offendevano e che ferivano. A me resta il rimpianto di aver quasi perso di vista Tiziano dopo le grandi emozioni giornalistiche di 25 anni fa. Gli avrei voluto dire che i capi ecclesiastici del 1997 avevano dimenticato la misericordia insegnata dal Vangelo e, oggi, da papa Francesco, per quel che può e vuole. Certo, dopo che la notizia del siluramento di Tiziano era corsa come “una freccia che dall’arco scocca”, i superiori del frate erano stati come i carabinieri di De André, che quando sono in alta uniforme al loro dovere non vengono meno e accompagnano Bocca di Rosa al primo treno.

 

Al funerale di Pergine l’infermiera Antonella (lei, Cesare, Modesto, Dolores, Laura si sono presi cura di Tiziano fino alla fine) ha detto: “Tiziano, ti ricorderemo per il mitico saluto "in alto i cuori", per le fragorose risate, per il lungo applauso quando ti nominarono "Trentino dell' anno". Ora vai, con la tua moto: e con Che Guevara fumatevi un sigaro insieme!”. E ho come il sospetto che anche madre Teresa tirerà una boccata, chiacchierando con quei due ragazzacci.

 

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