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Fuck the Pfas: il giallo buffo di Andrea Tomasi sul Matteo (Salvini) rapito tra on the road e reportage militante

DAL BLOG
Di Paolo Ghezzi - 08 luglio 2022

Ragazzo del 57, giornalista dal 79, troppo piccolo per il 68, ha scansato il 77 ma non la direzione dell’Adige (8 anni 8 mesi e 3 giorni) e la politica (24 mesi in consiglio provinciale tra il 2018 e il 2020)

Mettete insieme, in qualche vasto triangolo del Veneto minacciato dall’inquinamento delle falde acquifere, quattro amiche più o meno scombiccherate: Mila l’estetista ucraina, una Barbie romanesca tutta leggins e rasta, una Fede paraleghista e ossessionata dagli acari della polvere, una Silvia informata e adirata (anche le mamme nel loro piccolo si incazzano…) per la salute di suo figlio.

 

Pfas, brutta sigla che si può allitterare con Pfui e difatti designa pestifere sostanze: inodori, incolori, insapori, impermeabilizzanti che sono l’inquinante invisibile e perfetto. Ti possono inibire la crescita, bloccare la statura e la misura dei genitali, passano per l’acqua e gli alimenti… Hanno inquinato in America, nei Paesi Bassi e… nel nostro Nordest. E non solo. Contaminando una falda acquifera grande come il lago di Garda. A Vicenza e altrove si sono fatti processi. Anche dove le fabbriche hanno chiuso, i maledetti Pfas (la sigla sta per “Sostanze perfluoro alchiliche”) hanno continuato ad avvelenare. Pfui.

 

Andrea Tomasi, da taluni detto Tom, (poli)valente cronista fotografo documentarista motociclista, born to run in Povo, Trent, ma con una faccia da attore americano senza macchia né paura, con una predilezione (giornalistica) per i veleni e le porcherie, dunque alfiere delle buone battaglie e del civico movimentismo, avendo studiato gli Pfas e avendo conosciuto e apprezzato e fatto amicizia con le mamme venete che li combattono, fuori e dentro le aule giudiziarie, ha sentito l’urgenza di farci un documentario di denuncia, nel 2019. E ora rincara la dose nel libro appena uscito, una docufiction che mischia veleni vivi, inchieste vere, autentici medici e vere mamme antiveleni, a una vicenda farsesca, da film on the road, dove le quattro amiche di cui sopra, Thelma e Louise moltiplicate per due, hanno l’intuizione fulminante per far parlare finalmente l’Italia della questione Pfas: organizzano un sequestro di persona, di un politico all’epoca sulla cresta dell’onda. E dalla sensibilità poco ambientalista nonostante il verde delle camicie di partito.

 

“Le insospettabili che rapirono Salvini” (Terra Nuova, 256 pagine, 15 euro) è dunque un romanzo militante che ha un ritmo hellzapoppin’ e una trama fantapolitica, e si pone come obiettivo – come la scritta che si leggeva sui teatri parrocchiali di una volta – il “dilettando educa”. Ti faccio divertire e tu in cambio ti becchi il sos salute. Attraverso il giallo buffo, ti istruisco sugli inquinanti. Le mamme arrabbiate non se le filano troppo i grandi giornali, il docufilm è roba per pochi arrabbiati militanti, proviamo la narrativa di colore sapore e umore estivo e vediamo se, infilandoci dentro serissimi contenuti medico-ambientali, riusciamo ad allarmare un po’ di più.

 

Il ragionamento di Tomasi fila, come fila la storia, anche se gli ircocervi – sì, insomma, le duplici creature che sono un po’ questo e po’ quello – sono creature a funzionamento complesso: la farsa si congela quando comincia la denuncia e la denuncia si annacqua quando ricomincia la farsa. Insomma, non è impresa facile tenere insieme e alternare due registri così diversi, come il racconto umoristico e il reportage militante. E siccome le parti “vere” sono addirittura stampate in corsivo, il rischio di una lettura a stop and go, con i relativi inciampi, l’autore non lo evita del tutto. La storia però va avanti, si dipana, e si lascia leggere fino all’ultimo grazie a un tono leggero e divertito, dialoghi talora frizzanti e qualche riuscita trovata in cui si intravvede il ridacchiare dell’autore insieme a quello del lettore: il cagnolino che si chiama Matteo, come il rapito, di qui un tot di equivoci e di tocchi buffi; la stagionata suora che nel bagno del teatro parrocchiale di Cologna Veneta assesta con grazia decisa il colpo di grazia (con borraccia metallica) per lo svenimento del sequestrando; Mila l’estetista che se la gode a depilare integralmente il rapito nel camper delle quattro pazzerelle… Ecosadismo a fin di bene.

 

Tomasi ha spiegato che è ricorso a diverse consulenze femminili per dipingere le protagoniste della vicenda: e, a parte una certa dose di luoghi comuni e gag deja vu, peraltro quasi obbligate dal genere nazionalpop del racconto, le quattro figure – incrociandosi e inciampando le une nelle altre, prevedibili nei loro tic ma non antipatiche – tengono su la storia fino all’epilogo finale (che non riveleremo), mentre il Gran Rapito resta sullo sfondo, quasi sempre sedato, o imbavagliato, un po’ torturato, un po’ coccolato, ma assai sputtanato quando, per puro sadismo, gli mettono negli auricolari le registrazioni dei suoi insopportabili comizi. Testi salviniani originali riportati fedelmente e massimamente comici. Più ancora dell’italiano un po’ spigoloso dell’estetista ucraina, donna di azione e depilazione.

 

L’Italia – ed è il retrogusto malinconico del romanzo – non esce bene da questa storia. La politica smemorata o bugiarda, il capitalismo senza peli sullo stomaco, l’informazione altalenante e distratta. L’autore, buttandola sul ridere, ci avverte spesso che invece ci sarebbe da piangere, perché non c’è niente di più tragico di un bambino ammalato per colpa di adulti senza scrupoli. Diverse canzoni punteggiano il testo, creando anche una colonna sonora che il lettore può ricreare sullo sfondo dell’errabondo camper delle quattro eroine rollanti. Ci sono i Doors; manca “Rock the Casbah” dei Clash, ma pazienza. Qualcuno, magari lo stesso biker Tom, finirà per creare anche la sigla musicale delle mamme incazzate e delle rapitrici-per-una-buona-causa. Il titolo sembra già bell’e pronto: Fuck the Pfas. Pfui agli Pfas, girls: déghe dentro.

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